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La lezione di Whirlpool Napoli, simbolo della deforestazione industriale

"La lezione di Whirlpool Napoli insegna che dietro ai numeri che snocciolano in tv o sui giornali o sui social ci sono persone che nessun processo industriale avanzato terrà in considerazione se non si adottano percorsi produttivi ma con fini sociali"

Le lavoratrici e i lavoratori di Whirlpool Napoli da 28 mesi sono in lotta per la salvaguardia del loro posto di lavoro. Si sono scontrati contro una multinazionale sorda e cieca e contro l’assenza di ogni regolamentazione che potesse limitare o impedire i licenziamenti da parte delle multinazionali in Italia.

Hanno manifestato ovunque e hanno proposto al Paese un nuovo modo di fare vertenza e lotta, non chiudendosi nella tragedia e nel dolore, ma aprendo il presidio in fabbrica ad ogni tipo di incontro e manifestazione.

Al presidio dell’aula sociale di Whirlpool Napoli sono passati politici, imprenditori, artisti, ambientalisti, cittadini comuni, partigiani, attivisti; chiunque sia stato in fabbrica ha potuto percepire quel senso di comunità, quell’orgoglio, quell’appartenenza che l’intero Paese ha riconosciuto e, simbolicamente, ha affidato a Whirlpool il vessillo delle vertenze complesse in opposizione alle multinazionali.

Napoli ha riconosciuto nella vertenza Whirlpool un punto focale della discussione politica nazionale in termini di esiti della deindustrializzazione, della delocalizzazione, dei licenziamenti collettivi, della precarizzazione, e l’attenzione della città comune è sempre stata molto alta. E non poteva mancare anche uno dei riconoscimenti più ambiti per il nostro territorio: il premio San Gennaro, destinato a chi porta Napoli nel proprio cuore e la fa conoscere nel mondo.

La lotta di Whirlpool Napoli ripercorsa dalle operaie

Quest’anno, il Gran Galà si è aperto con una lectio magistralis tenuta da due operaie di Whirlpool Napoli, inedita apertura, segnale di grande attenzione verso la vertenza e più in generale verso il tema caldo del nostro sistema Paese, ovvero il Lavoro.

Alla luce degli ultimi eventi, questa lectio è quanto mai attuale e ricorda quanto una fabbrica in un territorio devastato e abbandonato rappresenti un presidio di legalità, resistenza e dignità.

Italia Orofino e Carmen Nappo hanno ripercorso le tappe della vertenza non ancora conclusa, evidenziando le difficoltà economiche e sociali che questo tipo di vertenza riporta al territorio. Con queste parole:

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Italia Orofino e Carmen Nappo, operaie Whirlpool Napoli

“Per noi, aprire la serata significa il riconoscimento della città alla nostra lotta, fondata sui principi di giustizia sociale e dignità, iniziata ventotto mesi fa e non ancora terminata. Significa che Napoli si stringe in un abbraccio simbolico intorno a noi e a tutte le operaie e gli operai che in queste settimane stanno vivendo la tragedia della perdita del posto di lavoro in Italia.

Andremo con ordine, il tempo non è molto ma cercheremo di essere all’altezza del compito e di farvi sentire con orgoglio la voce di tutti i 350 lavoratori, nostri colleghi di Whirlpool Napoli.

La nostra lectio magistralis si intitola “Combattere per il lavoro, difendere la libertà e la dignità” a suggello di due concetti che espliciteremo nel corso dell’intervento:

  • il primo, stiamo vivendo una guerra, la recessione post pandemica, che pur senza armi sta mietendo vittime e distruggendo la pace e la coesione sociale;
  • il secondo, solo con il lavoro, garantito, tutelato, che esprime i diritti fondamentali delle persone, si vive secondo i principi di comunità e di civiltà.

Proviamo a mettere qualche punto fermo e a declinarlo poi nella nostra riflessione: quale impatto ha determinato la fine dell’esperienza del lavoro in fabbrica, dalla connotazione economica salariale e più o meno direttamente riconducibile a una specifica – ma non per questo immutabile – cultura del lavoro, sintetizzabile nella formula deduttiva della ‘coscienza operaia’, la cui angosciante ma tutto sommato prevedibile conclusione ha schiuso innanzi a sé un orizzonte di precarietà e destrutturazione esistenziale per i lavoratori direttamente coinvolti e in particolare per il Mezzogiorno? Che ricadute ha generato?

(…)

La crisi in corso mostra del resto la distorsione delle ricette finora seguite per affrontare i problemi del lavoro e dell’occupazione. Le politiche di intervento hanno agito solo sull’offerta di lavoro e sulle relazioni di lavoro nella convinzione che con la flessibilità, e con la formazione, si potessero affrontare problemi che invece nascono da carenze sul piano della politica economica.

