Cultura e Spettacoli

Anche quest’anno è già Sanremo: 73 edizioni di storia italiana

Perché è una parte, mondana e pop, della storia d’Italia nella quale ancora ci rispecchiamo. E allora in queste fredde serate di Febbraio non usciremo da casa la sera perché si potrà “Perdere l’amore”, come cantava Massimo Ranieri nel 1988, ma di certo non potremmo perderci Sanremo.

“Anche quest’anno è già Natale” cantava qualche tempo fa il “Piccolo coro dell’Antoniano”. Anche quest’anno è già Sanremo, potremmo dire noi.

Stasera ha inizio la kermesse musicale più nazional popolare della TV italiana. Il Festival che fa tanto chic dire “Ah, io non lo guardo!”, ma che poi fa sempre il boom di ascolti. Il Festival della canzone nostrana giunge alla sua settantatreesima edizione. E l’Italia è pronta a fermarsi per una settimana intera per la tradizionale festa laica della musica. Gira un “meme” sui social ove si dettano le regole per il medio spettatore televisivo.

Un manuale per le marmotte festivaliere: per la settimana sanremese non si deve mai chiedere di uscire la sera; se ci si vede, allora, sarà per una visita domestica e si resterà rigorosamente sintonizzati sul festival; considerando la scaletta interminabile delle canzoni, per i malati della kermesse, si dovranno giustificare tutti i ritardi a lavoro; così come a scuola e all’università… Si sa, si tirerà molto per le lunghe, ne avremo almeno per le due di notte! Quanti studenti della mia generazione sognavano una meritata settimana di febbre nel tepore del proprio letto per gustare il Festival e anche i servizi annessi e connessi, a partire da “Uno Mattina”?

Oggi, più che un’australiana, ci si augura l’allerta meteo di almeno 48 ore, scuole chiuse e bivacco assicurato per il prime time musicale.

Insomma Sanremo (a volte ci piace di chiamarlo solo col nome del paese che ospita il festival) ci emoziona ancora, è un festone colorato e fiorato che racconta la nostra storia. La storia che ci appartiene, nel segno del “sogno italiano”. Il sogno di coloro che furono gli ultimi del gradimento festivaliero per poi diventare primi (in un contrappasso quasi evangelico) nelle classifiche nazionali come Vasco Rossi e Zucchero. E come non ricordare l’epoca di Toto Cutugno eterno secondo (per ben sei volte la medaglia d’argento andò a lui). O gli artisti uniti per vincere la kermesse (i primi a inaugurare la tradizione furono Morandi-Tozzi-Ruggeri, il trio che si aggiudicò, con “Si può dare di più”, il primo posto nel 1987, due anni dopo fu la volta di Fausto Leali e Anna Oxa con “Ti lascerò”).

Tra fine anni ’80 e inizio ‘90 fu il Festival del patron Adriano Aragozzini che si accaparrò nomi altisonanti del panorama italiano come Pooh, Riccardo Cocciante, Renato Zero. Ma Sanremo è un grande trampolino di lancio, tanti sono i talenti che si sono affacciati da sconosciuti sul palco dell’Ariston e poi diventati affermati artisti a tempo indeterminato nel firmamento delle stelle della musica internazionale. Ricordiamo Eros Ramazzotti, Laura Pausini e Andrea Bocelli.

Sanremo è lo specchio dei tempi, è stato la saggezza e la cultura del professor Roberto Vecchioni che nel 2011, con la sua “Chiamami ancora amore”, fu come una lucciola nell’oscurità – erano gli anni segnati dalle vittorie del televoto e che aggiudicava il primo posto agli “amici di Maria De Filippi”- passando per la poesia dedicata agli ultimi del Cristicchi di “Ti regalerò una rosa”, al sentimento antimafia di Fabrizio Moro che nello stesso anno cantava “Pensa”.

Di seguito ci fu il biennio della direzione artistica del cantautore Claudio Baglioni in cui la musica tornava al centro dello spettacolo (senza ospiti che non avessero a che fare con le note e con un minutaggio dei brani in gara più ampio) e dove furono scoperti e lanciati artisti del calibro di Mahmood, Ultimo e Achille Lauro, fino ad arrivare agli anni della rassicurante restaurazione dell’era Amadeus.

E su questo carrozzone ricco e folkloristico negli anni sono saliti Ricchi e Poveri, Albano e Romina, ma anche campionissimi del trash come “Italia amore mio” con Pupo, Canonici ed Emanuele Filiberto (fu il caso dell’orchestra che, per la prima volta nella storia, contestò il podio lanciando al malcapitato trio spartiti  di carta appallottolati) o come la “Squadra Italia” che nel 1994 schierò i più nazional popolari che mai Mario Merola, Toni Santagata, Wess, Frate Cionfoli (ormai spogliato), Lando Fiorini, Jimmy Fontana, Rosanna Fratello, Nilla Pizzi e compagnia cantante. Come una messa laica, in un rassicurante ripetersi anno dopo anno, anche con tanta ingenua “voglia di ricominciare abusiva” – citando Elio e le storie tese nella loro prima partecipazione al Festival nel 1996 con “La terra dei cachi”- c’è chi non vuole rinunciare a certe tradizioni che scandiscono il proprio personale calendario familiare.

Perché è una parte, mondana e pop, della storia d’Italia nella quale ancora ci rispecchiamo. E allora in queste fredde serate di Febbraio non usciremo da casa la sera perché si potrà “Perdere l’amore”,
come cantava Massimo Ranieri nel 1988, ma di certo non potremmo perderci Sanremo.

Ivan Fedele

Ivan Fedele è attore e autore. In tv con “Made in Sud” nel duo “Ivan e Cristiano”. A teatro con “Troppo napoletano” e “Sala d’attesa”. Al cinema con “Tramite amicizia” e “Benvenuti in casa Esposito”. In radio con “Cascionissima” e i “Disconnessi”. Ha pubblicato romanzi con la Homo Scrivens e libri di saggistica musicale con la Santelli.

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