Interviste

“Napoli ha un problema di comunicazione. E ha bisogno di un coordinatore esterno”

"La narrativa mainstream della città si perde in una serie di cliché e stereotipi che vendono Napoli più come un luogo di intrattenimento più che come una metropoli ricca di offerte", spiega Federico Quagliuolo, fondatore di "Storie di Napoli". "La città vanta individualità di primissimo piano nazionale e internazionale. Dai giovani attori usciti sulla ribalta tra film e serie tv ai nomi storici dello spettacolo: quanto potenziale potrebbe esprimere una comunicazione coordinata?"

La comunicazione che Napoli fa di sé non è affatto equilibrata e rischia di diventare un pericoloso boomerang. Napoli, infatti, ormai non è più una città, ma un vero e proprio brand, un’immagine stampata nella coscienza collettiva. E come tale bisogna capire quali consumatori attrae e a quale futuro andrà incontro”. E ancora: “Anche l’immenso successo della narrativa criminale di Mare Fuori e di Gomorra è un fenomeno che ha fatto discutere molto: sono fenomeni presi, come spesso accade nel grande pubblico, in modo totalmente acritico e hanno contribuito, seppur involontariamente, a segnare un nuovo carattere negativo sull’immagine di Napoli così come è accaduto con Il film “Il Padrino” e la Regione Sicilia, assaltata ogni anno da visitatori alla ricerca della maglietta di Don Vito Corleone. Di fronte a tale domanda di intrattenimento trash o negativo, una considerevole fetta di pubblico napoletano spesso si adegua o, peggio, si diverte e si ritrova in questa tipologia di comunicazione.
Sono pressoché infiniti gli spettacoli chiassosi che intrattengono i turisti, dai piatti rotti nei locali agli insulti in un dialetto storpiato, volgare e lontano parente di quella lingua delle canzoni dei posteggiatori e delle commedie popolari di Viviani”.

Parole di Federico Quagliuolo, creator di contenuti che anni addietro ebbe la felice idea (ora nei numeri vincente) di costruire una narrazione nobile di Napoli. Le pagine social di Storie di Napoli e Storie Campane macinano oggi numeri record senza dover ricorrere a slogan, trovate sguaiate o spettacolarizzazioni varie ed eventuali del trash napoletano. Nei giorni scorsi ha raccontato su Storie di Napoli come Napoli sia finita in un cortocircuito di comunicazione e queste parole riecheggiano in un dibattito altresì vacuo dopo gli ultimi casi di cronaca di questi giorni che hanno visto al centro giovanissimi e che hanno rimesso in luce una certa crisi della città lontana dai lustrini turistici e dai set improvvisati.

Quagliuolo, nel suo intervento dice che Napoli ha un difetto di comunicazione in questo momento. Qual è?
Napoli parla sempre di sé in modo estremo: è tutto bello\è tutto orribile, ma gli argomenti messi in campo sono sempre gli stessi. È una mortificazione per la vastità culturale ed economica di questa città trovare una narrativa mainstream che gira solo attorno a criminalità, calcio e folklore.
Abbiamo anche una particolare peculiarità: c’è una gigantesca produzione spontanea di contenuti social da parte dei suoi stessi cittadini ancor prima che da parte dei visitatori. Il problema però è che la narrativa mainstream della città si perde in una serie di cliché e stereotipi che vendono Napoli più come un luogo di intrattenimento più che come una metropoli ricca di offerte.

Se riscuotono un successo colossale i piatti rotti al ristorante, i vicarielli con i finti panni stesi, il tour del vascio e altre iniziative che affascinano turisti e locali, dobbiamo domandarci: la città sta raccontando la sua cultura popolare, storicamente teatrale, anarchica e chiassosa, oppure la sta vendendo come se fosse una divertentissima gita in uno zoo senza regole?“.

Lei ha avuto il grande merito – e i numeri lo confermano – di offrire una narrazione diversa di Napoli e la Campania ben lontana dagli stereotipi di genere. Come può l’istituzione o chi è chiamato a tutelare e potenziare il brand Napoli prendere spunto dal successo di un racconto approfondito e innamorato come quello di Storie di Napoli?
Dovrebbe ‘istituzionalizzare’ e sostenere i progetti smart e qualitativamente di alto livello che rappresentano il meglio della comunicazione cittadina. Lo sta facendo la regione Toscana, con il suo influencer di punta, Wikipedro. Sempre nel centro Italia, le Marche hanno un progetto simile che riunisce tutti i creator “puliti” e di alto profilo che possono promuovere il territorio, anche se sono tutti piccolini. Anche la Puglia ha recentemente lanciato una call per censire e candidare i migliori creator della regione, presumibilmente con l’intenzione di creare una comunicazione istituzionale giovane ed efficace“.

