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L’Italia perde ancora natalità: nel 2023 ancora in calo, siamo “solo” in 50 milioni (-3%)

La natalità continua a decrescere: i decessi sono stati 713mila, le nascite 393mila, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale quindi di -320mila unità

Sono arrivate questa mattina le rilevazioni ISTAT sulla popolazione: l’Italia perde ancora natalità, attestando il dato a circa 179mila residenti in meno sull’anno precedente (oltre al rapporto nascite/decessi), per una riduzione pari al 3%.

La natalità perduta e il calo demografico

Secondo quanto ha diffuso l’ISTAT, la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2023 è di 58 milioni e 851mila unità: prosegue, dunque, la tendenza alla diminuzione della popolazione, ma con un’intensità minore rispetto sia al 2021 (-3,5), sia soprattutto al 2020 (-6,7%), anni durante i quali gli effetti della pandemia avevano accelerato un processo iniziato già nel 2014.

Appurato che nel 2022 la popolazione residente presenta una decrescita simile a quella del 2019 (-2,9%), sul piano territoriale si evidenzia un calo demografico importante che interessa il Mezzogiorno (-6,3%). Il Centro (-2,6%) e soprattutto il Nord (-0,9%), che pur presentano un saldo demografico negativo, hanno valori migliori della media nazionale. La natalità è ancora in decrescita, come vedremo anche più avanti.

Sul piano regionale, la popolazione risulta in aumento solo in Trentino-Alto Adige (+1,6%), in Lombardia (+0,8%) e in Emilia-Romagna (+0,4%). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata, il Molise, la Sardegna e la Calabria, tutte con tassi di decrescita più bassi del -7%.

Su base nazionale, rileva l’Istat, il calo della popolazione è frutto di una dinamica demografica sfavorevole che vede un eccesso dei decessi sulle nascite, non compensato dai movimenti migratori con l’estero.

La natalità continua a decrescere: i decessi sono stati 713mila, le nascite 393mila, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale quindi di -320mila unità. Le iscrizioni dall’estero sono state pari a 361mila mentre 132mila sono state le cancellazioni per l’estero. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 229mila unità, in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale.

Sul versante della mobilità interna, nel 2022 si rileva un aumento del volume complessivo dei movimenti del 4%, con 1 milione 484mila trasferimenti di residenza registrati tra Comuni contro 1 milione 423mila dell’anno precedente. Infine, le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri motivi) comportano un saldo negativo per ulteriori 88mila unità.

La natalità non compensa la mortalità

La natalità non compensa la mortalità: nel 2022 i decessi in Italia sono 713mila, con un tasso di mortalità pari al 12,1%. Rispetto all’anno precedente il numero dei morti è superiore di 12mila unità, ma inferiore di 27mila rispetto al 2020, anno di massima mortalità per via della pandemia.

Il numero più alto dei decessi si è avuto in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto. In questi soli quattro mesi si sono osservati 265mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato nella maggior parte dei casi la popolazione più anziana e fragile, composta principalmente da donne.

Oltre 606mila deceduti, l’85% del totale, hanno un’età maggiore o pari ai 70 anni, percentuale che nelle donne aumenta fino all’89,2% mentre per gli uomini si ferma all’80,3%. Analizzando i quattro mesi con le condizioni climatiche più avverse, queste percentuali aumentano all’80,7% per gli uomini e quasi al 90% per le donne, proprio a sottolineare come questa mortalità più elevata abbia coinvolto soprattutto la popolazione più anziana.

Situazioni analoghe si erano già verificate in passato, quando l’eccesso di mortalità rispetto all’anno precedente era dovuto all’elevato numero di decessi dei mesi estivi e invernali. Negli anni 2003, 2015 e 2017 si erano registrati degli incrementi dei decessi rispetto all’anno precedente rispettivamente del 5,2%, 8,2% e 5,5% e anche in questi anni la quota per i mesi di gennaio, luglio, agosto e dicembre era risultata significativa, portandosi sopra il 35%.

