Tecnologia

Esiste davvero un visore VR che uccide chi lo indossa?

La notizia inquietante è rimbalzata come una "curiosità" su diverse testate online, anche blasonate. Il testo, però, è lo stesso in tutto il mondo. Cerchiamo di vederci chiaro.

La notizia è rimbalzata in Rete ovunque, e anche su alcune testate (online) con un certo blasone: il founder di Oculus, Palmer Luckey, si è divertito a creare un visore VR in grado di uccidere davvero chi lo indossa. La notizia inquietante di questo universo da futuro distopico in stile Black Mirror è “reale” ma bisogna procedere con ordine per inquadrarla nel giusto contesto.

Chi è Palmer Luckey?

Palmer Freeman Luckey, classe 1992, è quel fenomeno che tutti gli startupper con il mito della startup sognano di diventare: l’idea e il sogno da adolescente, i primi passi mossi nel garage di casa dove da un lato costruiva visori e dall’altro riparava computer e iPhone (sostiene la sua bio che tra questa attività e il lavoro da giardiniere avrebbe finanziato il suo progetto originale con 36mila dollari), la campagna di successo su Kickstarter eccetera, eccetera, eccetera. Ha il grande merito di aver creduto in una tecnologia che tutti avevano accantonato un po’ troppo presto (dopo aver giocato a Doom con i primi VR headset) e la fortuna di aver incontrato Facebook, che ha acquistato tutta la sua azienda Oculus (che si rivelerà poi strategica nell’attuale visione del Metaverso da parte del gruppo ora Meta).

Tra cessione d’azienda e buonuscita dopo il suo licenziamento dal gruppo di Zuckerberg, Palmer Luckey avrebbe potuto tranquillamente vivere di rendita. Invece, a 30 anni, è tra i fondatori della Anduril Industries e deterrebbe una serie di “appalti” con USAF, SOCOM e in generale con il Governo americano. Le sue simpatie repubblicane sono note, ma non solo: è stato tra i finanziatori del Partito e ha sostenuto raccolte per Donald Trump.

L’ascesa di Luckey non lo riesce comunque a sottrarre, nell’immaginario collettivo, alla figura del papà degli Oculus. E questo lui lo sa bene.

Gli Oculus home-made che uccidono chi li indossa

Dove esplode quindi la notizia così come l’hanno stropicciatamente ricopiata tutti? Sul blog di Palmer Luckey che in data 6 novembre scrive questo post.

La data non è casuale: è quella del lancio, nel manga ononimo, di SAO (Sword Art Online). La trama ve la riassumiamo brevemente usando un paragone con Squid Game che è forse maggiormente noto ai più: muori nel gioco, muori nella vita. Solo che in SAO si è immersi in una realtà virtuale (più precisamente una VR MMORPG) con un visore dal nome NerveGear (proprio come gli Oculus) in grado di immergere tutti e cinque i sensi nell’esperienza di gioco. Se perdi, vai in coma.

Ok, fatta questa dovuta premessa, Palmer Luckey traccia un parallelo tra lo sviluppo dei suoi Oculus e quello dell’opera di fantasia giapponese. Addirittura, Luckey ritiene che la nascita di Oculus oltreoceano avesse reso anche SAO più “credibile”. Un tantinello pretenzioso, considerando che SAO nasce sulla scorta di esperienze già viste e oggetti già esistiti.

Comunque, ispirandosi a tale esperienza, Palmer Luckey si è divertito a creare un suo personalissimo visore VR NerveGear che dovrebbe funzionare più o meno così: a determinate frequenze di rosso lampeggiante tre cariche esplosive, che evidentemente Luckey si trovava in garage tra i suoi dispositivi bellici (residuali di qualche lavoro per il Governo americano?) esplodono. Quindi, un game over rosso lampeggiante di un certo tipo farebbe esplodere le cariche e di conseguenza la testa di chi indossa il visore.

Ma allora è vero che esiste il visore VR che uccide le persone?

Il racconto di Luckey, corredato dalla foto del visore VR NerveGear che scegliamo di non proporvi, sembra più un omaggio a tratti nerd del mondo SAO che la provocazione che è diventata. Il tutto condito da banalità del tipo:

“L’idea di legare la tua vita reale al tuo avatar virtuale mi ha sempre affascinato: alzi istantaneamente la posta in gioco al massimo livello e costringi le persone a ripensare fondamentalmente a come interagiscono con il mondo virtuale e i giocatori al suo interno”.

Palmer Luckey

Una ovvietà da un lato, un aspetto già analizzato da altri (SAO in primis) dall’altro. Ad ogni modo, il visore killer in questo momento non è pronto ma solo un’idea, una bozza, una sorta di opera d’arte moderna in cui rappresenta qualcosa più che essere qualcosa. Per racconto dello stesso Palmer, infatti, il dispositivo è ben lungi dall’essere pronto e diventare oggetto da collezione di qualche riccone (così come lo stesso Palmer commenta: destinato a essere esposto in un qualche ufficio). La parte relativa all’anti-manomissione per cui il visore VR non può essere rimosso (proprio come il NerveGear che lo ispira) è ben lontana dall’essere completata. Inoltre manca il beta-test (per ovvie, ovvissime ragioni e il fatto che alcuni articoli web scopiazzati lo dicano seriamente è da far accapponare la pelle di chi con le storie da raccontare ci lavora).

Di fatto, in questo momento, il visore VR killer è in realtà un VR headset che stimolato in un determinato modo fa esplodere delle bombe. È come esporre una sedia con delle cariche di dinamite con un innesco telefonico. Una cosa che con un po’ di dimistichezza puoi fare anche a casa, insomma.

“È anche, per quanto ne so, il primo esempio non finto di un dispositivo VR che può effettivamente uccidere l’utente. Non sarà l’ultimo”.

Palmer Luckey

Al momento, questo primo esemplare beta di visore killer sembra più che altro un post virale che diventa uno spot all’industria bellica che il fiero repubblicano Palmer rappresenta; non certo qualcosa destinato a riscrivere i nostri futuri in un mondo distopico già raccontato da manga, fiction e serie Netflix.

Ma è legale?

Lo scopiazzamento dei contenuti online non va oltre il post virale. La domanda che è lecito porsi è se tutto ciò in realtà possa essere considerato legale. Ci riserviamo di indagare per rispondere in maniera accurata a questa domanda, ma ciò che è certo è che in America un problema con potenziali armi (come quella che Palmer Luckey si è fatto a casa raccontandolo al mondo e dando il là a tanti racconti di giornali web) ce l’ha.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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