Editoriale

A chi dà fastidio il burkini?

Il sindaco di Monfalcone ritiene che farsi il bagno con i vestiti (come fanno le donne islamiche) sia contrario al decoro e al "sentir comune" dei suoi 29mila concittadini. Noi che invece la vediamo un po' più alla larga riteniamo invece indecoroso che la manodopera bangladina a basso costo venga sfruttata grazie a una globalizzazione fallace e venga loro vietato di farsi il bagno un po' come gli pare.

Anna Maria Cisint è un sindaco (eletto in quota centrodestra) di un Comune che si chiama Monfalcone. O Tržič in sloveno. Diciamo che non era così scontato che oggi Monfalcone cadesse in Italia come competenza viste le tribolazioni dei secoli che vanno dal diciottesimo al ventesimo. Insomma, per ognuno è un caso essere italiani, ma per alcuni forse un po’ più di altri.

Dal ’47 che abbiamo avuto un po’ la certezza che Monfalcone e la sua importante storia cantieristica finissero sotto lo sventolante vessillo tricolore ne sono passati di anni. Oggi la cittadina friuliana conta poco meno di 30mila abitanti. Solo a titolo esemplificativo, vi rendo noto che il quartiere Pianura di Napoli ne conta 57mila.

Fatta questa dovuta premessa, Monfalcone è un Paese a maggioranza cattolica (con cinque chiese che praticamente vuol dire una ogni 6.000 abitanti) e in cui – leggo da Wikipedia – solo negli ultimi anni a causa di una presenza più forte di cittadini stranieri si stanno formando circoli islamici. Non esiste ancora una moschea dedicata alla loro preghiera e al loro culto.

Anna Maria Cisint ha deciso di guadagnarsi (di nuovo, importante dire anche questo) l’attenzione mediatica grazie a un chiacchieratissimo coup de théâtre. Questa volta ha deciso che il “sentir comune” dei suoi 29mila e passa concittadini imporrebbe ai cittadini musulmani (donne, perché gli uomini il problema non ce l’hanno) di andare a mare svestiti esattamente come loro. O meglio, solo coi costumi.

Ora, partendo dal presupposto che il burkini è un costume (e quindi l’estrema sintesi giornalistica di guerra al burkini vien meno da sola, perché il problema e lo vedremo a breve è altro), ma quindi tale forma di “sentir comune” si estende anche agli amici inglesi o tedeschi che provano a proteggere la loro delicata carnagione lattea bagnandosi con le t-shirt? Anche noi fieri patrioti italici dobbiamo lasciare i capelli al vento perché coprirli non è indicato, salvo insolazione? La misura Baywatch che per ora misura non è, perché la sindaca Cisint quando scriviamo avrebbe solo scritto alla “comunità musulmana”, ma che poi si dovrebbe trasformare in ordinanza – così è dato sapere – è poi stata ampiamente raccontata alla stampa con l’immancabile comunicato. Tra le righe ci sarebbero sottintesi tipo che i musulmani sono motivo di mancato decoro delle nostre spiagge che tanto abbiamo fatto per restituire ai turisti (occidentali e paganti?). Che operano “pratiche di dubbia valenza dal punto di vista […] dell’igiene“. E poi, ciliegina, ecco che arriva la minaccia di “islamizzazione” del territorio.

Io proprio non ce li vedo i lavoratori di professione musulmana sul territorio friuliano avere questo piano diabolico di islamizzare l’Italia partendo da questo paesino di 30mila anime e procedere alla sostituzione dei piatti tipici goriziani (che vi sorprenderà sapere sono anche piatti tipici all’estero come gulash e crauti) con kubhz e carne halal.

Ma non si parli di massimi sistemi. Questa è discriminazione (nella sua definizione da vocabolario Treccani*) perpetrata tirando in mezzo la religione per distinguere e discriminare una classe sociale “diversamente meritevole”. Quella che stando a Cisint (e sperando sinceramente a pochi altri) è motivo di mancato decoro delle spiagge di Marina Julia e del resto del territorio.