Tornando a Napoli, invece, quale potrebbe essere la soluzione a questo difetto di comunicazione?
Investimenti ingenti nelle figure professionali già esistenti sul territorio e magari in un coordinatore straniero. Non per bassa fiducia nei confronti dei miei conterranei, ma perché Napoli ha bisogno di attrarre professionalità esterne per crescere e creare competitività. La città vanta individualità di primissimo piano nazionale e internazionale. Dai giovani attori usciti sulla ribalta tra film e serie tv ai nomi storici dello spettacolo: quanto potenziale potrebbe esprimere una comunicazione coordinata? E poi c’è sul web Storie di Napoli, che in questo momento è la più grande attività online di promozione territoriale in Italia. Lo dico da anni alle istituzioni regionali e comunali: dialoghiamo, cooperiamo, rendiamo Napoli e la Campania all’avanguardia nella sua narrativa. Il mio team ha creato uno strumento di comunicazione unico sul panorama nazionale“.

È vero che il problema di Napoli sono i napoletani? O, come dice quel detto, che Napoli è un bel presepe ma sono i pastori a inguaiarlo?
Napoli non sarebbe Napoli senza i napoletani. Nel bene e nel male. Anche davanti a episodi mostruosi come le morti, gli accoltellamenti e le mutilazioni che sono un eterno ritorno nella nostra cronaca. Non ci dormo la notte davanti allo strapotere dei prepotenti, che comincia con la guida spericolata e finisce con le minacce e le botte. L’orrore alternato alla meraviglia fanno parte di quel carattere estremo della città che tutti gli artisti e letterati hanno raccontato sin dai tempi del Viceregno spagnolo, quando il popolo fu gettato in una miseria senza ritorno.

Chiaramente è compito di scuole e amministrazioni quello di cancellare questi caratteri negativi: lo diceva Massimo D’Azeglio 170 anni fa, andrebbe letto di nuovo. Nonostante tutto, continuo a non credere nella repressione e ho paura di chi invoca la violenza. Anche qui ce lo insegna la Storia: la camorra fu completamente spazzata via nel 1911, con il primo maxiprocesso mai visto in Italia. Ancor più duro fu Mussolini, con una campagna militare condotta dal carabiniere Anceschi nell’agro aversano. Il militare scrisse al duce: ‘senza presidi dello Stato, scuole e stabilità economica, il mio lavoro sarà inutile’ Studiare un po’ di precedenti ci aiuterebbe a capire che da secoli facciamo sempre le stesse cose. Questo è il carattere di Napoli, fuori dal tempo perché vive in meccanismi sociali che si ripetono in eterno. I turisti sono molto intrigati.

Quelli che però proprio non sopporto sono gli speculatori. Sono persone che con perfetta lucidità sabotano il territorio per il proprio interesse personale. E Napoli, che è capitale dell’individualismo, ne ha un’infinità. Alcuni dei più feroci produttori di meme e campagne diffamatorie contro Napoli sono proprio campani. Oppure pensiamo al ragazzo che inscenava nei quartieri spagnoli il Camorra Tour o il finto scippo. E infine, tutti quelli che promuovono in vari modi comportamenti criminali o illegali sui social, a volte buttandola sul ridere come “‘arte di arrangiarsi'”.

Cosa in questo momento non è sfruttato a dovere? Cosa sul territorio cittadino ampiamente sottovalutato?
Le periferie sono il più grande patrimonio di una città moderna e noi l’abbiamo completamente dilapidato. Napoli paga un immenso ripetersi di errori storici effettuati dalle amministrazioni nel corso dei secoli. Dalle strade sovraffollate e dei fondaci, figlie dei Vicerè, all’edilizia del dopoguerra, che ha completamente distrutto e soffocato l’intera area urbana senza alcun criterio razionale. Il territorio cittadino ha un gravissimo problema di mobilità e vivibilità urbana ed è questa la maggiore criticità di Napoli. Come puoi ammassare 3 milioni di persone in pochi chilometri quadri, senza mobilità urbana e senza investimenti seri nell’economia locale e sperare che questa cosa non diventi una bomba?

