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Il consumo di suolo, i pericoli per l’ambiente e il silenzio della politica

La politica italiana dovrebbe prestare più attenzione e impegnare più energie e pensiero per affrontare un tema come quello del consumo di suolo che rappresenta per l’Italia un problema concreto che pesa sulle tasche dei cittadini, sulla vivibilità delle nostre città, sulle vite delle future generazioni e sulla salute del nostro pianeta.

Il suolo non è solo il luogo sul quale coltivare, costruire case, industrie, strade, depositi, non è solo un motivo per scatenare guerre ma è una risorsa finita che ha un valore inestimabile nella sopravvivenza dell’intero pianeta. 

Il suolo per salvare il clima

Il suolo è infatti un deposito naturale di carbonio, un magazzino capace di catturare la CO2 evitando che questa si accumuli nell’atmosfera, è dunque uno strumento fondamentale per fermare o rallentare il riscaldamento globale. Purtroppo però nel senso comune il suolo è visto come un mero spazio da coprire, da conquistare, da piegare alle esigenze economiche e di vita dell’essere umano. Non è una coincidenza che dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi metà della vegetazione globale sia stata abbattuta e trasformata in altro, in strade, centri urbani, centri industriali. 

Il consumo di suolo in Italia

In Italia la situazione del consumo del suolo è pessima, ad evidenziarlo è il Rapporto pubblicato dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Secondo i dati raccolti dall’ente pubblico controllato dal ministero della Transizione Ecologica, in Italia nell’ultimo anno «le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 69,1 km quadrati, in media circa 19 ettari al giorno, 2,2 metri quadri di suolo persi ogni secondo». Quello rilevato dall’Ispra è il valore di consumo del suolo più elevato degli ultimi dieci anni, una perdita che viene compensata in minima parte dai 5,8 km quadrati di ripristino delle aree naturali. 

Demografia e consumo del suolo

Ad emergere con chiarezza è che le dinamiche demografiche non influiscono in maniera diretta con il consumo di suolo. Se infatti i tassi demografici in Italia sono in decrescita, il consumo di suolo procapite nel nostro Paese continua a crescere senza sosta, passando in un solo anno da 359 a 363 metri quadrati di suolo occupato da superfici artificiali per ogni abitante, 14 metri quadri in più rispetto al dato del 2012 (349 metri quadri per ogni abitante). 

Anche se i processi di urbanizzazione e di infrastrutturazione sono in fase di rallentamento, tra il 2006 e il 2021 in Italia sono stati consumati 1.153 chilometri quadrati di suolo naturale a causa dell’espansione urbana, con una media record di 77 chilometri quadrati all’anno. 

Quali sono le regioni dove si consuma più suolo?

Le regioni con i valori percentuali di suolo consumato maggiori sono la Lombardia (12,12%), il Veneto (11,90%) e la Campania (10,49%). Anche nelle grandi città, dove la densità abitativa è più alta e gli spazi residui sono limitati o quasi inesistenti, il fenomeno del consumo del suolo resta in crescita continua e questo rende le nostre aree urbane sempre più calde, con un aumento delle temperature estive di 3 gradi centigradi. 

Come viene utilizzato il suolo?

Il suolo consumato viene utilizzato per varie funzioni. Il 25% di tutto lo spazio consumatoo, circa 5.400 chilometri quadrati, è occupato da edifici e fabbricati che continuano ad espandersi con un’aumento di 1.125 ettari di suolo occupato nel 2021. L’aspetto assurdo è che 310 chilometri quadrati di questo spazio, una superficie pari all’estensione di Napoli e Milano messe insieme, risulta occupato da edifici non utilizzati, abbandonati e degradati. 

A pesare sul consumo del suolo sono anche gli spazi destinati alla realizzazione di nuovi poli logistici, 323 ettari nel 2021. Questi ettari rappresentano il prezzo da pagare sull’altare della nuova economia delle grandi piattaforme di vendita online che hanno bisogno di complessi sistemi logistici e di ampi spazi di stoccaggio e di deposito. 

Il paradosso degli impianti fotovoltaici a terra

Un paradosso del consumo del suolo sono le aree occupate dagli impianti fotovoltaici a terra. Si occupa suolo, contribuendo al riscaldamento globale, per produrre energia che dovrebbe essere pulita e aiutare le economie occidentali a compiere la transizione ecologica. Sono più di 17.500 gli ettari di terreno occupati da questa tipologia di impianti, concentrati principalmente in Puglia, dove ci sono il 35% di tutti gli impianti italiani, in Emilia Romagna e nel Lazio.

Si calcola che nei prossimi anni, come conseguenza della tradizione ecologica, oltre 50 mila ettari saranno occupati da impianti fotovoltaici a terra, il che farebbe aumentare di circa 8 volte il consumo di suolo annuale. Eppure per evitare questo paradosso basterebbe utilizzare i tetti degli edifici e dei fabbricati già esistenti al posto del suolo agricolo o naturale, in questo modo si potrebbero sfruttare tra i 75 mila e i 90 mila ettari di tetti senza consumere neanche un centimetro quadrato di suolo. 

I danni quantificati

Per ora i danni calcolati dal report dell’Ispra sono tanti e di varia natura. Dal 2012 ad oggi sono state perse aree di territorio che avrebbero garantito complessivamente oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di più di 360 milioni di metri cubi d’acqua di pioggia che, invece, oggi atterrano su suoli occupati rappresentano la prima causa di dissesto idrogeologico nel nostro Paese. Il danno economico è stato stimato in 8 miliardi di euro all’anno. 

La politica italiana, tanto intenta a cercare alleanze e quadre in vista delle elezioni di settembre, dovrebbe prestare più attenzione e impegnare più energie e pensiero per affrontare un tema come quello del consumo di suolo che rappresenta per l’Italia un problema concreto che pesa sulle tasche dei cittadini, sulla vivibilità delle nostre città, sulle vite delle future generazioni e sulla salute del nostro pianeta. Al momento di politiche serie a partire dal blocco degli impianti fotovoltaici a terra per finire con la limitazione degli spazi logistici, nei programmi e nei dibattiti pubblici non vi è traccia. 

Claudio Mazzone

Nato a Napoli nel 1984. Giornalista pubblicista dal 2019. Per vivere racconta storie, in tutti i modi e in tutte le forme. Preferisce quelle dimenticate, quelle abbandonate, ma soprattutto quelle non raccontate. Ha una laurea in Scienze Politiche, una serie di master, e anni di esperienza nel mondo della comunicazione politica.

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