Se si esclude il 2020, contraddistinto dall’impatto pandemico, è opportuno rilevare che delle quattro annualità sin qui riconosciute come caratterizzate da livelli di mortalità superiori all’atteso ben tre (2015, 2017, 2022) siano concentrate nell’arco di soli otto anni, mentre una soltanto (2003) risalga a venti anni fa. Un segnale, apparentemente inequivocabile, di quanto i cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, nel contesto di un Paese a forte invecchiamento.

Il 47% dei decessi si registra nel Nord, con un valore pari a 333mila. Al Centro i decessi sono 144mila (20%) e nel Mezzogiorno 237mila (33%). È però il Centro la ripartizione con il tasso di mortalità più elevato (12,3‰), segue il Nord (12,2‰). Il Mezzogiorno, invece, con un tasso dell’11,9‰, registra una mortalità al di sotto della media nazionale, motivata dal fatto di presentare una struttura della popolazione relativamente meno invecchiata e pertanto meno soggetta ai fattori di rischio.

A livello regionale, rileva l’Istat, la Liguria (15,9‰) e il Molise (14,7‰) sono le regioni con il tasso di mortalità più alto, mentre il Trentino-Alto Adige (9,9‰) e la Campania (10,9‰) quelle con il tasso più basso. Le prime sono, infatti, quelle con una struttura della popolazione più anziana, le ultime invece quelle con la struttura più giovane del Paese.

Natalità al minimo, sotto i 400mila nuovi nati

Nel 2022 i nati sono scesi, per la prima volta dall’unità d’Italia, sotto la soglia delle 400mila unità, attestandosi a 393mila. Dal 2008, ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184mila nati, di cui circa 27mila concentrate dal 2019 in avanti.

In termini di natalità, la riduzione delle nascite solo in parte è dovuta alla spontanea o indotta rinuncia ad avere figli da parte delle coppie. In realtà, tra le cause pesano molto tanto il calo dimensionale quanto il progressivo invecchiamento della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni).

Se nel corso del 2022 si fosse procreato con la stessa intensità e lo stesso calendario del 2019, il calo dei nati sarebbe stato pari a circa 22mila unità, totalmente attribuibile, pertanto, alla riduzione e all’invecchiamento della popolazione femminile in età feconda. La restante diminuzione, di circa 5mila nascite, risulterebbe invece causata dalla reale diminuzione dei livelli riproduttivi.

Dopo il lieve aumento del numero medio di figli per donna verificatosi tra il 2020 e il 2021, riprende il calo dell’indicatore congiunturale di fecondità, il cui valore si attesta nel 2022 a 1,24, tornando così al livello registrato nel 2020. Prosegue quindi la tendenza alla riduzione dei progetti riproduttivi, già in atto da diversi anni nel nostro Paese, con un’età media al parto stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni.

La diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord sia il Centro Italia, dove si registrano valori rispettivamente pari a 1,26 e 1,16 (nel 2021 erano pari a 1,28 e 1,19). Nel Mezzogiorno, invece, si registra un lieve aumento, con il numero medio di figli per donna che si attesta a 1,26 (era 1,25 nell’anno precedente). L’età media al parto è leggermente superiore nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9) rispetto al Mezzogiorno (32,1).

Si assiste a una riduzione delle differenze tra Nord e Mezzogiorno, mentre il Centro continua ad avere una fecondità sensibilmente più bassa rispetto alle altre due ripartizioni. Il Mezzogiorno è la sola ripartizione che prosegue la risalita iniziata lo scorso anno. Peraltro, il calo registrato nel Nord e l’aumento nel Mezzogiorno fanno sì che nel 2022 i livelli di fecondità di queste due ripartizioni siano identici.

La nuzialità registra un lieve aumento, con un tasso che passa dal 3,1% dello scorso anno al 3,2%, ritornando così ai livelli pre-pandemia. Il tasso più elevato si riscontra nel Mezzogiorno (3,6%, in diminuzione rispetto al 3,8% del 2021) mentre nel Nord e nel Centro i livelli sono inferiori (3% per entrambe le ripartizioni, in leggero aumento rispetto a 2,7% e 2,6% del 2021).

Dopo il crollo del 2020, il Mezzogiorno presenta l’aumento maggiore di nuzialità negli ultimi due anni; tendenza che si associa a quella altrettanto positiva della fecondità che ha caratterizzato questa ripartizione.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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