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L’Italia non è un Paese per papà

La sensazione sgradevole che la salute emotiva e psicologica e tutto ciò che concerne ciò che c'è da sapere sulla gravidanza sia totalmente orientato verso la madre: ecco cosa ho provato man mano che cercavo di essere un papà all'altezza della sfida che mi attendeva. Ma del resto, con certi presupposti culturali ed economici, la strada da compiere è tutta in salita.

Da quando un normalissimo giorno dello scorso novembre, mentre apparecchiavo la tavola stappando una bottiglia di vino che poi avrei bevuto da solo, ho scoperto che la mia amata compagna di vita aspettava il nostro primo bambino, e ho smesso di essere uomo per diventare papà, mi sono imbattuto – man mano che cercavo informazioni su quello a cui stavo andando incontro – in un’oggettiva difficoltà: il web è ancora oggi – nel 2023 – orientato alla gravidanza vista solo dal lato della mamma.

La sensazione sgradevole (e dal sapore retrò e eteropatriarcale) è che la salute emotiva e psicologica e più in generale tutto ciò che concerne ciò che c’è da sapere per la gravidanza sia totalmente orientato verso la madre. Al papà è dedicato qualche contenuto collaterale, qualche trafiletto e nulla di più: ecco cosa ho provato mentre cercavo di essere pronto alla sfida che mi attendeva.

In realtà, la sensazione è avvalorata dai dati. Una ricerca condotta nel 2018 dall’Università di Firenze e pubblicata sulla rivista “Midwifery” ha concluso, dopo aver analizzato le informazioni reperibili online riguardo alla paternità e alla salute del padre, che i siti web italiani dedicati alla salute e alla paternità offrono meno informazioni rispetto ai siti web stranieri per quanto riguarda la paternità attiva e la salute del padre. Inoltre, sempre secondo la stessa ricerca, i siti web italiani tendono a concentrarsi principalmente sulla salute della madre e del bambino, trascurando le esigenze e le preoccupazioni dei padri. Questo divario nell’offerta di informazioni, spiegano i ricercatori, può influire sulla partecipazione dei padri alla cura dei figli e sulla loro capacità di assumere un ruolo attivo nella paternità.

Questo nonostante negli ultimi anni alcune iniziative e risorse online pensate per dare supporto ai papà sono nate (come ad esempio forum online e gruppi di supporto per i padri, così come siti web e blog che si concentrano sulla paternità attiva e sulla salute del padre). Ma la strada è ancora in salita.

La difficoltà per i papà di accedere alle stesse informazioni di mamma

La questione è globale. Secondo uno studio condotto dal National Partnership for Women and Families negli Stati Uniti, il 70% degli uomini intervistati ha affermato di “aver avuto difficoltà ad accedere alle informazioni necessarie sulla paternità e sulle loro responsabilità di genitori“.

Inoltre, il 61% ha dichiarato di non aver ricevuto abbastanza supporto dal loro datore di lavoro per conciliare lavoro e famiglia, e solo il 34% ha affermato di aver ricevuto un sostegno adeguato dalla propria compagnia assicurativa durante la gravidanza del partner.

Questa mancanza di informazioni e di supporto può avere chiaramente un impatto significativo sulla salute e il benessere degli uomini, ma anche del nascituro. Gli uomini che non hanno accesso alle informazioni e a servizi adeguati durante la gravidanza della compagna sono tendenzialmente “meno propensi a partecipare attivamente alla cura del bambino e ad assumersi le proprie responsabilità di genitori“.

Negli USA il problema è molto sentito: in molti ospedali e cliniche vengono offerti corsi di preparazione alla paternità, in cui i padri possono imparare le basi della cura del bambino e delle prime settimane della paternità. Insomma, si prova a tamponare anche se è riconosciuto il problema di una disparità.

E in Italia?

In Italia, la situazione non è molto diversa rispetto a quella degli Stati Uniti. Secondo un rapporto pubblicato nel 2020 dall’ISTAT solo il 29% degli uomini italiani ritiene di avere abbastanza tempo libero per dedicarsi alla famiglia. Inoltre, solo il 31,8% degli uomini intervistati ha dichiarato di aver partecipato ai corsi di preparazione alla paternità, rispetto al 98,4% delle donne. Meno di un papà ogni tre mamme, per dirla in soldoni.

Secondo uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista “Frontiers in Psychiatry”, questa mancanza di supporto e di informazioni può avere un impatto significativo sulla salute mentale degli uomini: i padri che si sentono inadeguati o non supportati durante la paternità sono quelli più a rischio di sviluppare disturbi dell’umore, come la depressione post-partum (che non è una prerogativa femminile).

Ci sono, anche in questo caso, realtà che provano a dire la loro: “Papà in Rete” organizza incontri e attività per i padri, al fine di fornire loro le informazioni e il supporto necessari per affrontare la paternità con fiducia, ad esempio, o ancora l’attività dell’associazione “Uomini e Donne per la Parità di Genere” che promuove l’uguaglianza di genere anche nella sfera familiare e della genitorialità.

E in Europa?

Il problema è sentito anche in Europa dove, secondo un rapporto del 2020 della Commissione europea in merito al divario tra uomini e donne in termini di supporto alla paternità e alla famiglia, il 43% degli uomini dell’Unione Europea ritiene di non avere abbastanza tempo libero per dedicarsi alla famiglia. Questa cifra scende al 29% se riferita alle donne.