Se vogliamo sostenere una politica di “europeizzazione” e “turistizzazione” del centro città, senza giudicare se sia un bene o un male, dobbiamo riprogettare da capo le periferie. In tutte le capitali economiche e turistiche europee, l’hinterland è il luogo in cui si trasferiscono i cittadini che non possono o riescono a vivere nel centro storico. Milano è un esempio lampante di questo fenomeno“.

Con le vostre targhe sul territorio avete offerto uno spunto per decentralizzare il turismo in città. Purtroppo non colto del tutto. Ritiene corretto che diversificare il turismo sul territorio sia fondamentale? E come suggerisce di agire?
La prima regola della pubblicità è questa: per far sì che sia davvero efficace, tutti ne devono parlare. La nostra attività per spostare flussi turistici è uno spunto, ma anche qui serve un’azione coordinata e non speculativa da parte di istituzioni, guide turistiche e associazioni. Volevamo realizzare le targhe multimediali a Soccavo e siamo stati bloccati dalla soprintendenza perché era censita in loco già una segnaletica del 1994. Al Vomero alcune nostre targhe sono state oggetto di liti condominiali con tanto di vandalismi realizzati dagli stessi residenti. In un’altra zona del centro storico, invece, un’associazione cominciò a posizionare una segnaletica abusiva con fini più promozionali che informativi, per rispondere alla nostra. Questo accade quando non esiste un soggetto dotato di poteri normativi e di controllo sulla comunicazione: serve un delegato al marketing cittadino e regionale, che sappia dialogare con tutte le province per smistare i flussi turistici e gestirne la promozione. Possibilmente senza conflitti di interessi ed estraneo alla politica“.

Lei ha analizzato anche il fenomeno TikTok e in generale la narrazione di Napoli sui social network, evidenziando che è una narrazione stereotipata e tendente all’appiattimento e in generale “verso il basso”. Quali azioni dovrebbe compiere – e chi soprattutto – per reindirizzare tale narrazione o offrirne una alternativa?
Bisogna rendere “etica” la narrativa del territorio. Ben venga l’intrattenimento, ben vengano le battute in napoletano e ancor più bello è il folklore locale, se proposto in modo sano e disciplinato. E questo si fa investendo in risorse competenti e competitive nel campo della promozione istituzionale online. Negli altri campi artistici, abbiamo visto con il successo dell’Amica Geniale che è possibile parlare di Napoli senza dover cadere nei cliché narrativi. Altro esempio sono i successi di Maurizio De Giovanni, finito sulla tv nazionale con il suo commissario. Napoli piace e fa discutere anche quando si libera dalla macchietta teatrale nella quale si è chiusa. Una lezione ce l’ha data proprio la SSC Napoli dopo lo scudetto: la sua comunicazione ufficiale, come da anni invocava De Laurentiis, ha assunto un tono elegante e fortemente territoriale, dalle grafiche di presentazione delle partite alle conferenze stampa. Per realizzarla ha dovuto semplicemente attingere dal patrimonio che già oggi è presente a Napoli. E la presentazione dell’allenatore nuovo a Capodimonte è stata un segnale fortissimo di promozione dell’ordinaria nobiltà che ha sempre contraddistinto questa città“.

Esempi come Visit Abu Dhabi sono fattibili per un territorio come quello partenopeo in tal senso?

Di “visit…” ne abbiamo a migliaia anche qui in Italia e in Campania e anche Napoli ha il suo, gestito da un’agenzia di marketing che vende posizionamenti. In Irpinia, ad esempio, dove sto concentrando ultimamente le mie attività di impresa e dove ho addirittura spostato la sede operativa, si contano solo ad Avellino ben tre attività web di promozione del territorio: quella promossa dalla Regione, quella della Provincia e quella del Comune, senza contare l’infinità di progetti digitali di pro loco e agenzie di comunicazione locali. Il risultato è solo un enorme sistema ridondante. Senz’altro ottimo per posizionarsi nei termini di ricerca, ma inefficace sul piano pratico. È la visione d’insieme che va costruita per vendere il brand Napoli e non più la singola città come meta da visitare. Le persone scrivono “Milano” o “Parigi” sulle etichette perché nell’immaginario collettivo sono le capitali della moda. Apple invece vende i suoi cinturini col nome di “Venezia” anche se sono prodotti a Napoli“.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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