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Veramente abbiamo bisogno di Twitter con meno censura?

La violenza verbale è incontenibile, l'anonimato premia comportamenti estremisti e questo non riguarda solo Trump.

Lo scorso fine settimana ho deciso di “anonimizzare” il mio profilo Twitter. Ho sostituito un bicchiere di Jefferson alla mia foto profilo, ho utilizzato un alias anziché il mio nome reale e ho cambiato anche il nome utente. Ho eliminato tutti i miei precedenti tweet (operazione che in realtà faccio ogni tanto a distanza di anni) e, se non avessi avuto motivi di lavoro, non vi nego che avrei abbandonato definitivamente l’uccellino, e tutto ciò non c’entra niente con Elon Musk. O quasi.

La questione è la seguente: c’era un tizio con una foto di un cavallo con degli occhiali fluo che in qualche modo sosteneva, applaudito da una pletora di no-vax convinti, che dal primo maggio (giorno della vittoria dei no-vax sui sì-vax; cioè, la comunità no-vax su Twitter con non uno che ci mettesse la faccia ne era proprio convinta che si trattasse di uno scontro tra fazioni vinto non facendo niente) sarebbe stato lui a far spaventare la gente seduta al tavolino con le sue zero dosi. Dicendo, più o meno, che dovevano vivere nel panico.

Ho risposto, con altrettanta veemenza (e considerando che non avevo no-vax tra i profili seguiti vuol dire che Twitter in qualche modo ha ritenuto utile propormi quel tweet), che l’idiota con maggior rischio di stare male era proprio lui, il cavallo con gli occhiali fluo, se per caso io con tre dosi di vaccino e supportato da ciò che finora la scienza ha potuto stabilire in tal senso avessi scambiato il Covid per un normale raffreddore e avessi trovato posto al ristorante accanto a lui.

Da quel momento non ho più potuto controllare gli insulti che mi sono arrivati. C’è chi sosteneva che la mia barba faceva schifo e che solo quelli fuori forma prendono il Covid. Qualcuno mi ha dato del fascista vaccinato. C’è chi ha ricondiviso il mio tweet per espormi al pubblico ludibrio dei suoi follower in quanto giornalista. C’è anche chi mi ha raggiunto su altri social per inviarmi insultarmi in dm. E se talune risposte si mantenevano sul già sottile limite della deprecabilità, ma senza mai scadere nel comportamento da censura, in altri casi insulti personali ben oltre la soglia del cyberbullismo sono arrivati, eccome se sono arrivati.

Come faccio a tutelarmi su Twitter?

Poco male. Ho la fortuna di lavorare con questi strumenti e conoscerli abbastanza da non sentirmi leso e/o in reale situazione di pericolo. Ma ciò non toglie che non una delle segnalazioni che ho fatto a Twitter su offese a me rivolte sia stata censurata o bloccata.

image | F-Mag Veramente abbiamo bisogno di Twitter con meno censura?
La risposta che Twitter ha dato alle mie 7 o 8 segnalazioni

Queste regole, che trovate riportate qui, includono anche l’incitamento a molestie, la messa alla berlina. Ma chiaramente ciò non scatta. Sono riportate banalità del tipo “Adottiamo tolleranza zero contro la violenza sessuale minorile” (ma và) o “non puoi usare i servizi di Twitter allo scopo di manipolare le elezioni o altri processi civici, né per interferirvi. Ciò include la pubblicazione o condivisione di contenuti che potrebbero inibire la partecipazione o ingannare le persone in merito a quando, dove o come partecipare a un processo civico”.

Resta il fatto che Twitter è al momento l’unico top player del settore social network dove un cavallo con gli occhiali fluo può rigirare il tuo post alla platea di forconi senza l’onere di mostrarsi pubblicamente mentre gente volontariamente o involontariamente disinformata che produce spazzatura nonsense può insultare, denigrare, entrare nel merito personale altrui. Il tutto mentre, con pochi switch, si può accedere a una marea di pornografia e non certo in sicurezza come su altri portali.

Non è quindi un problema di chi ha gli strumenti di cultura digitale per tutelarsi e interagire in maniera sicura con il social network. Ma di chi questi strumenti non ce li ha.