La situazione differisce, chiaramente, da Paese a Paese. Secondo dati OCSE dello stesso anno, i Paesi Scandinavi sono i più avanzati in Europa in termini di supporto alla paternità e alla famiglia: in Norvegia già allora i padri avevano diritto a un congedo parentale retribuito di 15 settimane, mentre in Svezia, i genitori avevano diritto a un congedo parentale di 480 giorni, di cui 90 giorni sono riservati esclusivamente ai padri. In Germania, i padri hanno diritto a un congedo parentale retribuito di due mesi e mezzo, mentre in Francia il congedo parentale può essere condiviso tra i genitori fino a un massimo di sei mesi. In Italia, invece, con una “straordinaria” operazione del 2022 il congedo parentale del papà è arrivato a 10 giorni lavorativi retribuiti.

Come le differenze salariali influiscono sull’essere papà

Tra i principali motivi per cui vi è ancora introiettata negli italiani una forte differenza di responsabilità tra “l’uomo che porta i soldi a casa” e la “donna che deve accudire i bambini”. La questione del gender pay gap è sentita e lo dimostra la recente direttiva UE che la porterà come prioritaria nella legislazione degli Stati membri.

Nelle istituzioni comunitarie conoscono bene l’importanza di lavorare per eliminare il gender pay gap e promuovere politiche volte a sostenere la parità di genere e l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare per entrambi i sessi. Il gender pay gap ha effetti negativi non solo sulle donne ma anche sugli uomini e sulle loro famiglie. Quando le donne guadagnano meno degli uomini spesso i padri si sentono obbligati a lavorare di più per sostenere economicamente la famiglia, lasciando alle madri il compito principale di occuparsi dei figli e delle faccende domestiche.

Questo può portare a una diseguaglianza di genere anche nella ripartizione delle responsabilità familiari oltre a una limitazione delle opportunità di carriera per le donne. Così come se un uomo guadagna di più della sua partner potrebbe sentirsi più pressato a lavorare di più (per sostenere la famiglia) e quindi essere meno propenso a chiedere un congedo parentale o a dedicarsi maggiormente alla cura dei figli, allo stesso tempo se una donna guadagna meno del suo partner potrebbe sentirsi obbligata a tornare al lavoro presto dopo il parto per contribuire al sostentamento familiare, limitando così il tempo che può dedicare alla cura dei figli.

Oltre a una normale applicazione di logica e buon senso, queste conclusioni sono supportare anche da dati. Uno studio condotto in UK nel 2018, ad esempio, ha dimostrato un dato apparentemente paradossale: gli uomini che guadagnavano meno delle loro partner sono più propensi a prendersi un congedo parentale e a dedicarsi maggiormente alla cura dei figli rispetto a quelli che guadagnano di più. Al contrario, gli uomini che guadagnano di più sono meno propensi a prendersi un congedo parentale e a dedicarsi alla cura dei figli.

Fa eco uno studio francese del 2019 che ha rilevato che il divario salariale tra uomini e donne influisce sulla decisione delle donne di tornare al lavoro dopo la nascita dei figli. In particolare, le donne che guadagnano di più del loro partner sono meno propense a lasciare il lavoro rispetto a quelle che guadagnano meno. Sempre negli Stati Uniti invece nel 2020 una ricerca ha dimostrato che il gap salariale tra uomini e donne ha un impatto negativo sulla partecipazione dei padri alla cura dei figli.

E in Italia? Al 2021 l’INPS stimava il gap salariare nel nostro Paese mediamente intorno ai 6740 euro l’anno. Questa differenza salariare chiaramente pesa anche dentro casa: se un uomo guadagna di più della sua partner, potrebbe sentirsi più pressato a lavorare di più per sostenere la famiglia, lasciando alle madri il compito principale di occuparsi dei figli e delle faccende domestiche. Al contrario, se una donna guadagna di più del suo partner, potrebbe sentirsi meno obbligata a tornare al lavoro presto dopo il parto e potrebbe avere maggiori possibilità di dedicarsi alla cura dei figli.

Sappiamo inoltre che l’attuale congiuntura economica e le precarie condizioni di lavoro e le scarse retribuzioni dei giovani adulti difficilmente permettono a una famiglia di vivere in situazione di monoreddito. L’economia ci chiede quindi di superare un modello che però resta ben saldo nella forma mentis italiana. E l’assenza di politiche di welfare davvero impattanti a favore dei neogenitori (con l’Assegno Unico unico anche come baluardo del sostegno alla genitorialità da parte del Governo italiano) fa il resto.

Una questione culturale

In questo scenario comprenderete che l’idea che il papà sia collaterale è quasi naturale stanti ancora i rapporti di forza e di presenza tra i due sessi. Come se il papà non provasse una forte connessione emotiva col bambino in arrivo o non provasse ansie per la salute. Come se pagasse ancora il fatto di non portarlo in grembo.

La gravidanza della partner rappresenta un momento di grande cambiamento e crescita personale per i futuri padri, che spesso si trovano a riflettere sulle loro emozioni, i loro valori e le loro priorità di vita. La paternità può essere un’esperienza estremamente gratificante e arricchente, ma richiede anche un grande impegno e un’attenzione costante alla salute e al benessere della propria famiglia. Invece, in un momento in cui finanche il dibattito sull’omogenitorialità è aperto, dobbiamo constatare che nei fatti siamo molto indietro al punto tale che spesso al neo-papà non è dato nemmeno vivere le sue emozioni come sarebbe giusto, trascinato com’è in un baratro da background culturale duro da accantonare.

Insomma, essere papà è complesso e il supporto ai neo-papà, per assurdo, è completamente insufficiente per i tempi che viviamo. E il fatto che la gravidanza, anche da un punto di vista di informazioni a riguardo, sia considerabile come una questione prettamente della mamma, ne è solo un clamoroso esempio.

(questo articolo è stato scritto con il contributo di software di Intelligenza Artificiale)

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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