Gli ultimi decenni sono stati infatti caratterizzati dalla totale mancanza di interventi significativi per il Mezzogiorno, quasi che la questione fosse stata del tutto risolta, mentre i problemi sono aumentati. (…)

Temiamo alla luce anche di ciò che stiamo vivendo sulla nostra pelle che si stia facendo strada l’idea che sia necessario addirittura ridurre le garanzie degli occupati soprattutto attraverso una facile licenziabilità per aumentare l’occupazione. Va notato che già da tempo è tramontato quell’interesse che negli anni ’70 ricercatori e tecnici avevano dedicato alla condizione operaia.

Questioni quali la stessa organizzazione del lavoro non sono più all’ordine del giorno: la grave disoccupazione e il calo sistematico dell’occupazione nella grande fabbrica spostano l’attenzione sulle questioni del lavoro. La perdita di potere e l’evidente indebolimento strutturale della classe operaia (a partire dalla sua riduzione numerica) ne riducono la ‘voce’ e la capacità dominante.

Esempio controcorrente tra tanti è il nostro: fabbrica e operai Whirlpool di via Argine a Napoli. Cronaca del declino di un pezzo di città che ancora resisteva alla malìa della criminalità e che, in un lasso di tempo estremamente breve, è passato da quartiere operaio a quartiere di lotta e resistenza.

Whirlpool fino a maggio 2019 produce a Napoli lavatrici a carica frontale di alta gamma, il prodotto vende bene e la fabbrica più volte viene premiata per l’eccellenza della produzione stessa. Le lavoratrici e i lavoratori di oggi, noi stesse, siamo figli e nipoti dei lavoratori di ieri: donne e uomini che dagli anni Cinquanta hanno fatto grande l’industria del bianco nel Mezzogiorno e hanno consentito una tenuta più che dignitosa della coesione sociale territoriale.

Stiamo parlando di circa 500 famiglie nel 2019, quasi tutte costituite e organizzate sul salario di Whirlpool; in molti casi entrambi i coniugi lavorano in fabbrica, quasi tutti hanno figli, molti dei quali studenti, tra di loro anche donne sole con figli piccoli, casi di presenza di gravi disabilità nel nucleo familiare, una variegata ma coesa comunità operaia fiera di appartenere e soprattutto di discendere da chi già lavorava in quel sito e lo ha reso grande. 500 famiglie che a maggio 2019 in una manciata di minuti hanno visto il mondo crollare.

Ma torniamo un passo indietro. Whirlpool, la multinazionale presente nel mondo con stabilimenti e punti vendita, con organici in espansione e bilanci a molteplici zero, a ottobre 2018 sigla un accordo con il Ministero per lo Sviluppo Economico e le organizzazioni sindacali che conferma la specializzazione delle missioni assegnate ai singoli siti in Italia e, segnatamente per Napoli, conferma la missione produttiva di lavatrici a carica frontale di alta gamma, il rinnovo della piattaforma Omnia nella prima metà del 2020 e il graduale trasferimento delle lavatrici di Comunanza (in provincia di Ascoli Piceno) al contestuale lancio della piattaforma lavasciuga dello stesso sito ascolano. Il tutto con un investimento per il triennio 2019/2021 di circa 17 milioni di euro tra prodotto, processo, ricerca e sviluppo. Ma a maggio 2019, sette mesi dopo la firma dell’accordo, Whirlpool con una secca comunicazione dichiara la chiusura del sito di Napoli. Da quel momento, è stato chiaro il significato di tre parole: comunità, lotta e abbandono.

(…)

Whirlpool ha puntato all’epoca sulla produzione di componentistica per lavatrici di alta gamma, che a dire della proprietà oggi non ha più mercato. La soluzione della multinazionale è chiudere lo stabilimento, sottovalutando il prezzo sociale completamente scaricato sugli operai ed i loro figli e sottodimensionando l’impatto economico sul territorio. Innanzitutto, è da chiarire l’impatto sui bilanci della multinazionale di quello che ritengono essere uno stabilimento in perdita. Ad oggi, abbiamo notizie certe di bilanci in attivo, nuove assunzioni – sebbene in somministrazione – e un’attività a dir poco fiorente. In tutto ciò, si è deciso, altrove, che Napoli debba chiudere. Ancor peggio se si pensa ad una eventuale delocalizzazione della produzione.

In sintesi, una fabbrica che funziona, lavoratrici e lavoratori competenti, un indotto di oltre 800 tra operai e impiegati, un territorio che per sostenersi ha bisogno di legalità, tutele e garanzie, e inspiegabilmente la chiusura che a breve potrebbe addirittura portare al licenziamento.

Far chiudere il penultimo stabilimento della cosiddetta “zona industriale” – trasformata nel tempo in un deserto, ferita aperta per la città – è chiaro segnale di una volontà di disinvestimento al Sud e vuol dire consegnare centinaia di famiglie al degrado.