Non siamo tutti Donald Trump

Diciamocelo, quindi: la famosa questione di censura sollevata da Elon Musk (neoproprietario dell’uccellino) diventa quantomeno paradossale. Più di una volta si è lasciato intendere che il numero uno di Tesla ritenesse Twitter limitante in termini di free speech (parlare liberamente).

Elon Musk twitter (photo by NVIDIA)
Elon Musk al GTC 2015, keynote del giorno di apertura della GPU Technology Conference del CEO e co-fondatore di NVIDIA Jen-Hsun Huang (crediti: NVIDIA, distribuito sotto CC2.0)

L’idea di Elon Musk di lasciare molta più libertà d’espressione su Twitter è anacronistica: il tempo ha già dimostrato che non funziona. 

Andrea Daniele Signorelli

In questo bell’articolo l’AGI tira le somme, confermando che il tema centrale di questa transazione sia proprio la libertà d’espressione. Ma non siamo tutti Donald Trump; al contrario, chiunque come quella del Pizzagate.

Il tema della libertà d’espressione sui social network è estremamente complesso e articolato da affrontare. Siamo sicuri che l’anarchia sia la soluzione?

Riprendendo l’articolo di Andrea Daniele Signorelli per Wired:

Quella che per Elon Musk è forse un’idea innovativa e rivoluzionaria è invece decisamente vecchia. Peggio ancora: alla prova dei fatti, si è già dimostrata un’idea fallimentare. La stessa Twitter ha cercato a lungo di limitare il più possibile ogni forma di moderazione proprio perché la sua posizione sulla libertà d’espressione era tra le più libertarie in assoluto.

E citiamo anche David Rothkopf, insigne politologo e accademico statunitense, che proprio su Twitter faceva notare:

L’uomo più ricco della Forbes 400 del 2021 possiede il Washington Post. Il numero 2 ora possiede Twitter. Il numero 3 possiede Facebook. I numeri 5 e 6 hanno avviato Google. I numeri 4 e 9 hanno avviato Microsoft. Il numero 10 possiede Bloomberg. Libertà di espressione? Ditemi voi.

David Rothkopf

Abdicare al controllo non è la soluzione

I proprietari di siti di social media dovrebbero essere responsabili delle conseguenze di bugie e disinformazione diffuse sui loro siti. Proprio come altri proprietari di media. L’idea che le società di social media non siano società di media (che risale agli anni ’90) è una parte importante del problema che dobbiamo affrontare oggi.

David Rothkopf

Il problema è che, per assurdo, i macroargomenti che potremmo qui riportare a decine se non a centinaia non spostano di una virgola il microargomento, quello che accade ai piani bassi della piattaforma e che è conseguenza di questioni economico-politiche enormi.

Non siamo tutti Donald Trump, la cui censura diventa un argomento di dibattito mondiale. Siamo quelli che subiscono o assistono a piccoli e mirati shitstorm di stampo cyberbullistico di cui chiunque può essere bersaglio in ogni momento. La battaglia culturale affinché il popolo abbia gli strumenti per tutelarsi dalla violenza verbale della Rete è ancora lontana dal raggiungere importanti risultati.

A questo si aggiunge la palese possibilità di diffondere notizie false (fake news) la cui pericolosità è ormai fatto acclamato e conclamato. Twitter è l’unica tra le grandi piattaforme social dove un anonimo cavallo con gli occhiali fluo può attualmente dire che il Covid non uccide perché lui ha avuto solo il raffreddore o dove un tale con una foto di un quadro impressionista blu come immagine profilo può dire che uno merita di lavorare al circo perché crede ancora a ‘sta roba. Con i propri limiti, gli altri big player hanno provato a darsi delle regole di tutela (dell’utente) e autotutela.

In cosa, allora, Twitter dovrebbe spingersi oltre e andare in direzione contraria dei suoi competitor?

Non guardate solo alla Casa Bianca. Guardate a quanto accade con i normali utenti, la base, la platea su cui poi si indirizzano le azioni di comunicazione e marketing dei grandi. Il free speech invocato da Musk va interpretato come l’anarchia?

In tal caso, abbiamo un grosso problema, perché Twitter già così non va bene.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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