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La Sindrome di Cassandra contribuisce al gender gap? 5 motivi per cui le donne tendono a svalutarsi

Ciò che viene vissuto dalla donna in questa situazione è una scarsa considerazione dei propri bisogni e delle proprie ragioni, con richieste e opinioni che vengono banalizzate.

Pregiudizi di genere, discriminazioni, sopraffazioni e rapporti di potere inconsci sono manifestazioni comportamentali machiste che molte donne hanno subìto almeno una volta nella vita. Questo può innescare una situazione non diagnosticata, anche nota come Sindrome di Cassandra, che porta le donne a interiorizzare i pregiudizi a loro attribuiti e manifestare rassegnazione circa il proprio ruolo di genere nella società.

Ma di cosa parliamo? Lo spiegano gli specialisti di Serenis, la startup che offre servizi di psicoterapia online.

Cos’è la Sindrome di Cassandra

La Sindrome di Cassandra: una profezia che si autoavvera: interiorizzare il personaggio che la società impone è una condizione comune a molte donne che, in seguito a micro aggressioni quotidiane e dinamiche di sopraffazione – spesso inconsce – (come nelle pratiche di manterrupting e mansplaining), manifestano una rassegnazione circa il proprio ruolo di genere e identità sociale.

Tutto questo va a creare una condizione non diagnosticata a livello medico, anche nota come sindrome di Cassandra, che colpisce soprattutto le donne ma non soltanto. Questa prende il nome da uno dei miti più famosi dell’Iliade di Omero, in cui si narra che Apollo, dio della profezia, per conquistare la bella Cassandra, figlia del re di Troia, le fece il dono della “Profezia”. Cassandra, però, negò di soddisfare i desideri di Apollo che si vendicò trasformando il dono in un flagello: da quel momento in poi tutte le predizioni che lei avrebbe fatto, seppur vere, non sarebbero mai più state credute.

Così come Cassandra, chi si riconosce nella sindrome tende a non essere preso in considerazione, soprattutto rispetto a previsioni negative sul futuro. Depressione, bassa autostima, senso di inadeguatezza e ricerca dell’approvazione l’esterna sono quindi alcune delle caratteristiche principali della sindrome di Cassandra, che portano a svalutarsi e ad adottare di conseguenza un atteggiamento rinunciatario, arrendendosi passivamente al proprio destino.

Questo accade perché quando viene dato risalto al ruolo di genere rigido e stereotipato, anche se inconsciamente, si attivano quei copioni sociali di comportamento che riflettono i pregiudizi, ma che essendo interiorizzati sono già dentro di noi e basta solo un innesco per farci cadere nella trappola dell’adesione allo stereotipo” – afferma Federico Russo, direttore clinico di Serenis.

Per prendere la patente, ad esempio, riceviamo tutti lo stesso insegnamento su come guidare e fare manovre per entrare in un parcheggio, non ci sono differenze. Ma nel momento in cui è una donna a guidare, c’è la possibilità che vesta inconsciamente i panni di un personaggio stereotipato sulla base delle aspettative della società che la considera come incapace alla guida. Questo potrebbe di conseguenza provocarle ansia e fare in modo che le aspettative predette si realizzino, dando adito così a preconcetti ben noti”.

Le 5 situazioni che portano le donne a svalutarsi

Ma quali sono i pregiudizi e i rapporti di potere che alimentano il divario di genere e la Sindrome di Cassandra? Risponde a questa domanda Serenis, centro medico di psicoterapia online che, attraverso il contributo del suo direttore clinico Federico Russo, ha individuato alcuni esempi di situazioni reali che possono portare le donne, ma non solo loro, a svalutarsi.

  • Manspread: si tratta di una violazione dello spazio personale e della tendenza – solitamente maschile – di occupare irrispettosamente lo spazio personale altrui. Ci si può trovare sedute sui mezzi pubblici e avere accanto un uomo che, seduto a gambe larghe, invade quello che sarebbe un posto disponibile.

