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Sostenibilità, digitale e inclusione sociale orienteranno i nuovi modelli di business

Gli asset dello sviluppo imprenditoriale italiano verteranno sulla sostenibilità e il digitale, leve principali attraverso cui si potrà contribuire all'inclusione sociale: la ricerca di The European House Ambrosetti e Microsoft Italia

Sostenibilità, digitale e inclusione sociale sono le chiavi dello sviluppo del prossimo futuro per l’Italia. Lo sottolinea fortemente lo Studio Digitalizzazione e sostenibilità per la ripresa dell’Italia”, elaborato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia presentato nell’ambito dell’omonimo forum ad inizio settembre.

La ricerca si è posta l’obiettivo di indagare il contributo del digitale allo sviluppo sostenibile, identificandone gli ambiti di applicazione e quantificandone gli impatti sulle sue diverse componenti per l’Italia nel contesto della ripresa post pandemia.

“Le tre grandi sfide per il rilancio del nostro Paese – sostenibilità, digitale e inclusione sociale – sono strettamente legate tra di loro e, investendo in maniera sinergica e strategica, possono creare un circolo virtuoso in grado di accelerare non solo la ripresa, ma l’evoluzione verso nuovi modelli di business e vita più sostenibili

Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia.

Lo studio

Lo studio è stato condotto su un campione di oltre 200 aziende, con focus di approfondimento circa le nuove forme di lavoro a distanza (64% del campione) e di collaborazione (59% del campione) sono, infatti, percepite come le principali leve attraverso cui il digitale può contribuire alla sostenibilità sociale.

“La crisi del Covid-19 ha alimentato il senso di urgenza rispetto alla necessità di una transizione verso forme di sviluppo più sostenibili, in cui crisi climatica e crescita delle disuguaglianze sono i due fattori di rischio principali. Il 2021 è un anno chiave per imprimere forti discontinuità rispetto al passato” 

Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. 

Nello Studio vengono identificate le sinergie tra trasformazione digitale e le diverse componenti di sviluppo sostenibile.

  • Sotto il profilo della sostenibilità economica, lo studio dimostra come le aziende digitalizzate ottengano un importante beneficio sulla produttività del lavoro rispetto alle aziende che non hanno ancora attuato percorsi di trasformazione digitale (+64% per le aziende italiane, rispetto ad un +49% per le aziende europee).
  • Sotto il profilo della sostenibilità ambientale, il gruppo di lavoro di The European House – Ambrosetti ha costruito un innovativo modello proprietario per stimare il contributo del digitale alla decarbonizzazione. Dal modello risulta come il digitale sarà una delle armi più importanti per la transizione verde, con un impatto al 2030 pari a quello incrementale delle energie rinnovabili. Complessivamente, infatti, si stima che tra il 2020 e il 2030 il digitale contribuirà ad abbattere fino al 10% delle emissioni rispetto ai livelli del 2019 (37 milioni di tonnellate di CO2 annue).
  • Sotto il profilo della sostenibilità sociale, lo studio evidenzia chiaramente come l’adozione di nuovi modelli di collaborazione sia la principale leva d’azione attraverso cui le aziende possono contribuire al benessere delle persone, all’inclusione sociale e all’inclusione dei territori. Nella survey condotta su un campione di oltre 200 aziende italiane in cui nuove forme di lavoro a distanza (63,7% del campione) e di collaborazione (59% del campione) sono state indicate come le principali leve attraverso cui il digitale può contribuire alla sostenibilità sociale.

I risultati della ricerca “Digitalizzazione e sostenibilità per la ripresa dell’Italia”

I principali risultati della ricerca sottolineano che:

