Editoriale

Italia e la laurea che riscatta le donne operaie licenziate da Whirlpool

Affrontare il tema del lavoro femminile in modo corretto, e soprattutto utile, significa non guardare solo alle politiche del lavoro ma all’insieme degli ostacoli che le donne devono superare nel momento in cui si inseriscono e/o reinseriscono nel mercato del lavoro.

Italia Orofino si è laureata. A quasi 50 anni, mamma di due adolescenti e, soprattutto, esempio di Resistenza, quella del ventunesimo secolo, fatta di battaglie spesso senza voce o inascoltate. Italia è una lavoratrice ex Whirlpool di Napoli.

Conosco Italia dal 31 maggio del 2019, giorno che segna l’inizio di una delle vertenze più complicate degli ultimi anni nel nostro Paese. Quel che è emerso con forza durante tutti questi mesi di lotte è stata la forza delle donne operaie di Whirlpool Napoli, un piccolo esercito di guerriere che hanno mantenuto il passo della vertenza con vigore, audacia, orgoglio e coerenza tutte femminili. Le donne di Whirlpool, quelle che dietro gli striscioni hanno guardato dritto nelle telecamere e a squarciagola rivendicato il diritto al lavoro loro e dei compagni, quelle che a casa, al presidio in fabbrica, con i figli e con i genitori, hanno fatto le equilibriste sul filo di una vita complicata.

Le donne hanno saputo reggere la costruzione del modello di vertenza, attraverso innanzitutto una presenza costante, precisa, quasi accudente, ma che ha saputo scavalcare quella genderizzazione tipica delle chiusure delle fabbriche, quando sono gli uomini a scendere in piazza e le donne a restare a casa. Le donne di Whirlpool Napoli hanno presidiato di giorno e di notte, in qualsiasi stagione, in una zona che di certo non è nuova anche a episodi di violenza. Hanno coinvolto interlocutori negli eventi dando quel valore in più attraverso una cura della vertenza stessa che ha travalicato quasi l’essenza della lotta e l’ha portata su un piano di umanizzazione.

Affrontare il tema del lavoro femminile in modo corretto, e soprattutto utile, significa non guardare solo alle politiche del lavoro ma all’insieme degli ostacoli che le donne devono superare nel momento in cui si inseriscono e/o reinseriscono nel mercato del lavoro. Il lavoro delle donne ha sempre rappresentato contemporaneamente un obiettivo e un problema: da un lato la necessità, soprattutto a partire dal Dopoguerra, di dare vita e voce alle donne attraverso il riconoscimento del diritto pieno e vero al lavoro e dall’altro una forte tensione legata più che altro ad una altrettanto forte genderizzazione del lavoro di cura nel nostro Paese.

Prima ancora di arrivare alle contraddizioni che legano i concetti di lavoro femminile e lavoro di cura (ovvero lavoro in famiglia non pagato né riconosciuto) una riflessione va fatta anche sulla scolarizzazione delle donne in Italia, ovvero su una forbice che scarta le donne rispetto agli studi tecnico scientifici (che di fatto consentono un dignitoso inserimento al lavoro) e su un numero di donne laureate più alto degli uomini ma che poi non vede nel mondo del lavoro un corretto riconoscimento.

Significa, da un lato, che le donne se studiano, studiano materie che non risultano coerenti con i fabbisogni delle imprese e se studiano materie “da uomini” comunque non hanno la giusta soddisfazione lavorativa perché spesso successivamente sono chiamate a scegliere tra famiglia e lavoro.

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Italia Orofino il giorno della laurea

Arriviamo così a quella che abbiamo suindicato come la genderizzazione del lavoro di cura, ovvero il fenomeno secondo cui sono le donne ad avere il 95% dei carichi di cura dei minori, degli anziani e delle persone non autosufficienti, lasciando agli uomini la possibilità di lavorare, di avere responsabilità all’esterno, di fare carriera e di trovarsi praticamente deresponsabilizzati.

Il percorso normativo, indirizzato da alterne vicende politiche, ha comunque dettato comportamenti che sempre più avvicinano le donne al lavoro, sebbene il percorso sia ancora lungo e tortuoso.

