Madre non è (ancora) mamma: nessuna più venga abbandonata dopo il parto
Non si è mamme nel momento in cui si partorisce: si diventa madri, non mamme. Si acquisisce uno status e con esso tutto ciò che ne consegue ma non si è mamma. Perché essere mamma vuol dire accettare di sentirsi sempre responsabile e di avere una vita che viene prima della propria. Perciò ci vuole tempo, ci vuole pazienza, non ci vogliono i consigli non richiesti ma le mani tese, ad aiutare una neo mamma.
Io l’articolo, anzi, la marea di articoli, sul caso “Pertini” (basta questo a capire di cosa parliamo) non l’ho letta. Ho capito la storia dal titolo ma mi sono rifiutata di entrare nei dettagli. Eppure faccio la giornalista da 20 anni quasi. Ma mi è bastato il titolo per rabbrividire, per tornare con la mente e anche con le sensazioni del mio corpo, a quando, poco più di un anno fa, in un letto d’ospedale, subito dopo aver dato alla luce un’altra meravigliosa vita, c’ero io.
E come a me, è successo a tantissime donne di tornare al giorno in cui sono diventate madri, tanto da farne un hashtag “Potevo essere io”. Sì, poteva essere qualunque donna. È per questo che tutti, nessuno escluso, i titoli di quella devastante notizia sono profondamente sbagliati: non è di una donna che allattando, che è una delle cose più belle che esistano, si è addormentata soffocando l’amore della sua vita nato da appena tre giorni. No, non è di questo che parliamo. Parliamo di abbandono, vero, reale amplificato ancora di più dalla solitudine imposta negli ospedali dopo il Covid19. Ecco di cosa parliamo. E ci siamo davvero passate tutte.
Non è un’accusa al sistema sanitario che sotto processo, ci finisce spesso. Ma lo è alla cultura che gira intorno ad una madre, come se la sua natura dovesse scattare immediatamente dopo il parto e dovesse viverla da sola, soprattutto: “Sei madre, accudisci da sola tuo figlio, e non ti lamentare. Perché è così e basta”.
Sì, è successo anche a me. Ed è per questo che nessuna donna riesce a leggere quella notizia senza sentirsi un nodo in gola, senza guardare il proprio figlio o la propria figlia e tirare un profondo sospiro di sollievo per non essere stata quella donna. Quella il cui dolore di adesso non si può neppure lontanamente immaginare.
Una neo mamma si sente in colpa persino di cose di cui non ha nessuna responsabilità, persino di un calo fisiologico o di una poppata in meno o di un bimbo che non dorme. E ci vogliono mesi per abbandonare quel senso di colpa e di responsabilità così profondo da mettere in discussione ogni istante della vita di una mamma. Mesi in cui si inizia a convivere con la propria rivoluzione e a capire come funziona, come farlo funzionare alla meglio, perché un modo vero non c’è.
Eppure a pochissime ore dal miracolo della vita, quando fisicamente cerchi di rimettere in sesto il tuo corpo, ti chiedono di essere mamma. Non si è mamme nel momento in cui si partorisce: si diventa madri, non mamme. Si acquisisce uno status e con esso tutto ciò che ne consegue ma non si è mamma. Perché essere mamma vuol dire accettare di sentirsi sempre responsabile e di avere una vita che viene prima della propria. Perciò ci vuole tempo, ci vuole pazienza, non ci vogliono i consigli non richiesti ma le mani tese, ad aiutare una neo mamma.
E invece, no: “L’hai voluto tu, non ti lamentare”. Ecco, non esiste l’opzione del chiedere semplicemente aiuto. Si è parlato di violenza, perché lo è, figlia di quella cultura di cui sopra, che ci vuole donne un attimo prima e mamme quello subito dopo. E in mezzo? In mezzo c’è quel vuoto immenso in cui si è trovata quella donna. In cui si trova ogni donna. E che maledettamente, nel suo caso, ha portato alla tragedia peggiore per una mamma. Ed è quel vuoto che va riempito invece d’amore e sostegno.
Il pensiero di ogni donna, di ogni mamma va a lei, alla donna degli articoli, al cosa possa aver provato nello svegliarsi pronta ad accogliere suo figlio ma senza il suo bambino; agli sguardi di pena e compassione probabilmente che l’hanno circondata e al profondo dolore. Io quegli articoli, non li leggerò ma c’è una cosa che se potessi direi a quella donna: “Non passerà quel dolore ma tu, cara mamma, non ne hai mai avuto la colpa. Tu sei stata una splendida mamma e questo niente lo cancellerà mai”.