Economia

Il Paese rallenta, allarme Confassociazioni: “Inflazione, energia, fallimenti sono tempesta perfetta”

Il 56,3% dei contribuenti paga quasi tutti i servizi all’insieme dei 60 milioni di cittadini del nostro Paese. In valori assoluti, su 60 milioni di connazionali, circa 23 milioni sopportano la maggior parte della spesa pubblica

Una “tempesta perfetta” che sta per travolgere il mondo imprenditoriale, quindi gli ecosistemi del mercato e del lavoro. La definisce così Confassociazioni nel primo report del 2022 presentato dal presidente Angelo Deiana nei giorni scorsi.

“Siamo sempre stati ottimisti. Ma la realtà è che siamo abbastanza preoccupati perché, come avevamo più volte affermato negli ultimi mesi del 2021, l’importante dato di crescita del sistema Italia nel corso dell’anno appena trascorso va confermato e consolidato nei primi 2 trimestri del 2022. E invece sta arrivando una mini tempesta perfetta fatta di inflazione, costo dell’energia, fallimenti, aumento del costo del denaro? Cosa fare per evitarla o ridurne gli impatti?”.

I numeri del report di Confassociazioni

Per circa 700mila aziende italiane c’è il rischio insolvenza con un crac, in prospettiva, da oltre 27 miliardi di euro. E’ quanto si legge nel Primo report 2022 del Centro studi di Confassociazioni.

In totale, le norme dei vari decreti sui prestiti bancari pandemici valgono: moratorie su 247,6 miliardi di euro complessivi di cui 27 miliardi relativi alle moratorie accordata a 694.894 imprese (moratorie scadute e non rinnovate per il 2022); i restanti 220,5 miliardi sono, invece, prestiti garantiti dallo Stato, così ripartiti: 22,9 miliardi, erogati a 1,1 milioni di soggetti (piccole e piccolissime imprese e partite Iva) sono relativi a operazioni fino a 30mila euro, mentre i restanti 197,5 miliardi sono crediti sopra i 30mila euro, erogati a circa 1,4 milioni di soggetti (prevalentemente PMI).

Si tratta di un grosso problema per le banche e per l’economia nel suo complesso perché da una parte, le banche dovranno capire se circa 2 milioni e 700mila persone riprenderanno a pagare i propri mutui, avendo ancora un lavoro in grado di onorare il mutuo stesso, anche a seguito della fine del divieto di licenziamento; dall’altra, gli ulteriori 220,5 miliardi rischiano di diventare un vero problema per le banche inizialmente, e per lo Stato a seguire, per quelle PMI che non saranno in grado, anche a seguito del proseguimento (per quanto attenuato) della pandemia, di trovarsi in pancia un grande quantità di npl (Non Performing Loans, in italiano “crediti deteriorati”).

L’ipotesi del Centro Studi di Confassociazioni è che ci siano già adesso almeno 50/60 miliardi di npl potenziali che emergeranno nel 2022. Non solo: per Confassociazioni in Italia, inoltre, esiste il problema dell’entità del cuneo complessivo tra costo dell’impresa e netto in busta paga per il dipendente.

“Parliamo del 47% per cui per dare ad un dipendente 100 euro in busta paga, l’impresa ne deve pagare 147. Ma di questi 147, circa 33 sono di contributi previdenziali (non comprimibili) e solo 14 di altri contributi, di cui una parte importante dedicati alla sicurezza sul lavoro. L’unica via di uscita è allora quella di rimodulare la tassazione allargando la base imponibile (piccolissima) del nostro Paese. E questo perché, come ricorda Itinerari Previdenziali, il totale dei redditi prodotti nel 2019 e dichiarati nel 2020 ai fini Irpef ammonta a 884,484 miliardi, per un gettito Irpef generato di 172,56 miliardi di euro (155,18 per l’Irpef ordinaria, 12,31 per l’addizionale regionale e 5,07 per l’addizionale comunale).”

Secondo i dati del report di Confassociazioni, su 41,52 milioni di contribuenti di questo Paese più 10 milioni di contribuenti non pagano nemmeno un euro di Irpef; chi è sotto i 7mila e 500 euro all’anno versa in media 2,5 euro al mese per un totale di soli 30 euro annui; circa 8 milioni di contribuenti con un reddito tra i 7.500 e i 15mila euro l’anno pagano solo 37,8 euro di Irpef al mese per un totale (misero) di 453,6 euro all’anno; il 43.6% dei contribuenti (quelli fino a 15mila euro all’anno) paga solo il 2,3% dell’Irpef pari a 20,3 miliardi di euro; il 43,1% dei contribuenti (quelli da 15 a 35mila euro all’anno) paga il 38,8% dell’Irpef pari a 343,17 miliardi di euro; il 13,2% dei contribuenti che guadagna oltre i 35mila all’anno paga il 58.8% dell’Irpef pari a 520 miliardi di euro.