    Questo comportamento viene spesso tollerato perché non ci si sente autorizzate a rivendicare i propri spazi, o a fare una richiesta che tuteli i nostri interessi per il timore che venga scambiato per un comportamento scontroso e aggressivo. Questo suggerisce come le donne sembrino accettare di rimanere relegate in un angolo e come accettino passivamente un atteggiamento – quello di occupare il loro spazio – che internamente non condividono.
  • Mansplaining: si tratta di un atteggiamento tipico di quegli uomini che screditano l’argomentazione dell’altra persona, pur non aggiungendo contenuto significativo. Può capitare, per esempio, che durante una conversazione una donna venga interrotta e che le venga spiegato quello di cui si stava già parlando. Ci sono alte probabilità che, a questo punto, una donna lasci spazio all’altra persona, di solito un uomo, e accetti di farsi spiegare ciò che già sapeva, forse anche meglio.

    O può accadere che le vengano ribaditi dei concetti o date spiegazioni di cose delle quali era già perfettamente consapevole di tutto, come dando per scontato che “le manchi un pezzo”. Questo comportamento rafforza la disuguaglianza di genere, perché quando un uomo spiega un argomento a una donna in modo paternalistico o condiscendente, rinvigorisce gli stereotipi di genere che si basano sulla presunta minore conoscenza e capacità intellettuale.
  • Manterrupting: una dinamica ordinaria come la conversazione riflette in realtà il potere sociale e l’asimmetria tra due interlocutori. Si sa, per esempio, che nell’interazione a due, il partner più “forte” è quello che interrompe con più probabilità il discorso, proprio perché abituato a essere colui che si impone.

    Questa dinamica si riscontra spesso nei contesti lavorativi dominati dagli uomini, come le aule dei consigli di amministrazione, dei tribunali e dei parlamenti. Quando invece a interrompere sono le donne, spesso vengono viste come meno piacevoli, diseducate, più dominanti e più aggressive. Un tale doppio standard mette in luce ancora una volta l’evidente pregiudizio della società, che considera gli uomini come più autorizzati a imporsi delle donne.
  • Gender gap lavorativo: le donne fanno più fatica a trovare un lavoro rispetto ai loro colleghi uomini e guadagnano in media il 20% in meno. Il gender gap a livello lavorativo, però, non si manifesta solo della differenza salariale: esistono atteggiamenti nascosti e pregiudizi inconsci che possono venire a galla alimentando ulteriormente questo divario.

    Ad esempio, è più probabile che in un contesto lavorativo una donna venga scambiata per stagista rispetto a un uomo, quando magari si tratta dell’opposto. Questo perché ancora oggi una donna ha meno credibilità nella sua professione, specie in quelle storicamente associate ai maschi, e domina il pregiudizio inconscio per cui gli uomini sono naturalmente leader o più adatti a ruoli dirigenziali, rivelando esempi di maschilismo interiorizzato.
  • Invalidazioni e luoghi comuni: un esempio concreto vissuto da qualsiasi donna è l’invalidazione da ciclo. Quando si litiga in una coppia e la discussione è accesa capita di alzare il tono della voce per cercare di farsi valere. Il partner, per porre fine alla conversazione, tende ad attribuire la colpa del comportamento intrattabile agli ormoni e al ciclo mestruale, anche per la malainformazione che si ha intorno al tema.

    Ciò che viene vissuto dalla donna in questa situazione è una scarsa considerazione dei propri bisogni e delle proprie ragioni, con richieste e opinioni che vengono banalizzate e ridotte a un “corto circuito” dovuto agli ormoni.

“Anche se può sembrare ridicolo ricorrere a neologismi, tutte le forme di discriminazione come mansplaining, manterrupting e gander gap rendono reale qualcosa di implicito e invisibile, ossia come la nostra società plasma la condizione della donna” – conclude Federico Russo.

Per invertire la rotta è importante evitare di banalizzare il fenomeno come non degno di vera indignazione e prestare attenzione per imparare a cadere sempre meno nella trappola dei classici pregiudizi che non fanno altro che alimentare ancora di più il divario di genere. Ciò che non aiuta, dall’altro lato, è attribuire la “colpa” della propria condizione alla sola parte maschile della società, perché facendo di tutta l’erba un fascio non si dà valore ai molti uomini che invece sostengono l’uguaglianza di genere e non attuano pratiche di discriminazione di genere.”

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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