Il Grande Ripensamento che non esiste ma continua a far parlare di sé
Il Grande Ripensamento, trend contrapposto alle Grandi Dimissioni che in realtà non esiste, continua a proliferare tra webzine e social. Ecco la fenomenologia di un trend inesistente e chi è complice di tali letture.
Del cosiddetto fenomeno del Grande Ripensamento – il contraltare alle Grandi Dimissioni che invece sono reali e tangibili – ne abbiamo parlato già due volte: la prima in questo articolo in cui abbiamo fatto le pulci (nemmeno con grande difficoltà) alla “ricerca” (per usare paroloni) di Joblist dedicata al “fenomeno sedicente” che già solo logicamente smentiva sé stessa.
Lo studio, di cui poi ci siamo permessi di smontare anche il campione, sosteneva in soldoni che un americano su quattro avrebbe ben fatto a meno di dimettersi dopo la pandemia. Viene da sé che 3 su 4, per la stessa logica, ne sarebbero tutt’oggi felici. Ma vabbé. Vi lasciamo all’intero articolo per gli approfondimenti.
Abbiamo poi scoperto e raccontato in quest’altro pezzo che anche Forbes aveva fatto sua la ricerca per arrivare alle stesse, identiche e illogiche conclusioni. In quel caso, chi vi scrive ha dedicato parte del suo tempo per disaminare la necessità di un giornalismo etico anche nella lettura dei dati, la sua contestualizzazione e il rispetto di una verità oggettiva che vada di pari passo con l’interpretazione soggettiva che il numero intrinsecamente porta in sé.
Tempo addietro ci siamo imbattuti in dati diffusi dallo Stato italiano sulla violenza di genere. Il rapporto, tra l’altro, diceva che in Campania si registrava il minor numero di denunce di donne picchiate. Con lo stesso dato assoluto in mano, un quotidiano partenopeo titolava con fierezza “Campania ultima per casi di violenza”, mentre un giornale nazionale d’area centrodestra titolava “Campania fanalino di coda per le denunce”. Stesso numero, due letture agli antipodi. Questo dimostra la fallibilità del dato, che va sempre e comunque interpretato e calato in un contesto.
Enrico Parolisi
Pensavamo – con una certa sufficienza e una certa presunzione – che l’argomento si fosse esaurito lì. Invece, nei meandri del facile battibeccare in Rete, l’inesistente fenomeno del Grande Ripensamento ricompare ora su un altro web magazine, Dealogando, che ha dato il là ai post di un buon numero di recruiter su LinkedIn.
Proprio questo desiderio di rivalsa ha generato un fenomeno ormai noto a tutti come Great Resignation, o Grandi Dimissioni: secondo un sondaggio condotto dalla piattaforma Joblist negli Usa, sono in molti ad essersi pentiti della scelta di lasciare il lavoro e circa un (ex) lavoratore su quattro non rassegnerebbe di nuovo le dimissioni.
Dealogando
La questione, quindi, è tuttaltro che banale: una storia ghiotta continuerà a essere vera fin quando servirà a qualcuno per dimostrare qualcosa. Ed è qui che vale la pena spendere qualche minuto delle nostre riflessioni del lunedì.
“Se è venuta bene a Joblist…”
In questo caso, il post voleva essere un articolo sui “rimpianti” sul lavoro. Oltre a mettere a fonte la ormai famosa ricerca Joblist, chi ha scritto l’articolo si è dato man forte con un’altra ricerca, stavolta a firma Hunters Group. E la stessa Hunters Group ha messo in rassegna stampa l’articolo. Andiamo a recuperare lo spezzone d’articolo che cita tale ricerca.
Spostando lo sguardo sull’Italia, sembra che il “Grande Ripensamento” non abbia le stesse dimensioni degli Stati Uniti, eppure qualcosa si muove anche qui: una ricerca di Hunters Group, società di selezione del personale, su un campione di 1000 lavoratori che si sono dimessi nel periodo della pandemia, rileva che il 32% degli intervistati si ritiene poco o per nulla soddisfatto del cambio di lavoro e il 29% sarebbe addirittura disposto a tornare sui suoi passi.
Il sondaggio si legge pari pari come quello di Joblist: meno di uno su tre tra i dimissionari si dichiara pentito della scelta fatta. In valori assoluti: su mille lavoratori (1000, eh) di un cerchio ben definito (dimissionari in pandemia e presumibilmente raggiunti da Hunters Group perché alla ricerca di lavoro) solo 290 stanno rimpiangendo i tempi che furono.
Considerando che i dimissionari, secondo sito INPS, nei soli primi sei mesi del 2022 sono oltre 1 milione, permettete di sollevare qualche dubbio a noi poveri giornalisti formati come un tempo.
Perché così tante ricerche?
Ma andiamo alla fonte di tali deviazioni del senso logico delle cose. Ogni gruppo piccolo o grande oggi ha potenzialmente i mezzi per accedere agli organi d’informazione. Basta dotarsi di un addetto stampa con una buona lista di contatti. Il resto lo si fa dall’altro lato, in quell’informazione che dovrebbe fare da filtro tra ciò che merita e non merita attenzione mediatica. E spesso abdica a questo ruolo (vuoi per riempire i siti di contenuti, vuoi per perorare posizioni di causa, vuoi per fare la cortesia al collega addetto stampa).
Il gioco è noto ed è uno dei motivi di poco credito di una informazione online in cui viene meno il rigore giornalistico. Tra le prime cose che insegnano a una scuola di giornalismo c’è proprio l’essere filtro tra la notizia e il lettore, che la valutazione del giornalista è necessaria per una buona informazione.
Ma soprattutto insegnano che se una fonte parla a un giornale c’è quasi sempre un motivo di interesse.
Il proliferare di comunicati stampa di aziende piccole, medie o grandi che provano a posizionarsi sfruttando i media è un dato di fatto. Ma è la lettura giornalistica che dovrebbe mettere al riparo il lettore da cattiva informazione e/o infodemia.
Il resto lo fa la Rete, nella sua natura e con il problema culturale di chi vi approccia. Una non-notizia corre al pari di una notizia, si veda il caso dell’enorme bufala e panzanata dell’uomo marrocchino che percepiva otto redditi di cittadinanza (uno per moglie). Talmente grande da sembrare irreale, ma anche talmente bella da essere ricondivisa, in un crescendo di giornalisti che hanno volontariamente avallato una chiacchiera da bar, finanche dall’ex Ministro dell’Interno.
Nel piccolo, il Grande Ripensamento è come l’uomo marocchino con le sette mogli: una storiella da bar non supportata da nulla, ma che è troppo bella per non essere raccontata. Facendo rumore attorno al nome di quelle società di recruiting che si sono ritagliati un altro po’ di web reputation attraverso i giornali.