Editoriale

Silvio Berlusconi, l’italiano

Come spiegare questo twist finale di una vita fuori dalle righe, senza voler scomodare improbabili isterie collettive massmediatiche? Del resto parliamo di una rockstar iconica e al contempo iconoclastica (anche senza bunga-bunga) tanto che anche oggi intere categorie (tra cui quelle a cui appartengo) non riescono ad andare oltre tale esistenza al limite, tralasciando una disamina politica del suo operato e degli impatti positivi o negativi dei suoi Governi e di 30 anni di presenza nei palazzi romani e mondiali da protagonista.

Finirà nelle pagine di storia, Silvio Berlusconi. In queste ore probabilmente è stato scritto gran parte di quello che in futuro sarà l’ex Cavaliere nell’immaginario collettivo, e non sappiamo se l’esercizio di cronaca e la dovuta mitizzazione tipica di ogni storytelling di quest’epoca crossmediale – medialità che Berlusconi ha intercettato da precursore- ne renderanno vera giustizia.

Tutti i paradossi di Berlusconi

Quarantotto ore sono un tempo minimo utile perché, chiaramente, l’emotività travolgente di questi momenti già si è tradotta in alcuni paradossi raccapriccianti: i funerali di Stato per un condannato in via definitiva per frode fiscale (con la stessa condanna nel 90 percento dei casi non si può concorrere ai pubblici uffici) o lo stop ai lavori parlamentari per una settimana.

Come spiegare però l’epilogo, questo twist finale di una vita fuori dalle righe, senza voler scomodare improbabili isterie collettive massmediatiche? Del resto parliamo di una rockstar iconica e al contempo iconoclastica (anche senza bunga-bunga) tanto che anche oggi intere categorie (tra cui quelle a cui appartengo) non riescono ad andare oltra tale esistenza al limite, tralasciando una disamina politica del suo operato e degli impatti positivi o negativi dei suoi Governi e di 30 anni di presenza nei palazzi romani e mondiali da protagonista.

Eppure, da dire ci sarebbe. La legge Biagi, che molto alla Berlusconi (ricordate l’idea di mettere il marchio Ferrari alle Panda?) ha preso anche il nome del giurista ucciso dalle nuove BR e – quindi – è stata moralmente blindata, ha davvero avviato la grande era del precariato in Italia? E proprio mentre le sue aziende erano e sono ancora dei veri e propri “Best Place to work” (bussare Mediaset per chiedere conferma ai suoi dipendenti)? Cosa dire della legge Moratti e il suo impatto sul sistema istruzione Italia? L’abolizione dell’ICI e l’introduzione IMU che nel 2008 sembrava una cosa di destra e oggi sarebbe considerabile di sinistra era un atto di popolo o populista?

Berlusconi, uno di noi?

Ma non c’è questo nei radar dei cronisti. Nel live costante che non si vede dai tempi di piazza San Pietro durante l’enclave. E nemmeno dei commentatori, quelli da prima pagina, che in queste ore in un sapiente mix di egocentrismo da era del social media e apoteosi di retrospettiva rosea (quando c’era Berlusconi ero al liceo e ricordo i primi amori) non sono comunque riusciti a centrare il punto (ma a girarci attorno sì). Il punto è: perché pare che abbiamo perso uno di famiglia?

Tra auguri di natale a reti unificate da quel “ragazzo un po’ stagionato ma con il cuore sempre giovane” e imbarazzanti “Meno male che Silvio c’è”, certo, 30 anni in compagnia del suo viso e dei suoi eccessi non si dimenticano. Come le sedie pulite in diretta TV e kapò pronunciati in sedi comunitarie. Un po’ come gli inglesi – con le loro versioni di umorismo – che ridevano delle improbabili gaffe di Filippo di Edimburgo finanche un po’ razziste (ma con la sottile differenza che si trattava del marito di quella gigante che era Elisabetta II regina d’Inghilterra che di fatto l’oscurava totalmente).

Ed era così, Berlusconi. Era un italiano. Uno di noi. E oggi la storia ci consegna (soprattutto leggendo i titolo all’estero) quel binomio indissolubile. Per venti anni (rinnovabili per un decennio) non c’è stata differenza tra Berlusconi e l’immagine dell’italiano nel mondo. E l’italiano lo accettava, forse se ne compiaceva anche un po’. Andava alle urne a riconoscersi in Berlusconi per poi dire “l’ho votato” o ancora meglio “non l’ho votato, però…”. Però. E quel però c’è anche oggi nei commiati affidati a tweet, post o brevi e dovuti comunicati. Però.

Per anni abbiamo pensato che tale successo in cabina elettorale fosse riconducibile (interessi a parte) all’invidia, da buoni italiani pettegoli quali siamo. Abbiamo pensato che si apprezzasse l’imprenditore di successo e ricco, con le donne ai suoi piedi e un impero di cui godere. E che se lo godesse quell’impero, eh. Ma abbiamo sbagliato a mettere a fuoco la situazione (come del resto dalla discesa in campo del ’93 ad oggi la sinistra politica – e non – continua a fare).

