Editoriale

Rider licenziato perché andato a spalare fango in Emilia: cosa non torna?

La storia di Marco Santacatterina è di quelle che colpiscono, ma la narrazione che TUTTI hanno fatto propria è un pericolo per il modo di intendere 1) il giornalismo 2) il lavoro in Italia. Proviamo a fare il punto della situazione.

La storia è ormai nota, ha fatto quattro volte il giro del web ed è tornata: Marco Santacatterina ha 20 anni, prende 30 euro al giorno dal venerdì alla domenica per fare consegne per una pizzeria di Thiene ma un fine settimana anziché consegnare pizze decide di armarsi di volontà e corre a dare una mano in Emilia Romagna. Va a spalare fango perché sente suo questo dovere. Una storia esemplare che finisce nel tritacarne del web perché il giovane denuncia poi di essere stato licenziato per questo motivo. Il racconto di Santacatterina si arricchisce di dettagli sui toni con cui il suo “datore di lavoro” avrebbe accolto la sua indisponibilità con commenti sarcastici e offensivi. Si arricchisce anche dello stupore con cui lo stesso rider avrebbe appreso di essere stato “licenziato” solo il venerdì seguente, quando rientrato in pizzeria gli sarebbe stato dato il benservito.

La situazione chiaramente presta il fianco a più di qualche lecita domanda sul “rapporto di lavoro” del rider angelo del fango con il suo ormai ex titolare. Ma la storia era troppo bella (e suscitante facilissima indignazione) per non pubblicarla e ancora una volta la pesca a strascico di click infligge un duro colpo a come dovrebbe essere fatto un buon giornalismo.

La doppia verifica all’americana

Nelle scuole di giornalismo, ad esempio, spesso si sente parlare di doppia verifica all’americana quando prima di raccontare una storia sono necessarie almeno due controprove della stessa. Ma ancora più semplicemente la deontologia giornalistica imporrebbe di sentire anche l’altra campana.

In questa storia l’altra campana è stata scientemente cancellata dal primo momento. Perché è più semplice raccontare solo la versione della parte sedicente lesa. Tra le giustificazioni a tale scelta, nelle innumerevoli interviste rilasciate da quando la storia strappalike è emersa, c’è lo stesso Santacatterina che afferma che non conta il nome ma il principio.

Ma il nome conta eccome. Perché non basta non dire il nome della pizzeria a cui il dipendente è associato per cagionare non solo una immotivata caccia all’impresa ma anche per un danno d’immagine enorme.

Immagine 2023 05 29 103304 1 | F-Mag Rider licenziato perché andato a spalare fango in Emilia: cosa non torna?

Il titolare della pizzeria ha il DIRITTO (non è una concessione) di dire la sua. Così come è tutto diritto di Santacatterina tutelarsi per vie legali da qualsiasi sopruso subito. Umano, certo. Ma anche in disciplina di diritto del lavoro.

Quindi passiamo alla questione in sé. Perchè è la parola licenziamento, quella che indigna maggiormente, quella su cui questa storia merita un chiarimento a sé stante.

Si può essere licenziati dal job on call?

La domanda che alcuni si ponevano online, e che avrebbero dovuto porsi anche nei salotti televisivi e nelle redazioni, era la seguente: “Ma quale tipologia di contratto ti permette un licenziamento in tronco che manco nei telefilm americani?”.

Bene, la tipologia di contratto del giovane, stando a una delle tante interviste rilasciate, è quella del job on call, lavoro intermittente. Una fattispecie pensata per gli under 25 e over 55 (o per alcune tipologie di lavoratori specifiche tipo lavoratori dello spettacolo) in cui il datore di lavoro prima di 24 ore dal turno di lavoro ti attiva e si lavora solo in caso di attivazione.

Esistono due tipologie di questa fattispecie contrattuale: con obbligo o senza.

Da come l’ha raccontata Marco Santacatterina, si presume che fosse impegnato per la pizzeria di Thiene con un job on call di quelli senza garanzia di disponibilità (e quindi senza il relativo indennizzo di disponibilità spettante). Questo si traduce, in soldoni, che la scelta di non andare a lavorare (previa comunicazione con o senza preavviso) è tutta in capo al ragazzo. Ma si traduce anche (che meraviglioso mercato, quello del lavoro) nel fatto che sia in capo al datore di lavoro l’attivazione del lavoratore. Parlare di licenziamento con questa fattispecie di contratto senza obbligo di disponibilità è fuorviante perché nel caso sopra citato il datore – semplicemente – potrebbe non attivarti più. Che è esattamente ciò che sembra essere accaduto il venerdì successivo, quando Santacatterina si sarebbe presentato in pizzeria e avrebbe saputo di non essere più gradito. Poi che magari il datore di lavoro avesse provveduto a comunicare già le eventuali date (sempre nei limiti del rapporto di lavoro in questione) e non abbia più usufruito del rider non è dato sapere, in quanto nessuno lo ha chiesto.

Ma anche se il rapporto di lavoro di Santacatterina appartenesse all’altro caso, quello del job on call con obbligo di disponibilità, la storia sarebbe stata raccontata male. Perché non solo questa disponibilità ti è pagata a prescindere dal lavorare o meno (l’indenizzo di reperibilità di cui sopra) ma – tranne comprovate esigenze – hai l’obbligo di rispondere. Quindi non sarebbe comunque bastato il preavviso “Questo fine settimana non ci sono perché vado a fare del bene” per essere esonerato dalla chiamata di lavoro con giusta causa. Che piaccia o meno la moralità altrui.

Se utilizziamo certi termini e certe narrazioni avalliamo quel modus operandi tutto nostro di accettare interiormente che la tipologia di contratto sia una formalità, che l’accordo di lavoro sia solo il modo più conveniente per assumere manodopera.

In questo caso però è il concetto stesso di essere licenziati da un lavoro intermittente a essere probabilmente travisato. Dispiace perché potrebbe aprirsi una riflessione-squarcio su come il job on call espone a rischio precarietà legalizzata tanti ragazzi, anche splendidi e generosi come Marco, invece la corsa al pubblicare la storia acchiappaclick con un imprenditore-fantasma che non può nemmeno spiegare o contestare le sue parole astiose ha di nuovo mostrato tutte le falle di un sistema informazione ormai allo sbando.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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