Tutto questo vuol dire che il 56,3% dei contribuenti paga quasi tutti i servizi all’insieme dei 60 milioni di cittadini del nostro Paese. In valori assoluti, su 60 milioni di connazionali, circa 23 milioni (poco più del 30%) sopportano la maggior parte della spesa pubblica (circa 863 miliardi di euro all’anno su circa 890 miliardi complessivi) mentre i restanti cittadini (circa 37 milioni) pagano solo 20,7 miliardi di euro.

Su base individuale, a fronte di un sistema di servizi pubblici (Pubblica amministrazione centrale, enti territoriali, sanità, istruzione, trasporti, rifiuti, sicurezza, assistenza, eccetera) che costa annualmente circa 7.000 euro per ogni cittadino italiano, ecco quello che pagano i nostri connazionali: 10,3 milioni di connazionali pagano ‘zero’ euro cadauno; 2. 26,7 milioni di connazionali pagano all’incirca 549 euro cadauno; tutti gli altri 23 milioni di connazionali versano all’incirca 37.500 euro cadauno. Un’ingiustizia assoluta da stigmatizzare e da risolvere prima possibile.

L’allarme di Confassociazioni

Quello che preoccupa e che denuncia Confassociazioni riguarda gli ultimi dati sulla produzione industriale e sulle esportazioni: nel quarto trimestre 2021

raccontano che la crescita del nostro Paese sta rallentando per tanti motivi (Omicron compresa). Col risultato che, dopo un 2021 che dovrebbe chiudere al più 6,5% (dati Istat), il 2022 potrebbe avere un pil intorno al più 4% (dice Bankitalia), anche se il Fondo monetario internazionale già lo stima solo al 3,8%. D’altra parte, i numeri della ripresa del 2021 non dicono però tutto e la realtà appare meno esaltante. Alla fine del 2021 il PIL è di circa 3 punti percentuali inferiore a quello del 2019 che a sua volta risultava circa 4 punti percentuali inferiore a quello del 2007. In altre parole, possiamo dire che siamo il 7% circa meno ricchi di 15 anni fa”.

Un dato non da poco, che pesa sulle tasche degli italiani e nel mondo imprenditoriali. E che, soprattutto, assomiglia ad uno tsunami, per l’appunto una “tempesta perfetta” che fra inflazione, aumento del costo dell’energia e ipotesi di fallimento non sembra arrestarsi nel breve periodo. A pesare, però, è anche ben altro:

“Guardiamo al futuro. Con il petrolio tornato sopra gli 80 dollari al barile, l’inflazione dell’Eurozona al 5% (la più elevata da quanto esiste la moneta unica) e una crisi geopolitica come quella dell’Ucraina alle porte, i consumi e gli investimenti non dovrebbero aiutare la crescita del PIL. Anche la nostra inflazione, che alla fine del 2021 era più bassa della media europea, è cresciuta dell’1,6% solo nel mese di gennaio, soprattutto a causa dei rincari dell’energia”.

Da Confassociazioni, allora, arriva un monito e un appello:

Non dobbiamo dimenticare che il nostro debito pubblico, con i tassi di interesse in possibile rialzo nel 2023, sarà molto più oneroso. Certo, da quest’anno avremo la spinta positiva del Pnrr (191 miliardi di euro più gli investimenti del Fondo straordinario messo a disposizione dal governo). E senza dimenticare che tale ‘booster’ si affianca al Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, quello classico degli investimenti Ue che confluiscono in fondi standard come il Fse, il Fesr e tutti gli altri”.

“Ma – ha ricordato ancora il presidente di Confassociazioni – anche in questo caso, dobbiamo essere prudenti e pragmatici: il nostro Paese, infatti, dovrà centrare almeno 45 degli obiettivi previsti per incassare i prossimi 24,4 miliardi di euro (21,5 miliardi li avevamo già traguardati avendo raggiunto gli obiettivi previsti al 31 dicembre 2021).

E, soprattutto, che questi 45 obiettivi sono riforme di sistema o settoriali che impatteranno i nostri mondi produttivi e dei servizi e le loro eventuali rendite di posizione. Per questo, siamo convinti che quello che abbiamo avuto nel 2021 sia un grande rimbalzo, importante ma settoriale, fatto cioè principalmente dall’export, con i magazzini che si sono svuotati dopo l’accumulo del 2020, e poi dovuto ai superbonus immobiliari, che hanno trainato sia sul fronte dei lavori di ristrutturazione che su quello delle compravendite”.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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