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Smartworking semplificato: proroga oggi per cambiare domani

La proroga a sorpresa dell'erogazione semplificata dello smartworking nasconde un processo di revisione dello stesso imprescindibile. Una legge giovane, di appena cinque anni, è pronta già ad andare in soffitta?

Una legge sullo smartworking datata 2017 destinata ad andare in pensione, un disegno di legge allo studio che dovrebbe accogliere le istanze dei gruppi parlamentari e anche dell’Unione Europea: c’è tutto questo dietro la proroga a sorpresa dello smartworking semplificato che il governo Draghi ha approvato nelle scorse ore. La formula semplificata, di fatto approvata in fase emergenziale, sopravvive all’emergenza in vista di improrogabili modifiche all’originale. Ma procediamo con ordine.

Perché nasce lo smartworking semplificato

La formula di erogazione dello smart working semplificato nasce in pratica all’esplosione del Covid-19. L’emergenza, in quel caso, era trovare la formula per contenere la pandemia facendo sì che i lockdown avessero la minor ripercussione possibile sul Paese. Durante il governo Conte Non si agì di fino e tantomeno di lungimiranza, e va dato atto che i tempi e l’assolutamente inedita crisi non permettevano del resto altrimenti. Si decise con una certa fretta di spedire i lavoratori a casa derogando ad alcuni obblighi previsti dalla legge 81/2017: tra questi la non necessarietà di un accordo tra lavoratore e azienda che normasse la prestazione da remoto (leggesi da casa) e la non sottovalutabile componente dell’unilateralità (è il datore di lavoro a scegliere che il dipendente sia in smart working – chiaramente dove questo è possibile).

Altro aspetto imprescindibili dell’erogazione dello smartworking semplificato è la comunicazione dello stesso al Ministero del Lavoro (senza accordo e senza le stesse spiegazioni e scartoffie necessarie fuori emergenza) e la facoltatività dell’accordo sindacale.

Perché è stato prorogato lo smartworking semplificato

Questo è l’aspetto più interessante della situazione. Perché in effetti, dopo due anni, parlare di emergenza sembra assurdo e le aziende hanno avuto tutto il tempo per cristallizzare le situazioni interne e mettersi in regola con la 81/2017. Invece, lo smartworking d’emergenza sopravvive allo stato di emergenza istituzionalmente proclamato che si chiuderà inesorabilmente il 31 marzo 2022.

Secondo gli osservatori accreditati, si possono ricondurre a due i motivi che hanno spinto il governo Draghi ad agire (a sorpresa) in questa direzione.

  • Proroga sui tempi. Riallacciandoci a quanto sopra affermato, portare al 30 giugno la fine dello smartworking semplificato vuol dire soprattutto dare alle aziende maggior tempo per adeguare i processi interni ed esterni verso un aut-aut e una scadenza ben precisa, entro cui o si è dentro o si è fuori.
  • Necessità di rivedere la legge sullo smartworking 81/2017. Si procede spediti verso una nuova norma che cassi o quantomeno integri la legge vigente, evidentemente ritenuta troppo fragile alla prova del Covid-19.

In queste ore si stanno delineando infatti le linee che guideranno il disegno di legge sullo smartworking che accoglie argomenti caldi di questo periodo, suggerimenti e direttive comunitarie, istanze dei gruppi parlamentari e anche quanto emerso e approvato nel Protocollo di intesa dello scorso dicembre tra Ministero del lavoro e parti sociali.

Nuova legge sullo smartworking: come sarà?

Quando siamo nello smartworking?

In primis, la nuova legge definisce quando siamo nel campo dello smartworking a prescindere dall’accordo tra lavoratore e azienda. In linea di massima, l’idea è quella di configurare l’erogazione di lavoro in smartworking se il 30 percento del lavoro è da remoto. Questo stando ad alcune indiscrezioni di stampa (Corriere della Sera), che rivela che sarebbero al vaglio anche eventuali incentivi per le aziende che decidono di avvalersi di questa forma di lavoro.

Diritto alla disconnessione

Argomento cardine, sentitissimo soprattutto a livello comunitario con le istituzioni europee che ciclicamente si adoperano affinché gli Stati membri recepiscano la sua importanza, il diritto alla disconnessione in futuro sarà normato (per il lavoro agile, ma anche no ci verrebbe da auspicare) in modo tale che una violazione configuri un reato a cui si applicano le disposizioni del’articolo 615-bis del Codice Penale (interferenza illecita nella vita privata). Stando a questa lettura, un datore di lavoro che invade gli spazi tutelati dal diritto alla disconnessione del dipendente rischierebbe dai 6 mesi ai 4 anni di carcere. Va detto che sì, la 615-bis è forse la legge più vicina alla tutela della privacy del privato dagli strumenti pervasivi odierni, ma forse non è così calzante per descrivere la necessità di tutelare il lavoratore. Si vedrà.

Obbligo dell’accordo tra le parti

Tornerà – giustamente – il 1 luglio 2022 1 luglio 2022 (nel pubblico) e il 1 settembre 2022 (nel privato) l’obbligo di accordo tra le parti per l’erogazione dello smartworking. E l’accordo è necessario per tutelare tanto il lavoratore quanto l’azienda. Nel futuro però si rimanderà (con ogni probabilità) per determinati aspetti alla contrattazione collettiva sindacale per il settore specifico e/o a accordi aziendali / territoriali.

Altro aspetto fondamentale di tale contrattazione è l’agevolazione (all’accesso?) smartworking per alcune categorie di lavoratori (fragili e/o genitori).

Pari diritti

Ma fondamentale sopra ogni cosa il principio di non discriminazione. In pratica, si metterà nero su bianco che, sia che si lavori da remoto o in agile che in azienda, i lavoratori godono degli stessi diritti: salute e sicurezza ma anche retribuzione e tutele e possibilità di carriera.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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