Le lavoratrici e i lavoratori di Whirlpool Napoli sono stati in lotta 29 mesi per la salvaguardia del loro posto di lavoro e far chiudere il penultimo stabilimento della cosiddetta “zona industriale” di Napoli – trasformata nel tempo in un deserto, ferita aperta per la città – è chiaro segnale di una volontà di disinvestimento al Sud e vuol dire consegnare centinaia di famiglie al degrado.

Negando il lavoro si condannano i territori e le famiglie alla povertà, alla criminalità organizzata, alla marginalità sociale. Nessuno è parso indifferente al problema, anzi, ma pur avendo provato a portare soluzioni, inequivocabilmente Whirlpool le ha restituite tutte ai mittenti.

Il tempo della vertenza Whirlpool è terminato, nel senso che il 30 novembre 2021 le operaie e gli operai di Napoli sono stati licenziati e, al netto di una buonuscita e della Naspi, hanno la speranza di essere assorbiti da un neonato Consorzio di imprese. Va da sé che alla data in cui si scrive, è tutto un’ipotesi e di sicuro ci sono tre elementi distintivi della vertenza stessa:

•             il primo, Whirlpool è stata un presidio di legalità, una comunità che si è auto-sostanziata e che ha ripercorso i punti della nostra Costituzione antifascista, che sancisce che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

•             il secondo, la lotta Whirlpool ha sancito un nuovo modo di fare vertenza, responsabilizzando tutti, dalla città al Governo, alla Regione, alle forze sindacali, all’opinione pubblica, al mondo dello spettacolo, definendo una linea precisa, ovvero che gli accordi non si toccano, perché il rischio è aprire un’autostrada a tutte le multinazionali – e non solo – che potranno siglare accordi in Italia, sfruttare i lavoratori, e poi con logiche predatorie abbandonare territorio e persone per fare profitto altrove.

•             il terzo, le donne di Whirlpool Napoli hanno dimostrato una forza e una tenacia indescrivibili, combattendo al pari e più dei colleghi uomini, consapevoli che essere donna espulsa dalla produzione in una città come Napoli rappresenta un elemento discriminatorio quasi insuperabile.

Italia ha incarnato nella sua quotidianità la vertenza facendola sua e ne ho apprezzato nel corso di quasi tre anni tre aspetti fondamentali: la tenacia, l’orgoglio, la perseveranza. Io l’ho vista sui binari della stazione, ai cortei portando fieramente lo striscione, a Roma di notte al freddo e sotto la pioggia, coniugando sempre con attenzione il suo essere innanzitutto mamma e poi figlia, sorella, amica. L’ho vista piangere in silenzio, sorridere sempre un po’ preoccupata, ma non l’ho mai vista abbattersi, mai piegata agli eventi, mai chinata nella tempesta e sempre a testa alta nel vento come sotto al sole torrido o la pioggia battente.

Ho imparato da Italia, ho imparato tanto e soprattutto mi ha dimostrato ancora una volta, senza demagogia, senza nessun retropensiero, il valore del femminile nelle cose difficili, cioè quanto è importante fare le lotte, difficili, lunghe, dolorose e quell’essere donna con i valori della cura, dell’attenzione, dell’accoglimento che hanno reso grande questa laurea. Una laurea diversa dalle altre, simbolica, forte, non solo un obiettivo didattico ma un obiettivo di vita.

Italia è diventata un simbolo in questi tre anni e la laurea è stata un successo valoriale per lei e per tutti noi.

Complimenti Italia, complimenti per il tuo coraggio, la tua bellezza interiore, la tua caparbietà. Fortunati noi a essere tuoi amici, porta avanti sempre il tuo coraggio e sottobraccio la tua tesi, componente sostanziale della tua vita e un po’ anche della nostra.

Monica Buonanno

Esperta di politiche attive del lavoro, dipendente di Anpal Servizi, Partner di Progetto del Forum Disuguaglianze e Diversità, già Assessore alle Politiche Sociali e al Lavoro del Comune di Napoli. In un mondo dove le disuguaglianze sono sempre più nette, trova inadeguata una politica che segmenti servizi e misure contro le povertà. Propone un modello di integrazione tra lavoro, welfare e sviluppo territoriale.

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