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Apple sbircerà nei nostri cloud alla ricerca di materiale pedopornografico. Ma siamo sicuri che sia un bene?

La discussione che contrappone diritto alla privacy e sicurezza si arricchisce di un nuovo spin-off, e le voci contro non sono assolutamente trascurabili.

Sembrano passati i tempi in cui la privacy dell’utente era un assioma cardine dell’IT, di quando si parlava di inviolabilità delle nostre caselle di posta e dei nostri account personali anche post-mortem e anche in casi di giustizia clamorosi con i servizi digitali e i provider intenti a garantire in primis l’inviolabilità della riservatezza del dato a loro affidato. Il trend sembra destinato ora a invertirsi con uno dei top player del settore, Apple, che stando a indiscrezioni di CNN sarebbe pronto a lanciare, con i prossimi aggiornamenti dei dispositivi, un sistema che permetterebbe di scoprire immagini pedopornografiche negli iCloud dei suoi utenti, almeno per ora quelli statunitensi.

La misura è stata accompagnata, ancor prima che con le specifiche tecniche, con la garanzia da parte della Mela morsicata che la privacy degli utenti resta al primo posto. Non lo mettiamo in dubbio, ma il segnale che viene fuori è completamente opposto: sembra che Apple ci abbia dato una stanza per poi spiarci in esclusiva con uno spioncino digitale. E, considerando che tra i casi di inviolabilità sopra citati rientra come case study proprio un Apple vs. FBI, è il caso di una riflessione più profonda.

Apple e l’algoritmo per individuare pedopornografia sui Cloud, come funzionerà

A scandagliare i nostri dati in Cloud, ivi incluse le foto dove potrebbero annidarsi potenziali media dal contenuto pedopornografico, sarà un algoritmo stando alle indiscrezioni di stampa. Nulla di visibile all’occhio umano in questa prima fase, quindi, ma un software che dalle immagini conservate in cloud dagli utenti è in grado di restituire simboli, che vengono interpretati incrociando dati con altri database messi a disposizione da alcune associazioni a tutela dei minori. Solo quando scatta il presunto allarme, e con un secondo ma non meglio specificato controllo che – secondo Apple – ridurrebbe la possibilità di errore di una sotto un trilione, il confronto diventa visivo. In caso di corrispondenza, scatta la chiusura dell’account e la segnalazione alle autorità competenti.

E se scrosciano applausi da parte delle associazioni a tutela dei minori, tra cui segnaliamo quelli di John Clark:

“La realtà è che la privacy e la protezione dei minori non possono coesistere”.

John Clark, CEO National Center for Missing & Exploited Children

il coro di dissensi è sicuramente più rumoroso in questo momento.

Chi dice no al modello Apple contro la pedopornografia

No al tracciamento, sì alla scansione dei contenuti degli utenti. La guerra che si sta consumando tra Apple e il gruppo Facebook è già di per sé ricca di spunti. La presa di posizione del leader del gruppo Whatsapp, Will Cathcart, allarga il terreno dello scontro sulla privacy tra i due gruppi.

“L’approccio che stanno adottando introduce qualcosa di molto preoccupante. Invece di rendere più facili le segnalazioni dei contenuti da parte degli utenti, Apple ha creato un software in grado di scansionare tutte le foto private sul telefono, anche quelle che non hai condiviso con nessuno. Questa non è privacy”

Will Cathcart, Head of Whatsapp

Per dare una misura della bontà del suo metodo, Cathcart aggiunge che grazie alle segnalazioni dei suoi utenti ha potuto segnalare oltre 400mila casi alle autorità statunitensi. Altra voce autorevole che si è scagliata contro Apple è quella dell’ex CIA Edward Snowden protagonista di uno dei più famosi Dataleaks della storia. Per Snowden “non importa quanto sia bene intenzionata Apple, con questo sistema la società sta implementando una sorveglianza di massa in tutto il mondo”. Il tutto ritwittando un articolo di EFF, a firma di India McKinney e Erica Portnoy dal laconico titolo: “Il piano di Apple per think different circa la crittografia apre una backdoor alla tua vita privata”.

“Se possono cercare materiale pedopornografico oggi, possono cercare qualsiasi cosa domani. Hanno trasformato un trilione di dollari di dispositivi in ​​iNarcs e senza chiedere il permesso”

Edward Snowden, attivista informatico

Sebbene queste due voci siano quelle che per blasone hanno fatto più rumore, anche oltreoceano e sui nostri giornali, va detto che negli Stati Uniti a sollevarsi contro la misura sono stati tanti esperti di settore, osservatori e così via. Sì, Apple apre un pericoloso spioncino sui nostri dati. Ma non è solo questo.

Perché all’apparente contraddizione tra il collaborare con le associazioni per stanare i criminali e il rifiutare di violare la privacy degli utenti per indagini di polizia, finanche di terrorismo – cosa che ad esempio al Fatto Quotidiano che oggi parla di questione delicata ma nel 2018 lasciava che su uno dei suoi blog si scrivesse nel titolo che la privacy dei banditi è al sicuro – c’è un altro scenario estremamente preoccupante.

Meglio le big dell’IT che la polizia?

La questione è sintetizzata magistralmente da Giovanni Salmeri in un articolo di Agenda Digitale di inizio gennaio 2020, quando Jane Horvart, allora in qualità di responsabile delle politiche sulla privacy, aveva annunciato l’intenzione (senza spiegare in che modo) di Apple di combattere la pedopornografia “disattivando gli account”. Con un anticipo di oltre un anno e mezzo sul dibattito scoppiato oggi, Salmeri sollevava un tema che parecchi osservatori stanno richiamando in queste ore: dettando le modalità di accesso ai suoi dispositivi, la casa di Cupertino si sostituisce agli inquirenti e agli investigatori?

“È il segno dello strapotere delle grandi multinazionali e dello spostamento del potere effettivo dalla politica all’economia o addirittura alla finanza? Sicuramente in parte è così”.

Giovanni Salmeri, Docente Associato Università Tor Vergata

L’Europa in questi mesi sul tema in oggetto ha impresso una grande – e meno discussa – svolta grazie al Regolamento “ChatControl” che di fatto promette di rivoluzionare anche in quel caso tutti gli assiomi che per ora sono una giungla indistricabile. Insomma, il trend sembra tracciato, le pedine iniziano a muoversi, ma se trovare un equilibrio tra diritto alla privacy e sicurezza è ancora una chimera, che sia solo il privato a decidere come guardare nello spioncino di cui sopra non fa certo sperare bene.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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