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Granchio blu pericoloso? Per la natura lo è più l’uomo

Il granchio blu ha addirittura scalzato dalle prime pagine dei giornali quei poveracci degli orsi trentini e i lupi, oltre che i precedenti calabroni, ragni violino e vipere. Per non parlare dei cinghiali, di gran moda fino all'estate scorsa, e ora andati nel dimenticatoio (ma non perché non ci sono più, semplicemente perché non è più "figo" parlarne). Per non parlare della questione politica e amministrativa con il granchio blu che ha ravvivato un dibattito estivo altrimenti serioso e un po' sottotono e che sta portando a una vera e propria demonizzazione del crostaceo e alla sua persecuzione.

Insomma, la “peste” di quest’estate sembra proprio essere il granchio blu. Dagli articoli ormai pubblicati a cadenza quotidiana dalla stampa sembra proprio che ci stiano “invadendo”!

Il granchio blu ha addirittura scalzato dalle prime pagine dei giornali quei poveracci degli orsi trentini e i lupi, oltre che i precedenti calabroni, ragni violino e vipere. Per non parlare dei cinghiali, di gran moda fino all’estate scorsa, e ora andati nel dimenticatoio (ma non perché non ci sono più, semplicemente perché non è più “figo” parlarne). Per non parlare, inoltre, della questione politica e amministrativa con il granchio blu che ha ravvivato un dibattito estivo altrimenti serioso e un po’ sottotono e che sta portando a una vera e propria demonizzazione del crostaceo e alla sua persecuzione.

giorgia meloni granchio blu
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni in vacanze a Ceglie Messapica a tavola con del granchio blu. La foto è stata postata dal cognato (e Ministro dell’Agricoltura) Francesco Lollobrigida (che è l’autore dello scatto) sui suoi canali social. Nel CdM del 7 agosto, per tutelare il settore ittico, il Governo ha stanziato 2,9 milioni di euro per la cattura e lo smaltimento del granchio blu. (Redazione) 

Partiamo dal granchio blu

Parliamo dei fatti: il nome con cui ormai è famoso, ovvero granchio blu, nasconde il suo vero nome: Callinectes Sapidus. Si tratta di una specie alloctona che proviene dalle coste atlantiche delle Americhe e grazie anche all’homo sapiens si è “diffusa” e ad oggi è largamente distribuita a livello globale.

Le prime segnalazioni nel Mediterraneo risalgono al 1949, quando è stato rinvenuto a Grado, nell’Adriatico (Giordani Soika, 1951). È tuttavia solo nell’ultimo decennio che la specie ha cominciato a diffondersi capillarmente nel Mar Mediterraneo, Italia inclusa. Sono inoltre una specie molto prolifica che può produrre un numero di uova compreso tra 700.000 e 2.100.000, a seconda delle dimensioni delle femmine.

Sebbene non costituisca un pericolo per l’essere umano, il granchio americano è una specie alloctona che può avere un marcato impatto sulla biodiversità, entrando in competizione, spesso vincente, con le specie autoctone come i mitili. Anche se gli Ibis, alloctoni anche loro, nel Delta del Po sembra che stiano già predando con forza anche i “nostri” granchi blu.

Ma a chi fa male il granchio blu?

Nel nostro Paese questa specie è abbondantemente diffusa in Adriatico e nello Ionio, mentre sulle coste occidentali è stata rinvenuta in Sardegna, Liguria e Toscana e solo recentemente è stata osservata anche nel Lazio e in Campania (Tiralongo et al., 2021). Il motivo per cui questa diffusione è diventata un enorme e sproporzionato allarme è come al solito riconducibile a interessi esclusivamente finaziari: i granchi stanno “pappandosi” i mitili (come le vongole) intensivi della laguna in Veneto creando la crisi di quella determinata “produzione”.

Ci sarebbe invece da riflettere sull’ennesimo caso di ecosistemi sfruttati da allevamenti intensivi (nel caso di specie, vongole e anguille) che sono facilmente attaccabili quando arriva un predatore che trova “mangiare” facile in enorme quantità

Dovremmo ripensare il concetto di allevamento intensivo, sia animale che vegetale, perché l’esempio del grancio blu è un chiaro segnale che il modello è fallimentare.

La soluzione non è portarlo in tavola (vedi l’esempio dei cinghiali sloveni)

Una riflessione: quindi ora vorremmo sterminare il granchio blu, perchè distrugge l’habitat del mare (!?), usando la… forchetta? E quindi via di linguine, sughi e portate varie che “esplodono” ovunque sui social e sui mass media?

Personalmente non sono convinto che la commercializzazione spinta di questa specie sia una soluzione al problema: lo abbiamo già visto con i cinghiali sloveni importanti per essere cacciati in Italia negli anni 70/80 dalle associazioni di cacciatori e ovviamente diventati stabili con tutti i danni fatti alla biodiversità italiana (essendo molto più grandi e aggressivi dei nostri cinghiali).

Dove si crea un mercato si crea un business e gente interessata non a contenere una specie ma ad aumentarla, perché genera profitto. Questa “soluzione” non diminuirà il numero di granchi, al contrario col tempo diventerà un problema in più da gestire.

La vera specie invasiva e distruttiva? L’uomo

Sentire parlare di accuse di specie “invasive” da parte dell’Homo Sapiens nei confronti di altri animali o piante, mi fa sorridere… voglio dire, siamo noi quella specie che sta svuotando i mari con le sue reti da pesca chilometriche, che sta saturando gli oceani di plastica, che sta inquinando l’atmosfera con CO2 fino a cambiare il clima e acidificare gli oceani…

Insomma, temo che la vera specie invasiva per il pianeta non sia il granchio blu. E chi annienterà, seguendo questo ragionamento, l’Homo Sapiens?

PS: secondo me, Gea ci sta “pensando” da un po’…

Roberto Braibanti

Tra i maggiori ambientalisti italiani, esperto di riforestazione urbana e suburbana oltre ad essere uno dei più capaci e competenti comunicatori ambientali in circolazione, Roberto Braibanti è Manager della Biodiversità all'EIIS e il presidente di Gea - Ets.

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