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Bias cognitivi e lavoro: i 5 più diffusi. Ecco come riconoscerli e superarli secondo Serenis

Abbiamo un cervello "pigro", che spesso prende decisioni con il pilota automatico per farci risparmiare tempo: ma cosa fare quando ci porta fuori strada?

Il cervello è pigro: fa di tutto per ridurre al minimo gli sforzi. Tra le sue armi preferite ci sono i bias cognitivi, ossia delle distorsioni sistematiche nella capacità di pensare e decidere che generano giudizi irrazionali e comportamenti inefficaci.

I bias sono infatti influenzati da schemi mentali automatici, utili a prendere decisioni più in fretta e con meno fatica, come delle scorciatoie: solo che a volte portano fuori strada.

Bias cognitivi e lavoro, un binomio da rifare

I bias cognitivi, in particolare, possono arrivare a influenzare le decisioni nella vita quotidiana, sia in ambito personale e sia professionale. Per fare chiarezza sugli effetti che comportano e aiutare a superarli, Serenis (serenis.it/) piattaforma digitale per il benessere mentale e centro medico autorizzato, con l’aiuto di Federico Russo, psicoterapeuta comportamentale e Direttore Clinico, ha individuato i più diffusi sul luogo di lavoro.

In primis, abbiamo il Bias di conferma: quando si prendono delle decisioni senza un vero e proprio pensiero critico accade che, invece di compiere delle scelte basandosi su dati reali, vengono selezionate inconsapevolmente tutte quelle informazioni che, in qualche maniera, confermano le proprie convinzioni o ipotesi.

Di conseguenza, tutto ciò che risulta contrario a quello che si pensa, viene scartato o ignorato: questo è il bias di conferma.

“Sul luogo di lavoro un comportamento simile potrebbe creare o consolidare dei pregiudizi, per esempio sulle persone con cui lavoriamo, o su idee o proposte che riteniamo essere migliori solo perché assecondano una nostra convinzione già esistente. Un consiglio molto utile da applicare può essere quello di prendere del tempo prima di scegliere per osservare la situazione in maniera più distaccata e quindi oggettiva” commenta Federico Russo.

Infatti, “Il bias di conferma non è semplice da eliminare, ma si può imparare a gestire attraverso l’educazione e la formazione al pensiero critico, e quindi nell’analisi dei fatti, delle prove e delle informazioni.”

    Al secondo posto, invece, troviamo l’Effetto del falso consenso: Questo bias si presenta quando una persona presume che gli altri condividano le sue opinioni, sopravvalutando la comune comprensione su
    determinati temi.

    Questo, naturalmente, può influenzare i rapporti e le interazioni sul posto di lavoro, perché rende più inclini a instaurare relazioni con chi condivide le stesse idee o escludendo chi non la pensa allo stesso modo.

    “Sul lavoro, questo meccanismo può creare dei problemi: se ci confrontiamo solo con chi la pensa come noi, rischiamo di sovrastimare la validità delle nostre decisioni e di sottovalutare gli scenari alternativi. Conoscere gli effetti del falso consenso può aiutarci a crescere professionalmente e personalmente” commenta Federico Russo.

    “Il primo passo è provare a interagire con qualcuno che non la pensa come noi, magari evitando gli argomenti più sensibili, che potrebbero portare a uno scontro. L’obiettivo è scoprire i ragionamenti che si celano dietro a un’opinione esterna e far scoppiare la bolla che ci imprigiona nelle nostre idee. In alternativa, è possibile provare ad “attaccare” le nostre stesse argomentazioni cercando alcune possibili contro-risposte: questo esercizio è molto utile per allenare il pensiero critico e sviluppare maggiore consapevolezza sul proprio modo di pensare.”

    Al terzo posto, lo psicologo identifica il Bias di ancoraggio: rimanere fissi su un’unica informazione o valore nel momento in cui si devono prendere delle decisioni implica che sta avvenendo un bias di ancoraggio.

    Si tratta di un comportamento mentale che, in realtà, fa compiere delle scelte non sempre consapevoli e che potrebbero generare un processo decisionale distorto: “Il bias di ancoraggio può avere un impatto su moltissime aree della nostra vita. In quella lavorativa di tutti i giorni, ad esempio, può portare a sottovalutare il tempo necessario per completare un compito perché si è rimasti ancorati alla stima iniziale. Il rischio, quindi, è quello di non essere in grado di rispettare le scadenze, e non è di certo
    piacevole. Imparare a riconoscere quando stiamo basando i nostri ragionamenti su un ancoraggio è un modo per fare scelte più razionali e informate”
    commenta Federico Russo.

    Ancora, abbiamo quello che viene definito come L’effetto Pigmalione: tra i bias più ricorrenti sul posto di lavoro c’è l’effetto Pigmalione, originato dal nome del sovrano che, secondo la mitologia greca, si innamorò a tal punto di una statua da riuscire a darle vita.

    Questo bias, anche noto come “profezia che si autorealizza”, o come effetto Rosenthal, dal nome dello psicologo tedesco che per primo lo studiò, si riferisce al fenomeno per cui l’aspettativa di una persona genera conseguenze sul comportamento di un’altra o di un gruppo.

    “Se il nostro responsabile riconosce in noi delle potenzialità, a prescindere che le possediamo o meno, ci permetterà di crescere, ci affiderà dei compiti, ci farà prendere delle decisioni via via sempre più importanti. Questo ci trasmetterà gli stimoli necessari per lavorare meglio e ottenere buoni risultati, perché ci identificheremo con quell’immagine positiva. Circondarsi di persone che credono in noi potrebbe quindi migliorare il rendimento, le competenze e l’autostima. Il caso dell’effetto Pigmalione ci comunica, quindi, che è possibile usare un bias a proprio vantaggio” commenta Federico Russo.

    Infine, abbiamo il Bias dello status quo: si tratta di un pregiudizio, la maggior parte delle volte inconscio,
    che rende quasi impossibile abbandonare lo status quo per tentare di compiere una scelta diversa o intraprendere un percorso nuovo.

    Tale condizione diventa un punto di riferimento nel momento in cui qualsiasi modifica viene percepita come una perdita o una minaccia, anche se può essere positiva.

    “Nell’ambito lavorativo, un esempio di bias dello status quo può manifestarsi quando una persona potrebbe avere l’opportunità di lavorare per un’altra azienda, ma rinuncia per paura della transizione e dei cambiamenti che comporta. Negare il cambiamento perché lo temiamo può però farci rimanere intrappolati in dei comportamenti che in realtà non sono positivi per il nostro benessere psicologico” commenta Federico Russo.

    “Per questo motivo, è molto importante riflettere e rivalutare le nostre decisioni e convinzioni, perché quello che abbiamo scelto tempo fa potrebbe essere completamente sbagliato nelle circostanze di oggi. Per stare bene è essenziale trovare un equilibrio tra la sicurezza dello status quo e le diverse possibilità di cambiamento.”

      Federica Colucci

      Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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