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La battaglia sul Reddito Minimo: l’Europa dice sì, l’Italia tira il freno a mano

Quello sul reddito minimo (o reddito di cittadinanza) è un conflitto quasi del tutto politico, prima ancora che economico e sociale. In via di principio, ogni Stato democratico dovrebbe garantire che i suoi cittadini possano godere di una vita dignitosa, elemento essenziale per costruire economie e società eque e resilienti. E questa è la direzione adottata tout court dall'Unione Europea. Mentre in Italia si taglia.

La battaglia sul Reddito Minimo (pari al reddito di cittadinanza italiano, da non confondere con il salario minimo che riguarda le retribuzioni minime dignitose) continua con una nuova puntata.

Mentre nello scacchiere sovranazionale il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sul reddito minimo adeguato, in cui si osserva che una direttiva collettiva dell’Eurozona su un adeguato reddito minimo potrebbe contribuire a migliorare ulteriormente l’accessibilità, l’adeguatezza e l’efficacia di tali regimi e garantirebbe che le persone attualmente disoccupate vengano integrate nel mercato del lavoro, in Italia i passi indietro sono così tanti da pensare che, in realtà, i pedoni non si siano mai mossi dalle loro caselle.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di comprendere cosa stia accadendo.

Il reddito minimo e il contesto di riferimento

Inutile dirlo, quello sul reddito minimo (o reddito di cittadinanza) è un conflitto quasi del tutto politico, prima ancora che economico e sociale. In via di principio, ogni Stato democratico dovrebbe garantire che i suoi cittadini possano godere di una vita dignitosa, elemento essenziale per costruire economie e società eque e resilienti. E questa è la direzione adottata tout court dall’Unione Europea.

Chiariamo un attimo di cosa stiamo parlando: come scrisse già il collega Enrico Parolisi qualche settimana fa,

“Il reddito minimo – scrive Treccani didascalicamente – è un trasferimento monetario a sostegno del reddito dei poveri, erogato fino al permanere dello stato di necessità e riservato agli individui in età lavorativa. Si tratta di una misura di ultima istanza con l’obiettivo di garantire un tenore di vita minimo ai beneficiari e ai loro familiari”. Noto anche come reddito minimo universale, è una misura equiparabile in definizione a quella del reddito di cittadinanza. Differisce dal reddito di base (lo abbiamo scritto in questo articolo) o anche dal reddito minimo universale perché la platea di beneficiari è comunque vincolata (i requisiti sono quelli di accesso al reddito di cittadinanza).

Il reddito minimo citato dal consiglio Europeo nei suoi atti e nella nota diffusa a mezzo stampa è quindi di fatto equiparabile a quello che noi in Italia conosciamo come reddito di cittadinanza (la cui formulazione lessicale però tradisce un errore di base, perché la cittadinanza non è mai stata l’unico requisito per concorrere all’assegnazione del sussidio integrativo).

Nelle scorse ore, la presidente del Parlamento Europeo Ursula von der Leyen ha espresso l’aspirazione a un’Europa che si impegni di più giustizia sociale e prosperità. Questa iniziativa sul reddito minimo, pertanto, realizza l’ambizione e l’impegno del Unione per promuovere economie più inclusive e garantire che nessuno sia lasciato indietro: nonostante le politiche per combattere la povertà e i miglioramenti nell’ultimo decennio, infatti, il rischio di povertà o l’esclusione sociale hanno colpito oltre 95,4 milioni di europei nel 2021.

Sempre più poveri: ma è sostenibile?

Nel dettaglio, nell’Eurozona si è registrato un aumento nell’ultimo decennio del rischio di povertà: fino al 2020 l’economia dell’Unione Europea ha continuato ad espandersi e l’occupazione ha raggiunto il livello più alto mai registrato e la disoccupazione tornato ai livelli precedenti al 2008. La pandemia da Covid-19 ha portato tuttavia a uno shock economico e sociale non indifferente, situazione peggiorata dalle misure di confinamento e dalle restrizioni che hanno avuto un impatto sproporzionato su donne e persone in situazioni vulnerabili, in particolare in termini di onere maggiore del lavoro di assistenza informale, accesso limitato all’assistenza sanitaria, all’istruzione e ai relativi servizi sociali, aggravando anche preesistenti limitazioni nell’accesso al lavoro.

Come se non bastasse, con gli ultimi dodici mesi di guerra fra Russia e Ucraina, il forte aumento dei prezzi dell’energia e l’aumento dell’inflazione hanno colpito in particolare le famiglie a reddito basso e medio-basso, poiché la quota del consumo di energia e cibo nei loro redditi complessivi è generalmente superiore.

L’Europa, quindi, auspica per tutti i cittadini dell’Eurozona la lotta alla povertà e all’esclusione sociale e il diritto a un reddito minimo adeguato come pilastro europeo dei diritti sociali:

“Schemi di reddito minimo correttamente progettati possono fungere da stabilizzatori automatici. In tempi di recessioni economiche, possono contribuire a sostenere una ripresa sostenibile e inclusiva,
contribuire a mitigare il calo dei redditi familiari e a contenere i livelli di persone a rischio povertà o esclusione sociale. Possono anche avere un effetto stabilizzante sulla domanda complessiva di
beni e servizi. Schemi di reddito minimo ben concepiti raggiungono il giusto equilibrio
tra riduzione della povertà, incentivi al lavoro e costi di bilancio sostenibili”.

Il reddito minimo e la battaglia politica italiana

In Italia, il reddito minimo – conosciuto finora come Reddito di Cittadinanza – è invece il fulcro di una battaglia politica: con la nascita del nuovo Governo, infatti, già sappiamo che la misura del tutto perfezionabile subirà dei tagli e avrà un altro nome. Stiamo parlando, dunque, del MIA, la misura di inclusione attiva, che nelle premesse taglierà oltre seicentomila beneficiari dell’attuale reddito minimo italiano (Reddito di Cittadinanza).

Ma non solo: la sua erogazione sarà ancora più limitata nel tempo e nella quantità del contributo, come abbiamo approfondito in questo articolo. Il rischio che si corre – mentre l’Europa vola lontano dai paradossi italici – è quello di fermare ancora di più il mercato del lavoro e l’ascensore sociale ormai fermo da vent’anni nel Bel Paese: con meno sostegni – e con la mancanza di adeguati programmi di avviamento al lavoro – le persone (non i truffatori) saranno costrette ad accettare qualsiasi tipologia di impiego e di compenso.

Questo significa drogare ancora una volta il mercato del lavoro, cancellando la dignità dell’offerta economica: gli italiani, soprattutto quelli delle aree depresse e periferiche, saranno ancora di più un popolo di sfruttati (perché, in tutto ciò, manca una regolamentazione sul salario minimo).

L’auspicio, chiaramente, è quello di far combaciare le politiche sul reddito minimo con percorsi adeguati di inserimento nel mercato lavorativo, purché questi riescano realmente a rendere autonomi i cittadini e garantiscano una vita dignitosa ad ogni persona.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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Un Commento

  1. Io credo vivamente che ha questo governo dei poveri non interessa nulla.E sono convinta che stando al potere ci si dimentica di chi è in miseria,in quanto chi sta bene economicamente non si cura di chi non ha una parte di chi comanda. A me personalmente solo da DIO prendo comandi da nessun uomo donna

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