Comunità Energetiche, il potenziale enorme nascosto nella transizione sostenibile
"La comunità energetica crea un match perfetto tra domanda e offerta, che fa bene alla rete, ma crea anche risparmio sia per chi consuma, sia per chi produce, oltre a rispettare l’ambiente"
Comunità energetiche, quanto potenziale c’è dietro questo concetto? Lo scorso 23 gennaio ha visto la luce il decreto attuativo che norma le modalità d’incentivazione delle comunità energetiche e le configurazioni di autoconsumo collettivo. Mentre il 23 febbraio il MASE ha approvato le regole operative per l’accesso al servizio per l’autoconsumo diffuso e al contributo del PNRR. Un ritardo di un 1 anno e 7 mesi che ha rallentato la diffusione delle comunità energetiche, in un momento storico in cui sarebbero state un’ancora di salvezza contro i rincari delle bollette che hanno gravato pesantemente sui processi produttivi e sull’economia familiare.
Abbiamo posto qualche domanda a Daniele Iudicone, esperto di energie rinnovabili e founder di IMC Holding, per capirne di più.
Allora, perché sono fondamentali le comunità energetiche?
“Le comunità energetiche racchiudono un potenziale enorme; oltre a favorire una transizione energetica sostenibile a 360°: a livello ambientale, economico e sociale, rappresentano un’occasione di riscatto per i territori e un modo per favorire l’accettazione, a livello locale, dei grandi poli industriali, che potranno ricambiare l’ospitalità, fornendo in cambio energia pulita”.
Ad oggi, secondo i dati del GSE, sono 154, tra comunità energetiche rinnovabili e le configurazioni di autoconsumo collettivo, le realtà create in Italia. Numeri incoraggianti, che avrebbero potuto essere più alti, se non ci fosse stato il ritardo normativo e burocratico a rallentarne lo sviluppo.
Italia Solare stima che il decreto consentirà di aggiungere 12 GW di energia pulita, proveniente dalle comunità energetiche da qui al 2030, contribuendo per il 15% circa al raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo del solare fotovoltaico entro i prossimi sei anni.
Tra informazioni lacunose e sbagliate, Daniele Iudicone ci tiene a fare chiarezza sulle potenzialità delle comunità energetiche.
Le comunità energetiche non sono rivolte solo ai centri urbani e alle aziende di grandi dimensioni?
“Le comunità energetiche, per come sono state pensate e normate, sono alla portata di tutti. Premiano sia il consumatore dell’energia green, sia il prosumer, ovvero colui che produce energia per autoconsumo e reimmette, ad uso della comunità, il surplus del suo impianto rinnovabile.
Queste soluzioni si adattano a qualsiasi contesto, dalla città al piccolo borgo. Nei comuni fino a 5000 abitanti, tra l’altro, il GSE, grazie ai fondi del PNRR, ha messo a disposizione un incentivo del 40% a fondo perduto, per la realizzazione degli impianti rinnovabili. Le comunità energetiche, inoltre, possono riguardare anche i condomini; in questo caso si parla di autoconsumo collettivo. In generale, dal privato, all’azienda, chiunque può prendere parte a una comunità energetica, con vantaggi importanti, sia economici che ambientali”.
Qual è l’iter da seguire e il costo per avviare una comunità energetica?
“Per prima cosa si dovrà scegliere un’azienda che possa realizzare una comunità energetica e, volendo, anche occuparsi della sua gestione. La comunità, infatti, deve mantenere nel tempo una percentuale del 55% di energia autoconsumata all’interno della rete stessa, mentre gli incentivi del GSE verranno erogati ogni 6 mesi a un referente designato della comunità, cui spetterà il compito di ripartirli con i diretti interessati.
Questa operazione può essere svolta in autonomia o avvalendosi di una società esterna. Una volta individuati i primi produttori di energia green e i primi consumatori, è necessario rivolgersi al notaio per costituire la comunità energetica. Quest’ultima potrà accogliere nel tempo, sia nuovi consumatori, sia nuovi prosumer, a patto che per questi ultimi, l’impianto fotovoltaico venga creato in occasione dell’ingresso nella comunità e non sia preesistente alla stessa. Lo step successivo sarà fare richiesta al GSE per ricevere gli incentivi.
La modalità di autoconsumo collettivo, che riguarda i condomini, invece, non richiede di rivolgersi al notaio e non è richiesta l’approvazione all’unanimità dei condomini per la realizzazione dell’impianto rinnovabile. Le unità immobiliari che decideranno di dotarsi dell’impianto diventeranno prosumer, con il doppio vantaggio di godere di energia pulita a costo zero e guadagnare su quella immessa in rete ad uso della stessa comunità, mentre i condomini che usufruiranno dell’energia prodotta dal condominio, riceveranno gli incentivi del GSE.
In termini di costo, una comunità energetica prevede la spesa relativa all’impianto fotovoltaico (il cui costo varia in base alla potenza installata), l’ingaggio del notaio (circa 1000€) e le pratiche rivolte al GSE (altri 1000€)”.
Quali incentivi e agevolazioni esistono per chi vuole partecipare?
“Lato consumatori di una comunità energetica, il GSE riconosce un incentivo di 12 centesimi per ogni kW di energia autoconsumata. Per i produttori l’incentivo è di 11 centesimi per ogni kW immesso e consumato nella rete della comunità stessa”.
Come funziona la gestione dell’energia all’interno di una comunità energetica?
“La gestione è molte semplice: vengono installati dei meter, sia sull’impianto fotovoltaico, sia sui contatori, che dialogano con il GSE tramite il canale Chain2. Esistono poi delle App che mostrano in tempo reale agli appartenenti della comunità quanta energia viene prodotta e consumata. Ogni 6 mesi il GSE invia al referente prescelto il resoconto dell’energia prodotta e consumata dai singoli POD e i relativi incentivi”.
Che tipo di benefici a lungo termine offrono le comunità energetiche, sia dal punto di vista economico che ambientale? Quali sono i principali rischi da considerare?
“Non ci sono rischi. I benefici, invece, sono enormi. In primis viene garantita una grande sostenibilità economica: l’energia prodotta viene consumata nell’immediato dalla stessa comunità; questo garantisce una migliore gestione della rete elettrica che potrebbe, invece, essere appesantita da tanti impianti fotovoltaici che immettono il proprio surplus energetico nella rete, senza sapere come re-distribuirlo.
La comunità energetica crea un match perfetto tra domanda e offerta, che fa bene alla rete, ma crea anche risparmio sia per chi consuma, sia per chi produce, oltre a rispettare l’ambiente. Nel primo caso il 50% del costo al KW dell’energia consumata sarà coperto dall’incentivo del GSE, mentre il prosumer avrà a disposizione energia green a costo zero per i propri consumi e riceverà un bonus per il surplus che metterà a disposizione della comunità”.
Quanto è complessa la gestione operativa di una comunità energetica?
“Le comunità energetiche, così come concepite dall’ultimo decreto attuativo, sono appena nate, quindi ci vorrà del tempo per capire nel dettaglio i vantaggi e le eventuali complessità collegate”.
Quali sono gli errori più comuni che si commettono nel processo di costituzione e gestione di una comunità energetica?
“L’errore più frequente è di affidarsi ad aziende che non istallano correttamente l’impianto. Consiglio di scegliere un’azienda che abbia una buona reputazione, sia per l’installazione, sia per la qualità dei prodotti utilizzati, che devono durare nel tempo. Ancora meglio se, alle spalle della società installatrice, è presente una compagnia elettrica ad essa collegata per avere un maggiore controllo sull’energia consumata”.