  • I valori di sviluppo sostenibile sono sempre più al centro di un interesse acceso e cresce tra le aziende la consapevolezza del loro valore quale leva competitiva per il business: il 64% delle aziende intervistate considera infatti la sostenibilità ambientale come uno dei pilastri della propria visione. Sostenibilità ambientale che si declina secondo significati differenti: per il 59% delle aziende sostenibilità ambientale significa efficientamento dei processi interniper il 39,6% implica il rinnovamento dei propri prodotti e servizi in ottica sostenibile, il 5% del campione ha indicato anche la necessità di competenze e figure professionali adeguate per concretizzarne le implementazioni produttive e strategiche per uno sviluppo sostenibile. Segue a questa esigenza strutturale l’intenzione di allargare la propria visione di sviluppo sostenibile all’intera filiera, che complessivamente interessa oltre il 60% del campione.
  • Percentuali queste che si riducono nel caso delle piccole e medie imprese: solo il 47% delle PMI, infatti, considera la sostenibilità un caposaldo della propria missione (vs. 67% delle sole grandi aziende). Il 50% sta ridisegnando i propri processi interni in ottica di efficientamento del consumo di risorse (vs 69% grandi). Gli sforzi principali delle piccole imprese per implementare dinamiche di sviluppo sostenibile si concentrano invece principalmente nella selezione della supply chain (50%) e, sorprendentemente, nella creazione di figure professionali pronte ad agire il cambiamento. Le piccole imprese, in sostanza, scommettono sulle persone e sulle capabilities “green” lungo tutta la filiera.
  • Vero abilitatore del cambiamento in chiave sostenibile è la presenza di una cultura aziendale orientata al digitale. A sostenerlo è il 42% delle aziende del campione; a seguire, la presenza di processi che permettano di sfruttare a pieno il digitale (24%) e delle giuste competenze per creare valore a partire dagli asset digitali in azienda (21,5%). Fattori, questi tre, che guardati insieme rimandano alla maturità del business in materia di digitale e nuove tecnologie. Una cultura aziendale digitale, che integra la tecnologia nella propria value chain e nella propria strategia, è quindi predisposta a sfruttarne il valore oltre la “semplice” efficienza, ma anche, ad esempio, ad innovare prodotti e servizi e registrare impatti positivi sui territori di attività – con maggiore ingaggio di consumatori e investitori, e ricadute positive in termini di competitività.
  • Dalla ricerca emerge inoltre che oltre l’86% delle aziende dichiara di aver implementato o programmato misure per la sostenibilità abilitate dal digitale. Il restante 14%, che ancora non ha realizzato né pianificato implementazioni sostenibili, fa riflettere sulla necessità, ancora invalidante, di finanziamenti a sostegno della transizione green e della digitalizzazione, governance orientate alla sostenibilità e procedure più snelle – a cui il PNRR, con il 70% delle risorse dedicate a green e digitale, potrà imprimere un’accelerazione significativa.
  • Anche in questo caso, però, la dimensione dell’azienda è una variabile significativa: la quota di piccole aziende che fanno leva sul digitale per incrementare il loro livello di sostenibilità ambientale è dimezzata rispetto alle grandi aziende (38% 69%), mentre la quota di PMI che non ha ancora implementato queste misure ammonta a circa il 25% (vs. il 10% delle grandi). Questi dati parlano di una difficoltà delle aziende più piccole a stare al passo con la doppia rivoluzione che le investe – green e digitale. Tuttavia, è proprio in seno alle piccole imprese che avverranno gli sforzi maggiori nel prossimo futuro: il 38% delle piccole imprese ha infatti programmato misure digitali per la sostenibilità, contro il 21% delle grandi.
  • Diminuzione degli spostamenti (71,2%), dematerializzazione dei processi (68,4%), gestione più efficiente delle operations (50,9%) e incremento delle attività di monitoraggio (49,1%) sono i principali fattori che secondo le aziende intervistate contribuiscono a migliorare il livello di sostenibilità ambientale.

Le proposte di Microsoft – Ambrosetti

Sono tre le proposte concrete elaborate da The European House – Ambrosetti insieme a Microsoft Italia e indirizzate ai policymaker e alle aziende:

  1. Abilitare il diritto/dovere alla formazione digitale attraverso un “new Deal” delle competenze: una pluralità di indicatori segnala la carenza di competenze digitali come l’elemento di debolezza chiave del sistema industriale italiano. È infatti appena il 42% degli adulti a possedere competenze digitali di base, contro una media UE del 57%. Incentivare le competenze necessarie a sfruttare, a livello professionistico e di massa, il potenziale del digitale è quindi chiave non solo per la produttività, ma anche per gli obiettivi di transizione verde, in un contesto di mercato sempre più veloce e con una crescente importanza dell’apprendimento permanente.
  2. Sancire il diritto universale al digitale come leva di inclusione sociale e riduzione delle disuguaglianze. Post Covid, le Nazioni Unite riportano un deterioramento trasversale degli indicatori legati ai Sustainable Development Goals, con impatti particolarmente severi in particolare su tre fronti: economia, salute e istruzione. Come confermano i dati sull’andamento della povertà nel nostro Paese per il 2020, il numero di individui in povertà assoluta è passato da 4,6 a 5,6 milioni di individui, registrando un aumento del 22,8%. Il dato riflette la severità degli andamenti occupazionali, per cui tra gennaio e dicembre 2020 si è registrata una contrazione -1,1% per gli uomini e del -2,7% per le donne. Ma, forse ancora più significativo, è l’aumento del numero degli inattivi: persone senza lavoro ma che, scoraggiati dalla crisi, rinunciano a ricercare un’occupazione: +2,6% per gli uomini e +3,7% per le donne. La pandemia ha quindi accelerato l’importanza di interventi volti a colmare il digital divide tra la popolazione e tra porzioni del territorio italiano, aprendo opportunità di sviluppo per i territori economicamente meno dinamici e periferici, grazie alle possibilità offerte dal digitale e dalla remotizzazione del lavoro, che può innescare circoli virtuosi di sviluppo e brain (re)gain per i territori periferici del Paese
  3. Individuare standard condivisi per misurare l’impatto delle aziende tra i molti esistenti: al fine di poter convogliare anche le energie del mondo privato verso la costruzione di modelli di produzione e consumo sostenibili, è chiave elaborare metodologie condivise per la quantificazione degli impatti ambientali e sociali di tutte le attività di impresa. Senza la misurazione degli impatti, sarà infatti impossibile trasformare il minor impatto ambientale o sociale in un vero e proprio vantaggio competitivo degli operatori più virtuosi, innescando meccanismi di premialità economica e finanziaria per i soggetti più avanzati sulla strada della carbon neutrality.

Origine
Microsoft Italia

Redazione

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