Più di un giovane su due soffre a causa del lavoro: il sondaggio Wellfare
I numeri dell'Osservatorio Wellfare: sei su dieci hanno sofferto disagi, perlopiù emotivi, sui luoghi di lavoro. Stress, burnout ma anche ricadute fisiche.
“Ansia, stress e nervosismo condizionano pesantemente la vita lavorativa degli under 35, anche a causa delle pressione sociale dovuta alle aspettative degli altri”. Nella cartolina di Maria Cristina Pisani, presidente del CNG (Consiglio Nazionale dei Giovani), c’è la sintesi dei giovani lavoratori italiani e di un universo lavorativo che – vuoi o non vuoi, per motivi più o meno vari e validi – li porta al limite.
In occasione del primo meeting su “I Giorni del Benessere” (progetto ideato dal Consiglio Nazionale dei Giovani in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale per favorire percorsi di prevenzione, informazione e sensibilizzazione, orientati al benessere fisico e mentale delle giovani generazioni) sono stati presentati i dati dell’Osservatorio Wellfare, una “piattaforma di ascolto diretto con le giovani generazioni” creata dal CNG con l’obiettivo di guidare le istituzioni in una riflessione profonda sulle molteplici criticità legate alla salute mentale, relazionale, sociale, fisica e creativa dei giovani italiani.
Quanto è emerso dal sondaggio sul campione di 300 persone tra i 15 e i 35 anni non è certamente da ritenersi confortante: più di un intervistato su due (6 su 10, per la precisione) ha dichiarato di aver “sofferto di disagi perlopiù emotivi, ma anche fisici (nel 13% dei casi) sul luogo di lavoro, dovuti principalmente a esaurimenti emotivi da burnout o all’estrema pressione associata al carico di richieste di lavoro sui dispositivi mobili personali” (leggesi mancato diritto alla disconnessione).
Sebbene esiguo, il campione ha comunque permesso di rilevare altri spunti d’interesse. Il 20% dei giovani intervistati (uno su cinque) ritiene sia necessario avere una maggiore flessibilità sugli orari lavorativi soprattutto attraverso una gestione del lavoro orientata per obiettivi specifici da raggiungere. Attività di supporto alla gestione delle pressioni quotidiane (19%), di prevenzione al benessere psicofisico (14,1%) e di supporto alla maternità (13,9%) sono tra le maggiori richieste che emergono dai giovani per migliorare le condizioni di lavoro. Fa riflettere, ma è un dato evidentemente legato anche a una maternità che si allontana nei cronoprogramma dei giovani italiani (per motivi economici e sociali), che misure per la gestione della pressione lavorativa sia più richiesta di supporti tipici del welfare famigliare.
Ma i motivi dietro tale stress? In un Paese in cui un giovane su quattro è NEET e sembra aver tirato i remi in barca in quella che è da considerarsi una vera e propria emergenza sociale, secondo Maria Cristina Pisani è da indagare soprattutto a livello sociologico e culturale. E i social media, spiega, “su questo hanno avuto un impatto estremo e una grande responsabilità”.
“La società dei record straordinari raccontati come ordinari – dichiara la presidente CNG – crea una pericolosa distopia tra il reale e il percepito, che può portare ad una serie di problematicità di salute mentale. La paura del giudizio, le aspettative e il senso di inadeguatezza sono infatti tra i principali motivi riportati come cause legate al senso di ansia, così come le incertezze per il proprio futuro e le scadenze impellenti nello studio e nel lavoro”.
“Purtroppo – continua – i recenti casi di cronaca ne sono una drammatica testimonianza. Dalla nostra indagine risulta che negli ultimi anni ben quattro giovani su dieci si sono rivolti a uno psicologo e altri due stanno pensando di contattarlo. Un segnale positivo che ci spinge ancora di più a non lasciare sole le nuove generazioni e costruire insieme a loro delle strategie di supporto integrato”.
Aggiungiamo, noi di F-Mag, che il fatto che i giovani italiani prendano stipendi da fame (in una recente indagine INPS si stima che nel 2020 tra i 25 e 29 anni una RAL mediamente si aggira intorno ai 14.500 euro annui), che i nostri stipendi siano gli unici europei in decrescita dal ’92, che il costo della vita renda impossibile anche acquistare una casa e che la precarietà sia un dato di fatto ancora presente (“tra i nuovi contratti del 2021 sette su dieci a tempo determinato, il tasso dei poveri con un impiego resta più alto della media Ue, e l’Italia è l’unico Paese che in 30 anni ha visto diminuire i salari” recitava il Corriere in apertura di questo articolo) certo contribuisce a rendere il lavoro, e il ricatto del lavoro così come erogato in Italia, un vero e proprio incubo per cui si fa sempre troppo poco.