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Riottenere l’udito con la luce. La ricerca sul nuovo orecchio bionico

"Le nostre simulazioni al computer ci dicono che 'ascoltare la luce' dovrebbe permettere di recuperare un udito molto più simile a quello fisiologico: il prossimo passo sarà verificarlo sperimentalmente"

La sordità colpisce un italiano su sette e, nel mondo, quasi un milione di persone che ha perso l’udito (del tutto o in parte) utilizza un impianto cocleare, le così dette “protesi” per poter sentire bene e condurre una vita sociale normale e appagante.

Non poter sentire o non riuscire a farlo con precisione, infatti, rende le persone che soffrono di ipoacusia neurosensoriale (il nome scientifico della carenza di udito) più vulnerabili ed esposte al rischio di isolamento: l’orecchio interno o il nervo acustico riducono la percezione di alcune frequenze e fanno sì che i suoni appaiano distorti o “intraducibili” per il cervello.

Ma la ricerca scientifica è andata avanti ed ha appena sviluppato una molecola che potrebbe ridare l’udito attraverso l’utilizzo della luce.

L’udito… con la luce

La ricerca che potrebbe dare nuove frontiere e soluzioni ai problemi di udito è stata svolta da un team internazionale e pubblicata sul Journal of the American Chemical Society: la molecola è stata sintetizzata da un ricercatore italiano oggi in forze all’Università Statale di Milano.

Si tratta della prima molecola al mondo che promette di attivare i neuroni uditivi attraverso una strategia fotofarmacologica: svolta con test in vitro e in vivo, la ricerca segna un passo avanti verso una nuova generazione di impianti cocleari attivabili con la luce, una sorta di orecchio bionico che potrebbe superare i limiti dei dispositivi elettrici più comunemente in uso.

Ma per capire meglio è utile sapere come funziona un impianto cocleare: si tratta di un dispositivo impiantato chirurgicamente per ripristinare la percezione del suono in persone affette da perdita dell’udito profonda o da sordità. I microfoni all’esterno del dispositivo convertono il suono in segnali elettrici che poi stimolano direttamente il nervo uditivo nella coclea, la struttura dell’orecchio interno che trasforma i suoni in messaggi nervosi e li invia al cervello il quale, a sua volta, ne codifica la percezione.

Sebbene gli impianti cocleari abbiano avuto grande successo nel permettere un recupero della comprensione del parlato in situazioni di silenzio, la loro risoluzione spettrale, ovvero la loro capacità di distinguere onde sonore con frequenze diverse, è limitata e non consente di apprezzare la musica o di seguire conversazioni in presenza di rumore.

Da qui la portata della scoperta della molecola TCPfast per l’udito: attivata dalla luce blu e “in grado di legarsi a un recettore neuronale e di funzionare come una protesi molecolare che trasforma i normali neuroni uditivi in neuroni in grado di attivarsi con la luce”, sintetizza Carlo Matera, chimico farmaceutico dell’Institute for Bioengineering of Catalonia (Ibec), in Spagna, che ha sintetizzato TCPfast e che dal 2020 è ricercatore al Dipartimento di Scienze farmaceutiche della Statale meneghina.

Al centro dello studio coordinato da Pau Gorostiza, capo del gruppo di ricerca Nanoprobes & Nanoswitches dell’Ibec, e da Tobias Moser, direttore dell’Institute for Auditory Neuroscience dello University Medical Center di Göttingen, in Germania, c’è dunque “un agente farmacologico controllabile con la luce e in grado fotoattivare i neuroni uditivi di mammifero”, lo definiscono gli autori.

Il TCPfast è stato messo a punto e utilizzato per la prima volta dagli scienziati dell’Ibec in collaborazione con lo University Medical Center di Göttingen, il Consorcio Centro de Investigación Biomédica en Red de Bioingeniería Biomateriales y Nanomedicina (Ciber-Bbn) spagnolo e, sempre in Spagna, l’Institute for Advanced Chemistry of Catalonia del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (Csic).

I nuovi impianti cocleari con la luce blu, spiegano dall’Università, sono in grado di convertire i suoni in stimoli luminosi che a loro volta vengono trasmessi all’orecchio interno.

Il gruppo di Moser, con cui abbiamo collaborato per questo progetto – riferisce Gorostiza – ha fatto da apripista alla ricerca in questo campo mediante una tecnica nota come optogenetica, che ha permesso di ripristinare l’udito in animali di laboratorio attraverso una modificazione genetica dei neuroni cocleari, rendendoli capaci di trasformare gli stimoli luminosi ricevuti dall’impianto cocleare in un potenziale d’azione che viene trasmesso al cervello e percepito come suono”.

Ma “al fine di evitare la manipolazione genetica, in questo nuovo progetto – rimarca Matera – abbiamo invece sviluppato un metodo alternativo per accoppiare la luce all’attività elettrica dei neuroni Abbiamo così ideato TCPfast”.

“Dopo aver testato gli effetti della nostra molecola in vitro su neuroni ippocampali – racconta Aida Garrido-Charles, ricercatrice Ibec – abbiamo condotto esperimenti in vivo su gerbilli, dei piccoli roditori. Questi esperimenti ci hanno permesso di verificare che, quando TCPfast viene colpito da luce blu, è in grado di indurre un segnale nei neuroni della coclea. Si tratta della prima volta in cui un risultato del genere viene ottenuto adottando una strategia farmacologica e non genetica”.

L’obiettivo futuro degli scienziati è “migliorare le caratteristiche di TCPfast e studiare più a fondo l’effettiva capacità di molecole di questo tipo di ripristinare l’udito“. “Le nostre simulazioni al computer ci dicono che ‘ascoltare la luce’ dovrebbe permettere di recuperare un udito molto più simile a quello fisiologico: il prossimo passo sarà verificarlo sperimentalmente“, conclude Antoine Huet, ricercatore dello University Medical Center di Göttingen.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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