Editoriale

Guerra Ucraina-Russia: la sfida sulla narrazione (mentre il mondo cerca un aggettivo)

Narrazioni contrapposte, inconciliabili che massimizzano il contrasto e polarizzano il dibattito. È questa la guerra di narrazione, un conflitto che rischia di non trovare soluzioni perché con le narrazioni si scavano frontiere profonde.

La storia ci ha abituato a raccontare le guerre, a viverle, a definirle. I conflitti hanno accompagnato da sempre la permanenza dell’umanità sulla terra. Ci sono state le guerre definite con l’appellativo dei soggetti in conflitto, ad esempio le guerre puniche (i cartaginesi venivano infatti chiamati punici dai romani).

Esistono guerre che hanno preso il nome dalla geografia nella quale gli eserciti si sono affrontati, la guerra del Vietnam, la guerra del golfo, la guerra dei Balcani. Ci sono state quelle definite per la loro durata, la guerra dei cent’anni (tra il Regno d’Inghilterra e il Regno di Francia che durò, in realtà 116 anni, dal 1337 al 1453). Ci sono le due guerre mondiali che hanno visto combattere eserciti su tutti i continenti.

Ad ogni guerra si è affiancato un un aggettivo: fredda, umanitaria, asimmetrica, civile, etnica, ma anche una modalità di combattimento, le guerre di posizione, aeree, navali, intelligenti. Oggi davanti al conflitto che sta martoriando l’Ucraina le relazioni internazionali sono in difficoltà nel trovare una definizione.

Si potrebbe semplicemente parlare di invasione, di guerra di aggressione ma sarebbe una semplificazione che non riuscirebbe a descrivere in maniera precisa il conflitto. In realtà a rendere diversa questa guerra rispetto a quelle precedenti è la narrazione, anzi meglio le narrazioni. Stiamo assistendo alla prima guerra di narrazione.

Sono infatti in campo non solo gli eserciti e non solo i giornalisti, a confrontarsi sono anche due macchine comunicative che provano, attraverso i nuovi e potentissimi mezzi di comunicazione a trasformare e plasmare questa guerra a vantaggio di una parte o di un’altra. 

La Narrazione di Zelensky che affascina l’occidente

Volodymyr Zelensky è giovane, conosce a perfezione le tecniche comunicative, è fotogenico, sa mantenere un primo piano e non incespica mai nei suoi discorsi. D’altronde il suo passato da attore gli consente di muoversi con naturalezza e con cognizione di causa davanti alle telecamere. Da quando il suo Paese è stato invaso dalla Russia il presidente ucraino, dal punto di vista comunicativo, non ne ha sbagliata una.

La sua retorica, con una miscela perfetta di orgoglio e di sofferenza, non solo lo ha reso iperpopolare in patria ma ne ha fatto un simbolo internazionale capace di unire l’intero occidente. 

La felpa di Macron

Zelensky ha condizionato a tal punto la comunicazione e i flussi d’informazione occidentali che molti dei leader europei hanno provato a cavalcare la sua onda. In primis Emmanuel Macron. L’enfant prodige francese, stessa età del suo omologo ucraino, non si era mai visto in tenuta giovanile. Negli anni, da quando era ministro, era sempre stato incravattato, mostrandosi al mondo con quella tipica posa dell’élite francese. Non ha mai avuto niente di giovanile, nulla che lo rendesse vicino alle questioni più popolari.

Oggi però, in piena corsa per il suo secondo mandato all’Eliseo, Macron ha provato ad imitare Zelensky. Sui suoi profili social ha postato delle foto che lo ritraggono con barba incolta, felpa dei parà francesi, jeans e capello spettinato. Un tentativo di riprendere l’immagine di Zelensky che da quando è iniziata la guerra, sembra aver gettato giacca e cravatta d’ordinanza e si mostra nei suoi video e nei collegamenti che ha tenuto con i vari parlamenti nazionali, in maglietta mimetica e con la barba incolta. 

Quello di Macron è un tentativo che non ha avuto un buon impatto sulla campagna per l’Eliseo del presidente francese, infatti è risultata finta come immagine e subito riconducibile ad un goffo tentativo di imitazione, però è naturale il fatto che siano in molti a provarci. 

I video per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale

D’altronde la macchina comunicativa ucraina sta vincendo, almeno sul piano internazionale, questa “guerra di narrazione”. I video, fatti girare anche con i canali ufficiali del Verchovna Rada, il parlamento ucraino, diventano virali e sono convenzionati in maniera professionale.

