Interviste

Axel Fox, la game designer autodidatta indipendente: “La mia benzina? La rabbia”

È napoletana l'autrice del primo videogame basato sulla psicanalisi: Freud's Bones. "Sapevo di avere potenziale, quindi da sola ho nutrito questo sogno impossibile".

Se è vero che Napoli è una città di piccoli supereroi che provano a farcela nonostante tutto, ci piace pensare a Fortuna come una di loro: di giorno è Fortuna Imperatore, che per mantenersi agli studi di psicologia lavorava in una ditta di pulizie che si occupa di ospedali, ma quando cala la notte diventa Axel Fox, eroica game designer e creatrice di videogiochi indie-indipendente e completamente autonoma e autodidatta.

La sua storia del resto parla per lei: nel 2018 creare videogiochi era ancora un sogno embrionale nella sua vita che andava in tutt’altra direzione. Si studia di notte, alla meglio, con qualche tutorial e tanto, tanto smanettare. Nascono così i primi prototipi, poi un’idea: quella di un videogioco incentrato sulla psicoanalisi, facendo confluire le nozioni accademiche con la passione personale in un unico progetto che prenderà il nome di Freud’s Bones.

A sinistra Fortuna Imperatore aka Axel Fox, a destra il suo Freud protagonista di Freud's Bones
A sinistra Fortuna Imperatore aka Axel Fox, a destra il suo Freud protagonista di Freud’s Bones

Sigmund Freud è il pretesto per creare un universo videoludico incentrato sulla frammentazione dell’io. L’idea è affascinante, tosta, sicuramente innovativa: Axel Fox ne é consapevole ma non si perde d’animo. Lancia quindi un crowdfunding su Kickstarter per finanziarla fissando l’asticella a 5.000 euro.

Quel tetto è stato letteralmente infranto, arrivando a triplicare i fondi raccolti rispetto a quelli stabiliti. Il progetto di Axel Fox piace e convince e il 25 maggio 2022 con il suo rilascio è destinato a essere il primo videogioco in assoluto incentrato sulla psicanalisi.

Axel Fox, quando nasce la passione per lo sviluppo di videogame e come ha “imparato il mestiere”?
“Ho imparato tutto da autodidatta quindi perdendomi nelle scatole cinesi di Internet. Imparare il game design da soli è veramente complesso perchè è una branca relativamente nuova del sapere e abbraccia tante discipline: dalla narrativa alla produzione, dalla filosofia all’architettura. Ho iniziato nel 2018 a maturare il desiderio di creare un videogioco e ho cominciato a creare piccoli prototipi da sola, molto artigianali. A un certo punto ho deciso di fondere due passioni, ossia la psicoanalisi e il gaming e quindi ho iniziato a scrivere Freud’s Bones – the game“.

Che tipo di gioco è “Freud’s Bones” e qual è la componente innovativa dello stesso?
“Freud’s Bones è un’avventura narrativa basata sul valore delle scelte del giocatore che, nei panni del demone interiore, dovrà scoprire le ragioni della crisi esistenziale del dottor Freud. All’interno del gioco si affrontano sedute terapeutiche, analisi delle storie e dei sintomi dei pazienti e, parallelamente si seguono le vicende della vita privata di Freud che, angosciato e frustrato, deve tenere alta la sua fama e trovare sovvenzioni per le sue opere. Il gioco è il primo al mondo sulla psicoanalisi, questo è il suo punto di forza al di là della cura nella ricostruzione storica mescolata con elementi romanzati“.

Come è nata l’idea di Freud’s Bones e quanto tempo le ci è voluto per metterlo in piedi?
“Nel 2018 ho pensato di crearlo, ho iniziato a svilupparlo alla fine del 2019. Dunque due anni e mezzo di sviluppo complessivo”.

I numeri che ha raggiunto su Kickstarter dimostrano che la gente ha creduto fortemente nel progetto. Si aspettava tutta questa attenzione?
“No. Mi aspettavo al massimo di raggiungere un goal di 5.000 euro, ma la notizia è rimbalzata su testate nazionali come Repubblica e La Stampa, generando clamore”.

Racconta di aver sviluppato il gioco di notte, mentre di giorno lavorava come addetta alle pulizie in ospedale. Immagino ci voglia una grande determinazione e una buona dose di caffé…
“(ride, ndr) In realtà di caffé ne bevo pochissimo! La mia benzina è stata la rabbia per la condizione che vivevo: mi pagavo gli studi lavorando al Policlinico di Napoli in una azienda di pulizie e ovviamente non avevo alcuno stimolo culturale. La rabbia e la sensazione di avere potenziale mi hanno fatto divorare il tempo, quindi da sola mi sono fatta conoscere e ho nutrito questo sogno impossibile“.

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Lo studio del dottor Freud nel videogioco

Cosa vuol dire essere una sviluppatore indipendente in un contesto lavorativo e professionale come quello napoletano?
“A Napoli semplicemente sviluppare un gioco significa costruire una astronave. Non esiste nulla che possa davvero aiutarti, è un settore che non esiste. Ma io conosco già i limiti della mia città quindi non ho nemmeno pensato di poter trovare aiuti o finanziamenti, dunque ho investito su me stessa”.

Nascere e crescere a Napoli rende più o meno facile imporsi in questo settore? O, semplicemente, conta poco o nulla?
“Nascere a Napoli per me ha rappresentato una fortuna e una condanna. La fortuna consiste nel fatto di imparare velocemente ad essere disillusa, quindi ho capito di dover fare sempre tutto da sola inventando soluzioni. Ripeto, qui non esiste nemmeno l’argomento videoludico rispetto a realtà come Milano e Roma”.

Si sente di parlare della sua storia e di Freud’s Bones come una storia di riscatto?
Si, perchè in fondo lo è. Dar vita ad un’opera in un contesto arido e vuoto è miracoloso in sé. Le persone hanno bisogno di sapere che c’è qualcuno che con follia insiste finchè non riesce e io ho seguito l’urgenza di rivoluzionare il mio ambiente perchè ero affamata di stimoli e idee”.

Torniamo al gioco: cosa dobbiamo aspettarci?
“Un gioco alla portata di molti, che richiede impegno e attenzione ma ripaga con un’esperienza anomala e identitaria. L’intera storia è personalizzabile e parla di frammentazione dell’Io, di crisi, di gestione di impulsi, sessualità e tanto altro”.

I videogiocatori hanno accolto con grande entusiasmo l’annuncio del ritorno dell’avventura grafica per eccellenza, Monkey Island. Possiamo dire che la creatività e la genialità sono il vero contraltare di un mondo di produzioni da kolossal e quasi cinematografiche?
“La creatività ha comunque bisogno di finanziamenti per esprimersi. Monkey Island è un cult, che ad oggi rappresenta una comfort zone per i giocatori degli anni ’90, ma ovviamente se fosse nato oggi non avrebbe avuto questa accoglienza, perchè il mercato è diverso“.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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