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La Cina vieta le criptovalute per eliminare la concorrenza. L’analisi di WisdomTree

"Anche se rilevante, questa svolta non è del tutto inaspettata. La PBoC ha recentemente lanciato la sua moneta digitale (Cbdc) in 28 regioni, con una forte promozione nelle principali aree economiche. In un breve lasso di tempo, la Cina ha reso disponibile a quasi il 10% della popolazione la sua app sullo yuan digitale".

La Cina dice no alle criptovalute: lo scorso 24 settembre, la People’s Bank of China (PBoC) ha ribadito che gli asset digitali come bitcoin, ether e tether non hanno lo status di moneta legale. Lo stesso Governo cinese ne ha, subito dopo, vietato l’utilizzo bandendo di fatto le criptovalute dal Paese.

Ma i motivi di questa scelta così netta vengono spiegati da Jason Guthrie, Head of Digital Assets Europe di WisdomTree, società di investimenti:

Se il governo cinese sente di dover intervenire per gli alti tassi di adozione delle cripto, viene da pensare che questo strumento abbia raggiunto un livello tale da costituire una sfida al controllo cinese, un’ipotesi che, a sua volta, dimostrerebbe la validità e l’efficacia dello strumento. In altre parole, la Cina potrebbe vietare Bitcoin semplicemente perché funziona”

La Cina e i bitcoin

La Cina, continua Guthrie nel report, ha chiarito che proibisce attività di commercializzazione, pagamento/regolamento e supporto tecnico in relazione ai criptoasset. Sta anche intensificando le misure di controllo sugli scambi di criptovalute o sulle persone che agiscono come controparte centrale per qualsiasi attività di acquisto/vendita ed emissione di prodotti per i clienti cinesi.

“Anche se rilevante, questa svolta non è del tutto inaspettata. La PBoC ha recentemente lanciato la sua moneta digitale (Cbdc) in 28 regioni, con una forte promozione nelle principali aree economiche. In un breve lasso di tempo, la Cina ha reso disponibile a quasi il 10% della popolazione la sua app sullo yuan digitale. Ma allora perché vietare le criptovalute? Innanzitutto, per eliminare la concorrenza”.

Se andiamo a vedere le 28 aree chiave in cui la Cina sta cercando di sperimentare lo yuan digitale, osserva l’analista, “due di queste aree ospitano le basi operative di Huawei, Tencent e Alibaba. Queste regioni giocano un ruolo strategico nello sviluppo high-tech cinese e spesso ospitano le iniziative più tecnologiche. Inoltre, Sichuan, XinJiang, Yunnan e Mongolia Interna sono state la forza trainante del mining di bitcoin in Cina“.

Queste aree della Cina, quindi, “sono state le prime ad adottare i servizi di mobile payment, che sono a loro volta una forza trainante per l’adozione del fintech. Se la PBoC vuole che il suo yuan digitale prenda piede, questi territori saranno con ogni probabilità dei veri e propri campi di battaglia, essenziali per conquistare cuori e menti. Si ipotizza che il ban sulle cripto sia una mossa per eliminare la concorrenza, anche se l’efficacia di tale mossa è tutta da verificare: l’essere “digitale” non è infatti l’unica qualità che rende le cripto appetibili”.

Una mossa possibile a lungo termine?

I cardini del bitcoin, sottolinea l’analista, “sono la decentralizzazione e le transazioni anonime, mentre lo scopo principale del Cbdc è la centralizzazione e la raccolta dei dati. Lo yuan digitale è visto come un buon strumento per il monitoraggio delle attività economiche, il miglioramento del sistema fiscale e un modo per (ri)affermare i controlli sui capitali. Vietare altre criptovalute, che esistono in un ecosistema concorrente, avrebbe senso se l’obiettivo finale è quello di aumentare la loro influenza sul sistema monetario”.

Alla luce della notizia del 24 settembre 2021, i principali cripto asset hanno registrato un ribasso: bitcoin (Btc) ed ether (Eth) hanno subito un calo di circa il 10%, e il mercato generale ribasso da 2 a 1,8 trilioni di dollari in 4 ore. “Tuttavia, i prezzi si sono rapidamente stabilizzati intorno a 43 mila dollari per Btc e 2,9 mila dollari per Eth, e poi hanno ricominciato a salire”.

Gli impatti a medio termine sulla domanda, rileva l’analista, “sono ancora da vedere. Dato che le cripto nascono da e su internet, qualsiasi autorità – anche quella cinese – fa più fatica a censurarle. Questo significa che gli investitori più determinati cercheranno e troveranno nuovi modi per accedere di nuovo al mercato. Tuttavia, qualora la PBoC riuscisse davvero a vendere il suo yuan digitale come alternativa migliore, questo potrebbe determinare un rallentamento e una riduzione dei tassi di adozione delle cripto a livello locale”.

Il trend a lungo termine di una ridotta concentrazione di cripto in Cina, spiega ancora Guthrie, “continua ad essere positivo per il mercato generale. Gli Stati Uniti ne sono tipicamente il beneficiario, in quanto le attività vietate o limitate in questa regione si spostano all’estero. Questo processo comporta trasparenza e accountability maggiori, due qualità che i regolatori e gli investitori richiedono sia agli scambi che ai minatori“.

Come pensiero finale, conclude l’analista, “dovremmo riconoscere che la popolazione cinese è stata un grande utilizzatore di cripto finora. Tra i loro molteplici utilizzi, le criptovalute native come il bitcoin riescono ad offrire alle persone un mezzo per detenere la ricchezza, non vincolata dalle autorità, e un modo per esercitare un maggiore controllo sulla propria vita finanziaria. Una nazione con un alto livello di sorveglianza, una propensione agli interventi governativi e ai controlli sui capitali non può che essere terreno fertile per una tale iniziativa”.

Romolo Napolitano

Giornalista professionista dal 2011 è stato, non ancora trentenne, caporedattore dell’agenzia di informazione videogiornalistica Sicomunicazione. Ha lavorato 3 anni negli Stati Uniti in MSC. Al suo ritorno in Italia si è occupato principalmente di uffici stampa e comunicazione d'impresa. Attualmente è giornalista, copywriter e videomaker freelance. Si occupa, tra le altre cose, di tecnologie, nautica e sociale.

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