Vino ed etichette, cosa sta succedendo?
Si accende il dibattito dopo la legge irlandese sulle avvertenze di salute in etichetta per i vini. La spaccatura c'è, ma la strada sembra tracciata.
Vi sarete imbattuti in questi giorni – anche i meno attenti sui social – nello “scontro” a distanza tra Matteo Bassetti e Antonella Viola. I due ricercatori sono finiti in un duello sul vino: l’immunologa dell’università di Padova ha sostenuto che “anche moderate quantità di alcool” fanno male all’uomo e al suo cervello e che la “quantità giusta da bere per evitare i rischi è zero”. L’iinfettivologo diventato noto al grande pubblico durante la fase acuta della pandemia da Covid-19 ha invece chiosato sui social sui punti più duri del discorso della collega, tra cui quello della riduzione del cervello e delle “sue” concessioni. Chiudendo il suo post con una foto in cui alza un calice.
Ma, querelle a parte, cosa sta accadendo che provoca tale dibattito? Succede che in Irlanda, che pure di alcoolici è patria, una legge prevede l’obbligo sulle bottiglie di vino di avvisi sulla falsariga di quelli che, in effetti, conosciamo già sui pacchetti di sigarette.
Il consumo di alcool può provocare danni al fegato e tumori (del resto l’etanolo è nell’elenco delle sostanze cancerogene). Ma la scelta irlandese, avallata di fatto dall’Unione Europea e che prima di diventare definitiva deve attendere l’ok dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha provocato una spaccatura non indifferente. Da un lato Paesi produttori di vino e gli stessi produttori (e tra questi l’Italia riveste un ruolo da protagonista), dall’altro le istituzioni comunitarie che lasciano intuire di vedere nel provvedimento uno strumento utile per raggiungere gli obiettivi di una riduzione del consumo di alcolici entro il 2050 del 10% come da piano UE. “Nessuno è contro il vino – ha spiegato il portavoce della Commissione europea, Stefan De Keersmaecker – ciò di cui si occupa il Piano per battere il cancro è il consumo dannoso di alcol, che è una preoccupazione di salute pubblica”.
Insomma, il metodo irlandese non solo rischia di impattare sul mercato europeo ma potrebbe diventare un modello per l’intera UE. Ed è per questo che si stanno intensificando gli scambi e le relazioni tra i vari Governi. Non ultimo quello italiano che con il ministro degli Esteri Tajani ha annunciato di aver trovato “apertura al dialogo” da parte dell’esecutivo irlandese dopo aver sentito il suo pari grado Michéal Martin. Il tutto dopo che Italia, Francia, Spagna e altri sei Paesi comunitari hanno inviato un parere a Bruxelles che “evidenziava come l’eccezione irlandese discrimini i produttori degli altri Paesi Ue, costretti alla doppia etichetta”.
Produttori e associazioni enologiche italiane hanno tuonato contro l’etichettatura e hanno fatto sentire la loro rabbia e le loro proposte ritornando sul tema delle quantità sicure. Ma in questo non è solo la ricercatrice Viola a non aver fatto sponda ai produttori ma anche l’Istituto Superiore di Sanità. “L’etichetta garantisce al consumatore una scelta informata, perché le evidenze scientifiche indicano che non è possibile definire una quantità ‘sicura’ di alcool rispetto ad eventuali danni alla salute” ha affermato a Sky Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcool. Stessa cosa per Crea, l’organo tecnico del ministero dell’Agricoltura, che è sulla stessa linea dell’ISS, nonostante lo stesso ministro della Sovranità Alimentare e Agricoltura Francesco Lollobrigida non ha esisato a etichettare la scelta come qualcosa non volta a “garantire la salute” ma a “influenzare i mercati”.
Insomma, i prossimi mesi saranno cruciali, ma nonostante la linea sembri tracciata c’è ancora da mediare sulle diverse posizioni. Quel che è certo è che bere con moderazione resta il suggerimento principe da dare.