La questione femminile sta (finalmente) diventando anche maschile?
"Come se ci trovassimo nel mezzo di due forze centrifughe: uno sforzo in termini legislativi e di programmazione europea, nazionale e regionale e dall’altra parte i numeri che parlano. Con uno slancio di ottimismo provo a dire che siamo nel momento giusto per far convergere intenti e fatti. La riduzione dei divari di genere e territoriali, auspicati nella programmazione europea e in particolare nel PNRR volge a nostro favore e gli indicatori individuati effettivamente ci danno fiducia"
La Camera ha approvato all’unanimità la proposta di legge per la parità salariale, la Regione Campania approva all’unanimità la legge regionale sulla parità retributiva, il PNRR mette al centro il tema dell’occupazione femminile.
Qualcosa sta cambiando? O meglio, la questione femminile, con tutte le sue mille sfaccettature, sta diventando (finalmente e anche) una questione degli uomini?
Le radici della questione femminile
Il divario salariale nel nostro Paese può arrivare fino al 20%, a parità di mansione e di ore lavorate, nel settore privato. L’ultimo report sul divario salariale del World Economic Forum ci delinea una situazione ancora molto critica per l’Italia: ancora al 76° posto su 153 Paesi della classifica mondiale.
Il tasso di occupazione femminile è fermo al 49.4% e a 11 punti di distanza dall’occupazione maschile, un tasso di inattività del 44.8% mentre quello maschile arriva al 25.9%. Secondo INPS, a 20 anni dalla nascita di un figlio la retribuzione di una donna lavoratrice può essere più bassa del 12% rispetto a una donna che non ha avuto figli. E il divario aumenta ad ogni passaggio di titolo di studio: le donne rappresentano il 56% dei laureati italiani; ma ciononostante solo il 28,4% si ritrova fra i manager e dirigenti d’azienda.
E ancora, nessuna donna nei ballottaggi delle grandi città, nessuna eletta nei capoluoghi. Questo il primo dato che salta agli occhi davanti allo spoglio delle ultime amministrative. Nei 20 capoluoghi andati al voto, i sindaci eletti sono tutti maschi. Per trovare le donne dobbiamo spostare l’attenzione sui comuni cosiddetti “superiori”, vale a dire con più di 15mila abitanti. Ma ad ogni modo le donne sindaco sono solo 17 su 110.
Come se ci trovassimo nel mezzo di due forze centrifughe: uno sforzo in termini legislativi e di programmazione europea, nazionale e regionale e dall’altra parte i numeri che parlano. Con uno slancio di ottimismo provo a dire che siamo nel momento giusto per far convergere intenti e fatti. La riduzione dei divari di genere e territoriali, auspicati nella programmazione europea e in particolare nel PNRR volge a nostro favore e gli indicatori individuati effettivamente ci danno fiducia.
Resta da applicare sin da subito un’azione forte e decisa di monitoraggio degli indicatori stessi, per misurare l’impatto e quindi il miglioramento della qualità della vita di tutti, donne e uomini.
Misure dedicate al lavoro e al welfare, e non solo. Sono previsti investimenti per rilanciare l’economia, che si concentrano sul rafforzamento e sulla creazione di infrastrutture sociali, ovvero quei servizi che ci permettono di soddisfare interessi e bisogni collettivi e liberare il tempo delle donne: scuole a tempo pieno, asili, strutture per anziani (nel 2021 l’indice di vecchiaia per l’Italia dice che ci sono 184,1 anziani ogni 100 giovani). ”Dirottare” all’esterno parte del lavoro di cura crea occupazione (femminile, ma non solo), migliora la qualità della vita di chi già lavora e rende possibile accettare un lavoro per chi lo desidera.
E ritorno sul concetto in premessa: la questione femminile, con tutte le sue mille sfaccettature, sta diventando (finalmente e anche) una questione di tutti? Ovvero, l’impegno per rafforzare servizi e misure, infrastrutture (anche sociali) a favore di uno sviluppo più equo di tutti i territori è davvero un capitolo importante nelle agende che contano? A me sembra di sì, visti anche gli sforzi normativi che si stanno compiendo; dobbiamo correre adesso, guardando bene ai lati, evitando che la disuguaglianza di genere – se pur nella necessaria lettura di articolazione sul territorio, di differenze culturali, di equilibri tra generazioni – non venga ascritta ad un capitolo marginale nella storia di questa programmazione.