Si va dalle immagini di guerra, crude, violente scioccanti, alla campagna per chiedere la No Fly Zone che fatto girare sul web il video del finto bombardamento di Parigi con la scritta «Would the famous Eiffel Tower in Paris or the Brandenburg Gate in Berlin remain standing under endless bombing of Russian troops? Do you think that does not concern you? Today it’s Ukraine tomorrow it will be the whole of Europe. Russia will stop at nothing» (Resterebbero in piedi la Torre Eiffel di Parigi o la Porta di Brandeburgo di Berlino sotto i bombardamento senza fine delle truppe russe? Pensate che questo non vi riguarda? Oggi è l’Ucraina, domani potrebbe essere i turno dell’Europa. La Russia non si fermerà davanti a nulla).

Un video duro capace di rendere la questione ucraina una questione di tutto l’occidente. 

La narrazione russa

Nella Russia di Vladimir Putin quella in Ucraina non può essere una guerra. Il termine è stato vietato. I giornalisti, gli analisti e i commentatori che parlano di guerra rischiano 15 ani di carcere. Le manifestazioni dei pacifisti vengono represse e ormai si svolgono con i cartelli senza alcuna scritta. I giornali indipendenti hanno chiuso o hanno trasferito le redazioni all’estero. I social sono vietati e ogni tipo di utilizzo della rete viene controllato e censurato. 

Questa nuova Russia di Putin sembra assomigliare sempre più ad un regime autoritario e illiberale agli occhi degli occidentali ma il leader russo invece conserva l’unità e il consenso interno immutato. Il suo obiettivo infatti non è quello di parlare all’occidente che ha già messo tra i nemici, ma di assicurarsi la tenuta massima interna. 

La guerra non esiste e non esistono i caduti

Nessuna aggressione, sono queste le parole d’ordine per tutti gli esponenti russi. D’altronde il ministro degli Esteri Lavrov ha sostenuto in conferenza stampa che «la Russia non ha mai invaso l’Ucraina». Se la guerra non esiste non esistono i caduti e i morti vengono lasciati sul campo. I cadaveri soldati vengono recuperati dalla Croce Rossa e rispediti in Patria. Ma per loro non ci sono funerali di Stato e nessuna medaglia vene consegnata alle famiglie.

Le mamme dei soldati caduti in Russia hanno sempre rappresentato la voce del dissenso che non può essere messa a tacere. Erano in piazza a manifestare contro la guerra cecena e lo sono state più volte ad ogni conflitto. Purtroppo questa volta non si vedono, semplicemente perché non ci sono. Non sanno dove sono i figli, non hanno notizie, non sanno se siano morti o vivi. Un metodo efficace per contenere e controllare l’opinione pubblica e per evitare proteste e sollevazioni. 

La Z sui mezzi russi

Se la guerra non deve esistere allora non esistono neanche i mezzi di invasione e infatti la “Z”, un simbolo che era una mera indicazione di magazzino militare, si è trasformata in un simbolo che sostituisce quello dell’esercito russo, delle guarnigioni e dei reparti. Una sostituzione che non è involontaria.

Nelle immagini rilanciate dalle televisioni internazionali, anche nei video ucraini, non si riesce mai ad individuare con certezza i russi. È un gioco di confusione, che mischia che giustifica, che prova a confondere le responsabili e che rendere ancor più possibile creare una narrazione che fa sparire le responsabilità russe. 

I canali Telegram da no vax a pro Putin

Quella Z ritorna nei post, nei gruppi telegram che avevano già invaso il mondo cavalcando le teorie no vax e che oggi sono stati trasformati in luoghi di propaganda russa. Anche sui canali Telegram dei no vax italiani, si susseguono messaggi che osannano il presidente russo. Si va da «Putin vieni a liberare l’Italia» ad un meno tragico «magari avessimo uno come lui qui da noi», passando per i più banali «Vai distruggi il male, grande uomo».

C’è chi vorrebbe assegnagli «il premio Nobel per la medicina e per la pace in un colpo solo». Ma non solo vengono diffusi i messaggi di sedicenti esperti che arrivano a definire «la manovra putiniana una manna dal cielo si legge, una ghiotta occasione per dare un bel colpo a UE, Draghi, Macron, Biden, BCE, MES, e tutte le scemenze che ci stiamo sorbendo oramai da anni».

Poco contano i morti di guerra come d’altronde poco contano le vittime del virus, l’importante è trovare un nemico e negare la realtà. Narrazioni contrapposte, inconciliabili che massimizzano il contrasto e polarizzano il dibattito. È questa la guerra di narrazione, un conflitto che rischia di non trovare soluzioni perché con le narrazioni si scavano frontiere profonde.

Claudio Mazzone

Nato a Napoli nel 1984. Giornalista pubblicista dal 2019. Per vivere racconta storie, in tutti i modi e in tutte le forme. Preferisce quelle dimenticate, quelle abbandonate, ma soprattutto quelle non raccontate. Ha una laurea in Scienze Politiche, una serie di master, e anni di esperienza nel mondo della comunicazione politica.

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