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Bi-Rex, la rivoluzione green di due ricercatrici: “Non chiamateci ragazze”

La ricerca sostenibile: cellulosa e non solo dagli scarti industriali.

Due ricercatrici, esperte di chimica e pronte a lanciare un’azienda che mira a rendere sostenibile la produzione di cellulosa per la carta e quella di chinina per le bioplastiche. Basterebbero queste poche righe per rendere questo evento una notizia. Le due ricercatrici in questione sono Greta Colombo Dugoni e Monica Ferro, e il progetto che sta per andare sul mercato è Bi-Rex. Di cosa si tratta e quali obiettivi vuole raggiungere lo abbiamo chiesto a Greta Colombo Dugoni.

Partiamo dal progetto, che cos’è Bi-Rex?
“È un progetto di ricerca nato al Politecnico di Milano. Abbiamo unito due progetti, il mio focalizzato su nuovi solventi ecosostenibili e quello di Monica Ferro incentrato sulla cellulosa. Abbiamo cercato la cellulosa negli scarti di produzione e abbiamo messo su un processo molto versatile che, in base al tipo di “rifiuto”, riesce a estrarre diverse materie prime. Dal “pastazzo” degli agrumi, ovvero dallo scarto della spremuta di arance, riusciamo così a ricavare cellulosa e pectina (quella usata per fare le marmellate ndr). Considerando che l’Italia è il secondo produttore europeo di arance e che l’80% di queste diventa spremuta, abbiamo già una base di lavorazione potenzialmente enorme. Dal malto e dall’orzo di risulta, dopo la produzione della birra, siamo riuscite a ottenere cellulosa, lignina ed emicellulosa (usata per il bio fuel). Infine dai gusci dei crostacei e dagli insetti riusciamo a ricavare chitina, utilizzata per le bioplastiche”.

Come funziona il processo?
“Senza scendere troppo nei dettagli tecnici, si tratta di mescolare questa nuova classe di solventi riciclabili e atossici, denominati DES (Deep Eutectic Solvent), alle biomasse, ovvero agli scarti di produzione. Da ciò ricaviamo nuova materia prima”.

Ma questo processo economicamente è sostenibile?
“Stiamo facendo la validazione sul mercato. Siamo passati dalla ricerca di laboratorio fatta su pochi grammi, a quantità sempre maggiori. Le posso dire che per la chinina siamo molto concorrenziali. Il nostro processo avviene a basse temperature e si completa in due ore. Il costo di produzione al momento sembra essere dieci volte inferiore a quello di mercato. Per la cellulosa il discorso è un po’ più complesso, perché i prezzi di questa materia sono molto bassi. Ma stiamo lavorando anche sui solventi, perché essendo riciclabili e riutilizzabili abbassano il costo di produzione. Inoltre qui il plus della sostenibilità è molto sentito, perché con il nostro sistema non si abbattono alberi per produrre carta. E abbiamo il vantaggio che la richiesta di cellulosa sta crescendo esponenzialmente, man mano che aumentano le restrizioni per l’uso della plastica”.

Come vi state finanziando?
“Abbiamo avuto un finanziamento di 160mila euro dal fondo di investimento Poli360 per studiare la fattibilità tecnica del progetto e verificarne la sostenibilità economica. Adesso abbiamo ricevuto diverse manifestazioni di interesse sia per la cellulosa che per la chitina, e queste aziende stanno valutando i nostri campioni”.

Quanto è difficile passare dal laboratorio a un’azienda che sta sul mercato?
“Fare uscire una ricerca di laboratorio dall’università non è facile. Essere al Politecnico ha sicuramente aiutato, perché per sua natura è più orientato al mercato e ha una serie di strutture di supporto, come il PoliHub (accelleratore e incubatore di start up ndr). Ma non è un caso che le start up chimiche in Italia siano pochissime. Il nostro settore è “capital intensive”. Un’azienda chimica sta sul mercato perché produce tonnellate di prodotti al giorno. In laboratorio si parte dai grammi. Poi si va per step: 100 grammi, un chilo, 5 chili e così via. Noi ora siamo a una produzione di 200 kg al giorno, ma ogni passaggio va validato e ha dei costi importanti”.

Due donne italiane che fanno chimica (materia non tra le più studiate nel Paese) e che lanciano anche una start up innovativa. Quanto è stato difficile?
“Essere donna ha i suoi pro, ovviamente. Con Monica Ferro abbiamo abbattuto gli steccati di due ricerche diverse e abbiamo fatto squadra. Questo è stato il vero motore di tutto. Poi devo dirle che essere donna è difficile, soprattutto in ambito scientifico, ma il vento sta cambiando. Ci capita spesso di essere chiamate “le ragazze”. Ma noi non siamo ragazze: siamo ricercatrici”.

Romolo Napolitano

Giornalista professionista dal 2011 è stato, non ancora trentenne, caporedattore dell’agenzia di informazione videogiornalistica Sicomunicazione. Ha lavorato 3 anni negli Stati Uniti in MSC. Al suo ritorno in Italia si è occupato principalmente di uffici stampa e comunicazione d'impresa. Attualmente è giornalista, copywriter e videomaker freelance. Si occupa, tra le altre cose, di tecnologie, nautica e sociale.

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