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Batteri per produrre nuovi biomateriali dai rifiuti: da Napoli parte la rivoluzione

“In pratica possiamo istruire i batteri a produrre qualcosa di buono per noi. Pensiamo alla natura, ad un seme che dà vita ad un albero – prosegue il professor Netti – e ora pensiamo ad un altro seme che fa crescere direttamente una sedia o un tavolo. Ecco cosa potrebbe accadere”. 

Il mondo della ricerca e dell’Università già da tempo si sta concentrando sui nuovi materiali e biomateriali: una novità arriva da Napoli, dove università, laboratori di ricerca e start-up già impegnate in questo settore potrebbero rinnovare completamente il mercato in alcune produzioni specifiche, partendo dalle “biofonderie” che riutilizzano materiali di scarto.

La nuova applicazione dei biomateriali sul mercato è data dai batteri: ma come è possibile tutto ciò?

“Si tratta di una nuova concezione della produzione industriale, dove gli operai specializzati non sono umani ma entità biologiche, praticamente batteri ed enzimi, che possono elaborare oggetti” spiega il professor Paolo Netti, Direttore dell’IIT@CRIB (Centro di ricerca per Biomateriali Avanzati) e docente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

“In pratica possiamo istruire i batteri a produrre qualcosa di buono per noi. Pensiamo alla natura, ad un seme che dà vita ad un albero – prosegue il professor Netti – e ora pensiamo ad un altro seme che fa crescere direttamente una sedia o un tavolo. Ecco cosa potrebbe accadere”

La sperimentazione sui biomateriali

In tal senso, in merito alla sperimentazione sui biomateriali, Napoli rappresenta un’eccellenza nel panorama mondiale:

La Federico II è all’avanguardia nella ricerca in Biologia e Biotecnologia, ma anche Scienze e Materiali nei Processi prodotti, intelligenza artificiale. Inoltre, rispetto ad altri contesti, a Napoli esiste una tradizione sulla ricerca dei batteri che vivono in situazioni estreme, come ad esempio la Solfatara. Dunque – aggiunge Paolo Netti – a Napoli si può già produrre partendo dall’inizio con un processo sostenibile. Partendo dalla selezione del batterio e da progetti spin-off, aziende napoletane già utilizzano batteri che depositano cellulosa e sono un esempio di ciò che potrebbe avvenire”. 

Ma come nasce la sperimentazione?

“Il nostro laboratorio – conferma Marco Abbro, responsabile del laboratorio di ricerca BIOlogic – sfida lo stereotipo del territorio campano perché generiamo materiali da sostanze di scarto, dai rifiuti. Produciamo una materia prima, un biofilm che – trattato con metodi completamente sostenibili senza polimeri plastici e prodotti chimici – ha caratteristiche simili alla pelle animale utilizzata nelle imprese tessili; con altri trattamenti, sempre naturali, il materiale umido è applicabile alla cosmetica per produrre maschere facciali o gel che sostituiscono le microplastiche.

Materiali totalmente biologici e compostabili, nati in laboratorio, con costi bassi, lavorando sugli scarti grazie a microorganismi che non sono patogeni, simili al lievito. Il nostro laboratorio si avvale di una partnership fondamentale con il Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Biomateriali dell’Università e Federico II e di diverse collaborazioni con istituti Cnr, e si è sviluppato a partire da progetti di ricerca finanziati da ministero per lo Sviluppo economico, università e Regione Campania, alcuni ancora in corso”.

“Quei materiali – precisa Alma Sardo – vengono generati dagli scarti biologici di frutta e verdura, e aiutano a ridurre anche gli sprechi alimentari. I rifiuti vengono, così, trasformati in biofilm”. 

Ricerca, competenze e tecnologie specialistiche nel campo dei biomateriali le ha già messe in atto la TecUp, start-up campana che porta la sua esperienza “a disposizione del tessuto imprenditoriale, università e laboratori di ricerca” come precisa il presidente Filippo Ammirati:

“Con Tec-Up lavoriamo in tre aree di interventi. Sui materiali innovativi, quelli a bassa impronta ecologica e prodotti da processi di recupero e riciclo delle lavorazioni. Nell’applicazione della messa a punto di processi sostenibili nel settore alimentare. E ancora nella produzione con nuove tecnologie di manifattura 3D e digital manufacturing.

Siamo impegnati nella produzione di nuovi materiali, in particolare una nano cellulosa prodotta da batteri pensata per il settore tessile, moda e pelletteria, che sta dando buoni risultati per la sostituzione di fibre originali, ma utile anche per la produzione di oggettistica. Un materiale che offre grandi prospettive anche nel settore della cosmetica, per eliminare le microplastiche contenute nelle strutture di pomate e creme, con eventuali applicazioni anche all’industria farmaceutica”.

Roberto Malfatti

Roberto Malfatti, nato nell'anno in cui Bearzot insegnava al mondo a giocare a calcio con la sua Italia campione del Mondo. Sociologo, comunicatore, papà di Irene e chitarrista all'occorrenza. Esperto in tematiche ambientali con il vizietto di ascoltare sano rock.

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