Editoriale

Reddito di Cittadinanza, lo Stato risparmia 2,5mld/anno per abolirlo. Ma le famiglie sono più povere

Essere poveri non è una colpa ma il Governo, piuttosto che intervenire in maniera strutturale e concreta sulla creazione di percorsi di avviamento al lavoro, di presa in carico di welfare, di politiche attive per le famiglie, punta a "risparmiare" sulla pelle dei più fragili.

Manca ormai poco alla fine del Reddito di Cittadinanza così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi anni: con l’introduzione del MIA, Misura di Inclusione attiva (di cui abbiamo già parlato), il neonato Governo Meloni è pronto a dire addio ad una delle misure più discusse dalla politica italiana ma che, soprattutto nel corso della congiuntura pandemica, ha teso una mano a molte famiglie in difficoltà.

No, ovviamente non ci riferiamo ai truffatori (personalmente aborro il termine “furbetti” del reddito di cittadinanza) che hanno pensato di lucrare sulle spalle dello Stato e di chi realmente aveva bisogno di un sostegno economico. Il Reddito di Cittadinanza, come immaginato, è una misura imperfetta che andava migliorata nell’accettazione delle domande (con maggiori controlli ex ante) e nella pianificazione di percorsi di avviamento al lavoro o con una presa in carico più puntuale nelle politiche di welfare.

Ma si sa, in Italia la coperta è corta (e ci piace tanto portare avanti questioni da scacchiere politico, piuttosto che risolvere problemi), la mano destra non sempre sa quello che fa la mano sinistra e quando una misura è calata dall’alto non ci si rende spesso conto che la situazione nei Comuni italiani – in termini di risorse umane dedite alla gestione delle pratiche del Reddito di Cittadinanza – non sempre è ideale per far fronte alla mole di lavoro.

Il problema, però, è ancora un altro: con un taglio così netto al Reddito di Cittadinanza quanto risparmia lo Stato e -soprattutto – sulla pelle di chi?

Addio Reddito di Cittadinanza: quanti soldi si risparmiano sulla povertà

Dunque, proviamo a fissare alcuni cardini prima di procedere oltre nella disquisizione. Il Reddito di Cittadinanza, come riportano i dati dell’Osservatorio Statistico dell’INPS, nel dicembre 2022 ha coinvolto mediamente

  • 1.168.712 famiglie che hanno ricevuto il Reddito o la pensione di cittadinanza;
  • con una cifra media di euro 549,46 euro;
  • ha quindi portato beneficio a circa 2.483.885 persone;
  • per un totale di spesa mensile dello Stato di 642,16 milioni di euro.
  • Se si guarda all’intero 2022, le famiglie che hanno ricevuto almeno una mensilità del sussidio sono state 1.685.161 per 3.662.803 persone coinvolte e un importo medio della prestazione di 551,11 euro. Nel complesso nell’anno sono stati spesi per la misura di contrasto alla povertà circa 7,99 miliardi.

Numeri enormi, terrificanti, che riflettono ripeto: al netto di truffe scovate o da scovare ancora, per le quali si ringraziano le forze dell’ordine e quanti sono attenti nei controlli un dato allarmante sull’incedere della povertà in Italia. Per dirla in altro modo, con la consapevolezza che il MIA, rispetto al Reddito di Cittadinanza, “servirà” almeno 600mila nuclei familiari in meno, con requisiti più stringenti e tagli irruenti (in breve, ma si rimanda all’articolo linkato nel primo paragrafo: una soglia ISEE più alta per l’accettazione della domanda, una cifra mensile media di 350 euro, una durata temporale molto inferiore), la domanda è una: chi pagherà il risparmio dello Stato sulla povertà e come?

Secondo quanto sostiene uno studio del Susini Group, società di consulenza del lavoro, il Governo taglierà i fondi finora destinati al Reddito di Cittadinanza per un risparmio di oltre 2,5 miliardi di euro annui. Una mazzata per i percettori della misura di sostegno al reddito che, da agosto in poi, verranno divisi in due platee: nuclei con almeno un componente disabile o minorenne o con almeno 60 anni e nuclei senza componenti disabili o minorenni o con almeno 60 anni d’età.

Diamo ancora i numeri per rendere un’idea: ai primi, il beneficio spetterà per una durata di 18 mesi ed è successivamente rinnovabile per 12 mesi, previo, ogni volta, uno stop di un mese. Per i secondi, invece, sarà prevista una durata di 12 mesi ed è rinnovabile una sola volta per 6 mesi, previo stop di un mese. Il sostegno economico sarà pari al massimo a 6.000,00 euro l’anno moltiplicato per la scala di equivalenza legata alla composizione del nucleo (2,1 il limite, 2,2 se in famiglia c’è un disabile) nel caso in cui ci siano disabili, minori o anziani over 60. Il beneficio sarà ridotto a 4.500,00 euro l’anno, pari a 375,00 mensili, nel caso in cui nel nucleo in condizione di povertà non vi sarà la presenza al suo interno di disabili, minori o anziani over 60.

Uno schiaffo alla miseria e alla condizione di milioni di italiani che sono riusciti ad andare avanti con il Reddito di Cittadinanza, nonostante la mancanza di posti di lavoro, offerte economiche ben poco congrue (nonostante quello che si divertono a raccontare), difficoltà familiari e sociali dovute alla carenza strutturale di welfare nel Bel Paese.