Una prospettiva più ampia e globale, in cui ci vogliamo affrancare totalmente da posizioni di autoattribuita superiorità rispetto a usi e credo islamici “indecorosi” o “di dubbia valenza dal punto di vista dell’igiene”, farebbe invece pensare che il mancato decoro potrebbe essere altro. Ad esempio, importare manodopera a basso costo dal Bangladesh grazie ai disastri della globalizzazione economica e finanziaria e una volta sfruttati sul territorio non permettere nemmeno (alle donne, ripetiamo, perché per gli uomini il problema non sussiste) a codesta manodopera di credo religioso diverso di farsi un bagno.

La cosa amaramente divertente è che tale questione non è stata sollevata da noi ma, non in ultimo, proprio da Anna Maria Cisint che (e qui riportiamo Today.it) affermava:

“L’arrivo incontrollato di lavoratori provenienti dai Paesi più poveri che genera oltretutto forme di dumping diffuse soprattutto nei subappalti e che ha scaricato sul territorio le relative conseguenze di carattere sociale, sanitario, abitativo, scolastico e occupazionale, deve essere profondamente rivisto”.

Anna Maria Cisint

Solo che anziché rifarsi alla misericordia (termine la cui matrice cristiana è innegabile) il primo cittadino di Monfalcone sembra preferire risolverla con negazioni e ordinanze, tra altri atti degni di nota come i presepi donati alle scuole del territorio al fine di preservare la “radice storica della civiltà europea” che affossa le sue radici nel cristianesimo.

Ora dobbiamo ricordare che l’Islam non è una pazza minoranza di jihadisti come alcuni a casa nostra credono, ma rappresenta una parte dei popoli del mondo grande quasi quanto la nostra. Accettare nel mondo globalizzato le differenze fa parte del concetto di cittadinanza globale che NON prevede né sostituzione né sopraffazione ma rispetto reciproco. Quello che sembra mancare nelle parole di un amministratore che sovente con tale appiglio finisce sui giornali a di pasionaria che invece chiede ai suoi ospiti di comportarsi esattamente come farebbe lei. Come cittadini del mondo che devono affrontare battaglie comuni, ci si aspetterebbe una visione un po’ più ampia della questione. A maggior ragione in un territorio da sempre contaminato (come si evince in diversi passaggi di questo scritto), crocevia di popoli con usi e costumi diversi, dominato e riscattato a più riprese nel corso della storia.

E invece.

Invece stiamo ancora a discutere su come sia liceale in uno Stato autoprofessatosi liberale andare in spiaggia correttamente per non turbare “il comun sentire”. Che sembra un po’ il sentire di Anna Maria Cisint, quello che l’ha portata a vincere le elezioni.

* discriminazióne s. f. [dal lat. tardo discriminatio -onis]. – 1. Il fatto di discriminare o di essere discriminato; distinzione, diversificazione o differenziazione operata fra persone, cose, casi o situazioni: fare, non fare discriminazioni; per me i concorrenti sono tutti uguali, senza discriminazioni d’età, di sesso, di colore o di posizione sociale; giudicare con imparzialità, senza discriminazioni; più in partic.: d. politica, d. razziale, d. etnica, d. religiosa, diversità di comportamento o di riconoscimento di diritti nei riguardi di determinati gruppi politici, razziali, etnici o religiosi (la legge stabilisce pene precise per i casi in cui la discriminazione assuma carattere delittuoso o induca ad atti di violenza); d. dei redditi, delle imposte, ai fini di una più equa ripartizione del carico tributario. Al contrario, adottare, seguire un criterio di non d., applicare uno stesso modo di comportamento o di trattamento per tutti i componenti di un gruppo senza tener conto di eventuali differenze di qualsiasi genere.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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