E invece no. Perché nella magnificenza di oggi, a ridosso dei preparativi per un funerale evento come tutto ciò che riguarda l’uomo Berlusconi, mentre il Duomo (non una statuina ma quello vero e intero) freme, gli altoparlanti vengono montati alle impalcature dove ci saranno le camere presidiate e la Madunina sembra voler dare il suo placido benestare, esplode la quasi certezza che quel binomio Berlusconi – Italia era esatto. Vero. Fedele.

Ma come “nasce” Berlusconi?

Berlusconi nasce dopo che l’Italia delle giacche e delle cravatte aveva tradito l’Italia del popolo. Il popolo tutto, e in maniera trasversale. Nasce cogliendo lo spazio a destra che si apre dopo Tangentopoli, anticipa gli assi d’intesa con i nostalgici di colori molto molto scuri e gli intolleranti de’ noantri (che ora sono gli intolleranti globalizzati) rendendoli alla fine accettabili. Si ritaglia uno spazio chiave per la ricostruzione di un sistema morto sotto i lanci di monetine facendo sì che ciò non accadesse più. Era l’alternativa a quelle giacche e cravatte che ci avevano tradito e che avevano tradito ogni possibile ideale a cui dal Dopoguerra ci avevano insegnato ad appigliarci. Quelle che definivano le cose importanti.

Ma Berlusconi era anche l’alternativa semplice. Come noi. A portata di mano. Che parlava la nostra lingua, a differenza dei precedenti rappresentanti eletti.

Berlusconi, mentre guidava il Paese alla faccia dell’uno vale uno (perché lui valeva tutti noi essendo esattamente uguale a noi), sbagliava come noi dopo un paio di bicchieri di troppo al pranzo di famiglia. Andava a fare le corna nelle foto in posa con gli altri Ministri degli Esteri o in barba a ogni stupido protocollo istituzionale lasciava Angela Merkel in attesa di stretta di mano mentre si faceva gli amabili comodi suoi al telefono. E in fondo ci piaceva, perché ridevamo. Perché sembrava una barzelletta in cui alla fine a fare i belli sembravamo noi italiani, a scapito dei cugini tedeschi rigidi e tutti quegli altri luoghi comuni lì.

Berlusconi è l’italiano che ha saputo cogliere l’occasione senza farsi troppe domande. È quello che se in fondo qualcuno bussa alla tua porta e ti suggerisce uno stalliere con un curriculum quantomeno rivedibile alla fine lo accetta e comunque prosegue tranquillo la sua vita.

È l’italiano che comunque vada la domenica si va allo stadio, ma sublimando tale atto di fede popolare (a cui tutti i politici ancora oggi si piegano) comprando il Milan che poi diverrà dei record. Che, orfano poi del Milan inghiottito dal mondo dei ricchi globale, decide di comprare comunque il Monza. Berlusconi che sotto le elezioni premiava i suoi sostenitori promettendo lavoro e al contempo comprando Kakà. Berlusconi che fa debiti con la bocca firmando contratti da Bruno Vespa senza valore alcuno ma guadagnandosi un’altra tacca nel leggendometro.

Che quando chiude le campagne elettorali a Napoli sa di dover scomodare i cantanti del popolo perché quell’italiano – di Napoli – quello vuole. Berlusconi che ha anticipato il meme prima dei meme e che non finiva mai un comizio senza raccontare qualche barzelletta. Come quando La Sai L’Ultima entra in fascia protetta e con i bambini a letto. Proprio come piace a noi italiani.

C’è poi il capitolo della TV. Si potrebbe quasi dire che abbia sdoganato sull’emittenza quel buco della serratura da cui guardiamo dicendo di vergognarci. Ma che ci piace, altroché se ci piace. Altrimenti non si spiegherebbero i dati Auditel e la sopravvivenza di alcuni format. Voleva che il mondo la pensasse come lui e si è costruito con i suoi soldi la sua informazione, a sua immagine, rompendo un altro tetto di cristallo fatto di intoccabili.

Insomma, le opposizioni portatrici di valori morali e onestà un tanto al chilo (che hanno provato semplicemente a andare nello stesso solco ma decenni dopo) se ne facciano una ragione: Berlusconi rappresenta l’italiano più di quello che gli stessi credevano, rappresenta finanche loro. E questo ha fatto gioco a tutti quanti.

Ed è questa la spiegazione che mi sono dato di questi due giorni in cui sono rimasto senza parole invidiando e un po’ trovando antipatico chi ce le aveva lì, sulla punta delle labbra. La spiegazione di quanto in Italia sta accadendo in queste ore è che con Silvio Berlusconi muore una parte di ogni italiano. Quella peggiore. Quella migliore. Quella umana ma che riesce lo stesso, senza tradire la sua ambiguità.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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