Negando il lavoro si condannano i territori e le famiglie alla povertà, alla criminalità organizzata, alla marginalità sociale. E siamo certe che nessuno sia indifferente al problema, anzi, pur avendo provato a portare soluzioni, inequivocabilmente Whirlpool le ha restituite ai mittenti.

Ci avete visto ovunque: in televisione, nei cortei, sui binari dei treni, nel mare del porto di Napoli, a Capodichino in aeroporto, ai talk show, sotto il sole cocente di Roma in via Veneto dove ha sede il Ministero dello Sviluppo Economico, in presidio permanente in fabbrica a Napoli, abbiamo organizzato eventi e manifestazioni sociali e di solidarietà, abbiamo addirittura sfilato come modelle mantenendo alta la nostra femminilità di donne operaie e abbiamo realizzato un calendario che ha venduto 7000 copie in Italia e in Europa arrivando fino al Presidente del Consiglio.

Per mesi lacrime e rabbia, speranze e delusioni, a Natale, a Ferragosto, siamo riusciti a coinvolgere personalità e Istituzioni in eventi sociali e di resistenza. Siamo il simbolo della deforestazione industriale e soprattutto siamo le cicatrici dolenti sulla spina dorsale del nostro Paese”.

Quel che resterà senza il presidio di via Argine

La lezione di Whirlpool Napoli insegna che dietro ai numeri che snocciolano in tv o sui giornali o sui social ci sono persone che nessun processo industriale avanzato terrà in considerazione se non si adottano percorsi produttivi ma con fini sociali; non significa necessariamente senza business anzi. Significa che l’interesse produttivo e quindi di profitto deve allinearsi anche l’interesse sociale, l’interesse dei lavoratori.

Hanno capito sulla loro pelle cosa significa globalizzazione e deregolamentazione del mercato e cosa succede quando uno Stato quasi nulla può davanti a tanta protervia di una multinazionale. A due anni e quattro mesi dal 31 maggio è cambiato tutto tranne che la decisione di Whirlpool di lasciare Napoli; restano, se non accade niente, i depositi di carburante e i clan di camorra che si fanno guerra tra loro.

Hanno capito che l’intuizione secondo cui le politiche si valorizzano se guardano alle persone nel loro complesso e non sono spezzettate è la strada giusta da seguire per valicare quegli ostacoli messi davanti a chi man mano ha visto erosi i propri diritti. Il diritto all’abitare dignitoso, alla salute, all’istruzione e il diritto al lavoro sono la sezione speculare dell’impegno di tutti contro quelle povertà, rispetto alle quali la precarizzazione del lavoro non può e non deve essere considerata come altro.

Ora resta la sfida di sostenere processi di sviluppo che accompagnino i nuovi modelli organizzativi del lavoro verso una protezione sociale i cui valori si sono dispersi nel tempo. Significa un notevole sforzo di collegamento tra il nuovo, e quindi tra modelli di sviluppo reticolari, spesso improntati alla tecnologia, diverse forme contrattuali, approcci industriali completamente rinnovati, e il “vecchio”, cioè quel sistema di welfare sociale legato al lavoro. La precarizzazione del lavoro, contro cui noi stiamo combattendo con tutte le nostre armi, ha creato vite provvisorie, pensieri corti, emozioni stanche, legami al minimo, senso di appartenenza inesistente.

Alcuni diritti e alcune certezze sono tuttora legati al lavoro salariato e retribuito, le cui radici affondano nella rivoluzione industriale e nelle lotte dei lavoratori del Novecento e che oggi riproponiamo, sebbene con tratti diversi e più moderni.

Ora viviamo un momento di transito, che la pandemia ha accelerato, su una piega del tempo che segna appunto il passaggio rispetto alla configurazione e all’organizzazione del mondo del lavoro. Non più nel passato perché l’immagine unitaria del lavoro si è ormai consumata, portando con sé non solo il contratto dipendente e a tempo indeterminato per tutti, ma anche la costruzione delle tradizionali fasi intorno a cui si sviluppano le vite delle persone.

Non ancora nel futuro perché stenta ad emergere un nuovo concetto di lavoro, in cui tutti possano identificarsi e intorno al quale si possano costruire traiettorie biografiche personali e collettive coerenti con i tempi e con le sensibilità di ciascuno. 

Monica Buonanno

Esperta di politiche attive del lavoro, dipendente di Anpal Servizi, Partner di Progetto del Forum Disuguaglianze e Diversità, già Assessore alle Politiche Sociali e al Lavoro del Comune di Napoli. In un mondo dove le disuguaglianze sono sempre più nette, trova inadeguata una politica che segmenti servizi e misure contro le povertà. Propone un modello di integrazione tra lavoro, welfare e sviluppo territoriale.

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