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Come pagare i giornalisti se nessuno legge i giornali?

Un terzo dei lettori ha smesso di leggere in 8 anni i giornali locali. Una crisi che non fa che alimentare la crisi stessa, con una sempre crescente precarizzazione a scapito di una qualità dell'informazione necessaria per risollevare la china. È necessario guardare in faccia alla realtà: il mondo sta cambiando e il cambiamento va governato, non subito.

In queste ore DataMediaHub ha pubblicato i dati relativi alla readership dei quotidiani locali italiani partendo dalla base di rilevazioni Audipress. L’analisi che ne emerge è – purtroppo – impietosa: dal 2014 ad oggi i quotidiani locali hanno perso mediamente un terzo dei lettori. Il 3% di questo 33% circa è stato perso solo nell’ultimo anno.

L’indicatore dei quotidiani locali è di fatto emblematico perché – per molti versi – è un’economia più “pura” rispetto a quella dei big italiani del settore, contaminati da altri indotti in cerca di una salvezza difficile ma non impossibile da raggiungere. Il quotidiano locale, quello che racconta la notizia del territorio che i generalisti non hanno, vive della comunità, della città e del desiderio di informarsi del cittadino su ciò che ha direttamente intorno. Questi cittadini erano – stando alla puntuale sintesi di DataMediaHub – 12 milioni 8 anni fa. Che, comunque, è un calo inferiore di quello del 41% dei nazionali.

La perdita di un terzo e oltre della clientela per qualsiasi tipologia di attività sarebbe un dramma in termini di cassa. Vale lo stesso per l’editoria: anche se va specificato che non vi è corrispondenza tra chi legge e chi paga nei dati sopra citati, un terzo della “clientela” in meno può voler dire fino a una cifra in meno sui conti di fine mese per le realtà locali.

Il circolo vizioso

L’editoria italiana, in senso lato, il mercato lo ha spesso vissuto in maniera viziata, fondamentalmente dall’iniezione di fondi su fondi per permettere ai giornali di garantire l’informazione necessara in un Paese democratico. Fondi pubblici con tutto ciò che ne comporta, ivi inclusa querelle sulle assegnazioni, percentuali premiali etc.etc.

Nelle criticità evidenziate dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto di RSF sulla libertà di stampa (da cui l’Italia ne è uscita di nuovo con le ossa rotte peggiorando la sua posizione globale e arrivando al 58mo posto), la crisi economica dei giornali comporta la precarizzazione dei giornalisti, e questo mina la credibilità e l’indipendenza dell’intero settore.

“A causa della crisi economica, i media nel loro insieme sono sempre più dipendenti dagli introiti pubblicitari e da eventuali sussidi statali, mentre anche la carta stampata sta affrontando un graduale calo delle vendite. Il risultato è una precarietà crescente che mina pericolosamente il giornalismo, la sua energia e autonomia”.

RSF

Viene quindi da chiedersi come può il giornalismo in crisi risollevarsi se quelli che leggono le notizie diminuiscono di anno in anno?

Fatta eccezione per le tv nazionali – e nemmeno – esiste un problema quindi serio, serissimo che riguarda l’informazione in Italia. Una crescente precarizzazione – legata a modelli economici insufficienti a cui il calo dei lettori fa da cornice – mina alla base le possibilità di risalire la china, e meno il prodotto sarà qualitativamente importante meno possibilità ci sono di fidelizzare un cliente che già di per sé è culturalmente portato a ritenere di non dover spendere soldi per informarsi. Nemmeno, e questo ci dicono i dati di cui sopra, su quello che ha direttamente intorno.

La deriva del giornalismo in Italia

Precarizzazione e instabilità, l’impossibilità di dedicarsi esclusivamente all’attività per la maggior parte degli appartenenti alla categoria professionale (in Italia esiste un Ordine, quello dei giornalisti, che sembra in tremendo affanno su sé stesso nell’adeguarsi con una corposa riforma ai tempi che corrono) e l’impossibilità di arginare il fenomeno del web spazzatura che copincolla ore di lavoro dei colleghi per restituirle ai più curiosi senza lo sforzo giornalistico di base (fenomeno che anche a livello istituzionale sembra inarrestabile con poche competenze di settore messe a sistema per arginarlo): in pratica una buona, buonissima parte del giornalismo italiano rappresenta un sistema insostenibile economicamente e lavorativamente parlando, lasciando de facto la possibilità di fare informazione (reale) a pochi.

Una crisi in cui chi oggi si sobbarca l’onere dell’impresa giornalistica di fatto è chi può inserirlo in un’economia più ampia. Quindi, le aziende che ritengono utile dotarsi di un organo di informazione interno. Nulla di più e nulla di meno del giornale di partito, quindi, ma a uso dei privati.

Una nuova etica e una rivoluzione improcrastinabile

Questo vuol dire che in futuro avremo sempre più “organi” d’informazione, sempre più SEO-Oriented, sempre meno orientati al giornalismo di strada e di inchiesta e sempre più a rischio passaveline. È per questo che è necessario da parte degli Organi e le parti sociali di categoria iniziare ad affrontare la realtà di un panorama in crisi per poter governare il cambiamento e non subirlo come accade adesso.

Subirlo vuol dire che ognuno, potenzialmente, può ergersi a sito d’informazione e infilare all’interno delle sue pagine, scritte male e senza firma (quindi senza apparente responsabilità) consulenze finanziarie o legali. E spesso con il numero di registrazione al Tribunale della testata poco sotto.

Subirlo vuol dire che non vi è controllo perché non si sa cosa vada controllato da parte di chi è preposto: dai plagi al rispetto delle norme deontologiche in essere.

Subirlo vuol dire che la parete tra informazione è marketing è stata già sfondata da tempo e nessuno se ne è accorto perché guardava altro, convinti che i problemi fossero altri.

Senza questo cambio di rotta da parte degli Enti e Organi preposti (che in Italia abbiamo la fortuna di avere) la situazione non potrà che peggiorare. Una nuova etica, un controllo reale (ossia al passo coi tempi) permetteranno di gestire la transizione reale che sta vivendo l’Italia.

Il rischio, altrimenti, è che tra 8 anni DataMediaHub starà analizzando nuovi indicatori per restituirci la salute della categoria e invece i giornalisti rimasti – pochi – staranno ancora parlando del calo delle vendite dei cartacei.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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