L’astensionismo è il primo partito anche nei sondaggi: ma è comodo far decidere a pochi
In un sistema democratico il voto dovrebbe essere lo strumento per riequilibrare le differenze sociali ed economiche presenti all’interno della società e il non voto, in una democrazia che funziona non dovrebbe essere la scelta principale dei cittadini.
L’astensionismo torna di moda ancora una volta. Secondo i sondaggi che circolano in queste settimane di campagna elettorale per le elezioni nazionali del prossimo 25 settembre, il partito con la percentuale maggiore è quello dell’astensionismo.
Il 40% degli italiani interpellati dai sondaggisti ha dichiarato che o non si recerà alle urne il prossimo 25 settembre o è ancora indeciso. Una percentuale che se pur dovesse assottigliarsi resta comunque alta e mostra come ci sia ancora un forte distacco tra i partiti politici e il Paese reale.
Il trend dell’affluenza
In Italia nel 1948, alle prime elezioni democratiche a suffragio universale, andò votare il 92,2% degli aventi diritto una percentuale così alta da rappresentare la totalità del corpo elettorale. Alle ultime elezioni nazionali del febbraio 2018, invece, solo il 72,9% degli italiani si recò alle urne. Un trend, quello della scarsa affluenza alle urne, che rischia di raggiungere il suo picco più basso proprio alle prossime elezioni e che sembra essere diventato un aspetto caratterizzante dei processi elettorali in Italia.
Anche l’affluenza elettorale fa però registrare una divisione geografica netta tra il Nord e il Sud della nostra nazione. Alle ultime elezioni europee del 26 maggio 2019 andò a votare il 56% degli aventi diritto con percentuali di affluenza superiori al 60% nel Nord, sopra al 50% al Centro, mente nella circoscrizioni Meridionale non si superò il 48% e in quella insulare ci si ferò al 37%. Stessa cosa accadde nelle elezioni regionali del 2020 quando in Veneto si registrò un’affluenza del 61% mentre in Campania solo del 55,2%.
Anche nella scelta delle istituzioni di prossimità, e cioè nelle elezioni amministrative per scegliere sindaci e consiglieri comunali, gli italiani stanno dimostrando disinteresse e lontananza dal processo democratico. Alle ultime amministrative a Napoli votò solo il 47,7% degli elettori, a Roma il 48,54%, a Milano il 47,7%. Dunque i sindaci delle tre più grandi città italiane furono scelti da una minoranza degli aventi diritto.
Napoli, l’esempio perfetto di distacco tra politica e vita reale
Proprio Napoli, la città più grande del Mezzogiorno che per storia e per caratteristica è il centro amministrativo e burocratico dell’intero Sud, è un caso paradigmatico per analizzare il fenomeno dell’astensionismo e del distacco tra politica e vita reale dei cittadini.
Nel capoluogo campano alle europee del 2019 l’affluenza si fermo al 40%, ben 15 punti percentuali sotto il dato nazionale; alle elezioni politiche del 2018 mentre in Italia votò il 73% degli aventi diritto a Napoli solo il 60%. Se poi si analizzano i dati dell’affluenza alle europee del 2019 nei vari quartieri della città partenopea si può tracciare una geografia sociale che rispecchia un trend nazionale.
La percentuale dei cittadini che si sono recati alle urne è molto più alta nei quartieri borghesi, quelli più ricchi, al Vomero, 52%, a Posillipo, 48% e a Chiaia, 48%, rispetto a quartieri più in difficoltà come Ponticelli, 38%, Pianura, 33%, Scampia 37%. I dati del 2019 ci dicono anche che i quartieri un tempo operai sono scivolati verso i margini. Quei luoghi da sempre centri della partecipazione politica, si sono trasformati oggi in deserti non solo urbani ma anche politici e infatti a Barra, Bagnoli e San Giovanni a Teduccio, l’affluenza resta inferiore di gran lunga al 40%.
Non votare è impossibile
Il dato dell’astensionismo e la percentuale di indecisi e probabili astenuti che emerge dai sondaggi mostra come la politica italiana, anche in piena campagna elettorale, resti un affare lontano dalla vita reale dei cittadini, un operazione distante chiusa in ambienti elitari, un hobby che possono permettersi i più agiati, i ceti sociali più garantiti, con più interessi da difendere e con più tempo da dedicare.
Eppure in un sistema democratico il voto dovrebbe essere lo strumento per riequilibrare le differenze sociali ed economiche presenti all’interno della società e il non voto, in una democrazia che funziona non dovrebbe essere la scelta principale dei cittadini. Anche perché, come scriveva David Foster Wallace, lo scrittore simbolo degli anni ’90, «non votare è impossibile: si può votare votando, oppure votare rimanendo a casa e raddoppiando tacitamente il valore del voto di un irriducibile».
L’astensionismo fa comodo
In realtà il calo costante dell’affluenza è un trend che pochi vogliono veramente invertire. L’astensionismo fa comodo, produce meno controllo, lascia la decisione in mano a pochi e rende chi è capace di muovere pacchetti di voti sempre più fondamentale nella costruzione delle liste, delle alleanze e dei progetti politici che diventano sempre meno chiari, sempre più generici e sempre meno concreti. Questo a rischio di svuotare le istituzioni democratiche perché «c’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino – come scrisse Robert Sabatier – e consiste nel togliergli la voglia di votare».
D’altronde il processo elettorale viene ormai percepito dai cittadini come «un rito cui ci si può sottrarre senza grave danno – scriveva Norberto Bobbio – e come tutti i riti, ad esempio la messa alla domenica, sono in fin dei conti una seccatura».
Una seccatura appunto che, come si capisce chiaramente dalle percentuali in calo dell’affluenza alle urne e dalla crescita costante degli indecisi nei sondaggi, sempre meno persone sono disposte a sopportare.
Infatti la democrazia non funziona !!!