Donne e lavoro, l’Italia annaspa e si allontana dall’Europa
Un elenco di dati, un ciclone di numeri tirati fuori da aziende specializzate o da istituti di respiro pubblico, ufficiali e non ufficiali. Ma la conclusione, triste, è sempre la stessa: in Italia donne e lavoro continuano a non andare d’accordo.
Ne abbiamo già scritto qualche ora fa in quest’articolo ispirato dai dati Nodus in cui i numeri dimostravano che alla donna è ancora relegata parte importante della gestione dei figli e della famiglia, al punto di dover ancora oggi lasciare il lavoro. Tema talmente sentito che quello degli asili nido era uno dei punti al centro del programma di Giorgia Meloni in campagna elettorale con promesse di strutture pubbliche aperte fino alle 19.00; mentre invece oggi il rischio è che i fondi destinati a tale investimento nel Pnrr finiscano al palo a causa di un’eccezione comunitaria che rischia di mettere fuori gioco 100mila dei nuovi posti previsti.
Donne e lavoro, i dati Istat di Noi Italia 2023
Ora invece arrivano i numeri di Istat della pubblicazione Noi Italia 2023. Sebbene il tasso di occupazione aumenti di due punti percentuale nell’età lavorativa 20-64 (64,8 percento di occupati nel 2022 rispetto all’ultimo anno prepandemico in cui il rilevamento era al 63,5), resta catastrofico lo squilibrio di genere in tale statistica: le donne sono al 55%, gli uomini al 74,7%. Per dirla in maniera molto più semplice: sono poco più di una su due le donne occupate, mentre praticamente 2 su 3 gli uomini.
Nel confronto con gli altri Paesi europei solo la Grecia riesce a far peggio dell’Italia in termini di tasso di occupazione. Si amplia invece la distanza con la media dell’Unione europea, soprattutto per le donne. Nel 2022 inoltre l’incidenza del lavoro a termine sale al 16,8% (+0,4 punti percentuali, rispetto al 2021), con una quota più alta nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, e si registra una lieve riduzione degli occupati part-time (18,2 percento). Ma anche in questo caso le forti differenze tra maschi (8,3%) e femmine (31,8%) sussistono.
People Management: alle donne durante i colloqui viene chiesto dei figli
Commettiamo un errore però nel ritenere tale situazione di disparità retaggio solo di determinate fasce di lavoratrici. La verità è che le discriminazioni nei confronti delle donne sussistono anche ad alti livelli. Ne è un esempio il recente sondaggio condotto su oltre duemila persone da People Management.
“Chiari, con obiettivi definiti, modalità trasparenti”. A questi tre principi dovrebbero ispirarsi i processi di assunzione secondo la People Management, che però sottolinea che la “realtà è spesso diversa”.
“Coloro che cercano lavoro – si legge in una nota – si trovano costretti a giustificare i vuoti di carriera, ovvero i periodi in cui non hanno lavorato per vari motivi”. Secondo l’indagine, questa problematica è principalmente legata alla maternità e alla cura dei neonati. Il sondaggio ha rivelato che il 40% delle donne senior manager intervistate “è stato interrogato durante i colloqui di lavoro sulla loro intenzione di avere figli in futuro o sulla presenza di figli piccoli da accudire al momento della selezione. I reclutatori avrebbero indagato sui career break, ma gli esperti sottolineano che le aziende che pongono queste domande possono essere denunciate per discriminazione e molestie, in base all’Equality Act”.
Lo studio ha inoltre evidenziato che solo il 18% delle donne che non occupano posizioni di alto livello ha dichiarato di aver ricevuto le stesse domande durante i processi di assunzione. Il 38% delle donne intervistate, che si sono assentate dal lavoro per almeno sei mesi a causa della gravidanza, ha affermato che l’assenza era dovuta alla cura dei neonati.
Nel caso degli uomini, solo l’11% ha dichiarato di essersi assentato per più di sei mesi per accudire i figli. Due terzi delle madri lavoratrici hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare alla loro carriera dopo aver avuto figli. Inoltre, il 45% delle donne ha affermato che il periodo di pausa legato alla maternità è stato prezioso e ha permesso di acquisire nuove competenze, come l’organizzazione del tempo.
Secondo lo stesso studio, il 40% delle madri occupate ritiene necessario completare le attività lavorative al di fuori dell’orario normale. Un sondaggio condotto da Careering into Motherhood su oltre 2.000 madri lavoratrici con figli di età inferiore ai 18 anni ha rivelato che il 92% di loro ha dichiarato che i loro datori di lavoro sono aperti alle richieste di flessibilità, ma ci sono ancora situazioni in cui tali richieste vengono respinte.
Quasi il 40% delle madri lavoratrici non ha mai richiesto forme di lavoro flessibile e il 46% ritiene che fare richieste di flessibilità possa avere un impatto negativo sulle opportunità future di promozione e avanzamento di carriera. Modelli di lavoro flessibile innovativi, come la settimana lavorativa di quattro giorni, possono rappresentare un’opzione importante per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavorativa. O, quantomeno, per iniziare a equilibrare una situazione drammatica.