Pari opportunità, allarme career gap: le donne sono discriminate soprattutto dopo la maternità
Il vero problema connesso al career gap nasce nel momento in cui uomini e donne non vengono guardati (e giudicati) con i medesimi metri di paragone e con la medesima coerenza e trasparenza. A pesare sulle spalle delle donne, infatti, molto spesso sono i periodi di allontanamento dal lavoro dovuti alla maternità o alla cura della famiglia in generale.
Un nuovo dato emerge sul fronte delle pari opportunità: secondo un sondaggio condotto da People Management, quando si parla di career gap (ossia, del famoso “vuoto” del curriculum nelle esperienze lavorative) le donne sono più discriminate degli uomini e vengono, per questo, penalizzate.
Career gap, di cosa parliamo?
Prima di andare oltre, è necessario fissare alcuni punti. Quando parliamo di career gap ci riferiamo ad uno o più periodi di tempo in cui una persona si allontana volontariamente (o involontariamente) dalla sua carriera professionale. Può essere causato da diversi motivi, tra cui la ricerca di un equilibrio tra vita lavorativa e personale, la cura di familiari, problemi di salute, la ricerca di un’istruzione aggiuntiva o un periodo di disoccupazione.
I career gap possono essere considerati positivi o negativi a seconda delle circostanze e del modo in cui vengono gestiti. Ad esempio, secondo alcuni studiosi del settore, fra i vantaggi del career gap vi può essere quello di favorire le opportunità di crescita personale e professionale. Durante questo periodo di pausa, come una sorta di anno sabbatico, le persone possono dedicarsi a interessi personali, imparare nuove competenze, acquisire esperienze di vita significative o esplorare nuove opportunità di carriera.
Ma che impatto ha il career gap sul fluire della carriera? Sempre secondo gli studi di settore, alcuni datori di lavoro potrebbero guardare con sospetto i periodi di interruzione della carriera, ma ci sono modi per attenuare l’impatto negativo come, ad esempio, menzionare le attività intraprese durante il gap, come corsi di formazione, volontariato o progetti freelance, per dimostrare l’impegno nel mantenere e sviluppare le competenze.
Ma il vero problema connesso al career gap nasce nel momento in cui uomini e donne non vengono guardati (e giudicati) con i medesimi metri di paragone e con la medesima coerenza e trasparenza. A pesare sulle spalle delle donne, infatti, molto spesso sono i periodi di allontanamento dal lavoro dovuti alla maternità o alla cura della famiglia in generale.
Il career gap “macigno” nelle pari opportunità
Secondo un sondaggio condotto da People Management, come dicevamo all’inizio, su un campione di oltre 2.000 persone, due quinti delle donne senior manager (40%) sono state interrogate durante i colloqui di lavoro sull’intenzione di voler mettere al mondo dei figli in futuro o sul fatto di avere, al momento della selezione, figli piccoli di cui prendersi cura. I recruiter avrebbero indagato proprio sui career gap, ma gli esperti hanno evidenziato che i datori di lavoro che pongono queste domande sono passibili di denuncia per discriminazione e molestie, ai sensi dell’Equality Act.
Sempre secondo lo stesso studio, solo il 18% delle donne che non ricoprono ruoli senior ha dichiarato di aver ricevuto le stesse domande sul career gap durante il processo di assunzione in azienda. Il 38% delle donne intervistate, e che ha dovuto assentarsi dal lavoro con un intervallo di almeno sei mesi per la gravidanza, ha dichiarato che il motivo di questa assenza è stata la cura dei neonati.
Mentre lo stesso motivo è stato causa di un’assenza superiore ai sei mesi per l’accudimento dei figli soltanto per l’11% degli uomini. Inoltre, ben due terzi delle mamme lavoratrici ha affermato di aver dovuto rinunciare alla carriera professionale dopo aver avuto figli. Il 45% delle donne intervistate ha dichiarato che il tempo di pausa dovuto alla maternità si è rivelato prezioso e ha permesso di acquisire nuove competenze, come la capacità organizzativa e la gestione del tempo.
Ha spiegato alcune di queste dinamiche Laura Tolosi, Communication Manager di Eudaimon:
“Dal mio particolare osservatorio, posso dire che informare la futura mamma rispetto a tutti i diritti che ha e avrà a seguito dell’arrivo dei figli, garantire e strutturare maggiore flessibilità nel percorso di rientro al lavoro e investire in servizi e soluzioni che permettano un prezioso e costante bilanciamento fra responsabilità lavorative e famigliari sono già risposte concrete ed efficaci a supporto di donne manager. Risposte ai timori più grandi, purtroppo spesso motivati, ovvero quelli di essere sostituite o demansionate dopo la prima gravidanza”, ha aggiunto.
Il peso della maternità nella carriera della donna
Proseguendo sulle parole di Laura Tolosi, dallo studio emerge che il 40% delle madri occupate riferisce di aver bisogno di completare le attività lavorative al di fuori del normale orario. Secondo un sondaggio condotto da Careering into Motherhood, su oltre 2.000 mamme lavoratrici con figli di età inferiore ai 18 anni, il 92% ha dichiarato che il proprio datore di lavoro è ricettivo alle richieste di flessibilità, ma ci sono ancora situazioni di risposte negative alle richieste.
Quasi 4 mamme lavoratrici su 10 (38%) non hanno chiesto alcun lavoro flessibile e il 46% ritiene che chiedere flessibilità abbia un impatto negativo sulle future opportunità di promozione e carriera. I modelli di lavoro flessibile innovativi, come ad esempio la settimana lavorativa di quattro giorni, posso diventare un’importante opzione per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Lo conferma anche People Management che ha riferito che il 92% delle aziende che hanno sperimentato la prova settimanale di quattro giorni lavorativi ha deciso di continuare ad adottarla, visti gli incredibili risultati ottenuti nel Regno Unito.