Essere poveri non è una colpa

Quello che si cerca di dire con questo articolo è che essere poveri non è una colpa e – visti i tempi che corrono – può capitare a chiunque di trovarsi a perdere ogni certezza economica e sociale finora goduta. Fa, pertanto, rabbrividire il pensiero che una classe politica abbia fatto in modo di criminalizzare chi non arriva a fine mese (ricordate i working poor? Si, coloro che lavorano ma, nonostante questo, non riescono a pagare bollette, spesa e affitto) piuttosto che intervenire in maniera strutturale e concreta sulla creazione di percorsi di avviamento al lavoro, di presa in carico di welfare, di politiche attive per le famiglie.

Secondo l’indagine dell’Osservatorio “Sguardi Famigliari” di Nomisma, fra l’altro, da qui a pochi mesi l’Italia si troverà a vivere una situazione ancora peggiore: con il taglio al Reddito di Cittadinanza sarà ancora di più una forte pressione sui Comuni, con i servizi sociali che potrebbero rivelarsi “sotto assedio”.

In altre parole: non possiamo più far finta di girarci dall’altro lato quando si nasconde la polvere sotto il tappetto. Sono tre gli elementi, si legge nell’indagine, che porteranno a questa situazione: le modifiche del funzionamento del Reddito di cittadinanza lasciano il 38,5% dei nuclei familiari oggi sostenuti da tale misura senza nessuna copertura entro giugno 2023; l’impatto dell’inflazione che è più forte per le famiglie più povere e quindi introduce ulteriori elementi che mettono in discussione equilibri già precari; l’aumento dei tassi bancari appesantisce notevolmente le famiglie che hanno fatto ricorso al credito.

“Le famiglie italiane – scrive Nomisma – sollecitano con forza i decisori politici a ripensare l’approccio alla progettazione, alla gestione e al finanziamento dei Servizi e delle Politiche: è sempre più evidente come la somma dei singoli interventi non costruisce una politica. Le famiglie hanno sempre più bisogno di Politiche”.

Già, le politiche. Le grandi assenti del panorama italiano.

Il Reddito di Cittadinanza non è la summa di tutti i mali

Torniamo alla politica, allora. Il Reddito di Cittadinanza non è la summa di tutti i mali ma non può di certo bastare e, chiaramente, va riformulato in maniera proattiva e tale da far superare lo stato di bisogno delle persone in difficoltà: in Italia, talvolta, dimentichiamo che uno dei problemi che ci spinge in basso (e aumenta la tassazione nonché il costo della vita) è dato dalla forte evasione fiscale, dall’elevato costo del lavoro, dal mancato adeguamento degli stipendi da oltre trent’anni, unito ulteriormente ad un ascensore sociale bloccato e fermo al 1990. Non parliamo, poi, delle politiche di sviluppo mai pervenute (che non possono risolversi in bonus e aiutini una tantum), della carenza atavica di strutture come ospedali, scuole, palestre e piscine pubbliche e quant’altro.

Questa situazione si traduce in un divario sociale ripugnante, che nessuno Stato democratico dovrebbe consentire: la polarizzazione sempre più violenta fra “poveri” e “ricchi”, in cui la classe media va man mano a scomparire, dove i decisori politici incalzano le folle contro l’una o l’altra categoria.

E, sul grande oblio delle politiche assenti, chi lavora (ma anche chi no) fa i conti con l’aumento del costo della vita avvenuto nell’ultimo anno a causa dell’impennata dei prezzi di beni e servizi che sta mettendo a dura prova le finanze delle famiglie italiane.

Non è il Reddito di Cittadinanza il problema in Italia, ma il fatto che siamo tutti più poveri e lo Stato resta a guardare (o agisce con misure irrisorie): sempre secondo Nomisma, il 13% delle famiglie italiane ritiene il proprio reddito insufficiente a far fronte alle necessità primarie, vale a dire alle spese irrinunciabili come i generi alimentari, oppure le spese legate alla casa come l’affitto, il mutuo, le bollette.

A questo gruppo di famiglie, che potremmo definire ‘compromesse’, si aggiunge un altro contingente numeroso (il 43% delle famiglie intervistate) che valuta la propria condizione reddituale appena sufficiente a far fronte a tali spese, in una sorta di equilibrio precario che potrebbe essere messo a rischio da un evento imprevisto anche di modesta portata.

Negli ultimi mesi, evidenzia ancora lo studio, il principale motivo di percezione dell’inadeguatezza delle risorse economiche a disposizione delle famiglie è rappresentato dall’elevato costo della vita: il 78% delle famiglie si dichiara insoddisfatto della propria condizione reddituale, molto più delle difficoltà lavorative (10%). Secondo Nomisma, un’eventuale spesa imprevista, anche di piccola entità, potrebbe quindi diventare un serio problema da affrontare per il 22% delle famiglie totali, percentuale che sale al 30% tra le persone sole non anziane, al 31% per i genitori soli con figli, e al 41% per le famiglie in affitto.

E di fronte a tutto ciò, la prima scelta è quella di tagliare il Reddito di Cittadinanza e non intervenire sulle carenze strutturali del Paese?

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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