Interviste

Kkr e l’offerta su rete Tim: “In ballo non solo questione economica, ma interessi più importanti”

"La nazionalità di un fondo non rende bene l’idea degli interessi in gioco che trascendono i singoli confini nazionali”.  

L’interesse del fondo Kkr su Tim ha riacceso i fari sulla compagnia telefonica italiana e già si profilano schieramenti pro e contro una eventuale acquisizione della Telecom da parte del gruppo americano. Per analizzare la vicenda con una prospettiva più ampia, abbiamo sentito il professore di Geografia della comunicazione dell’Università di Bologna, Emanuele Frixa.

Perché fa tanto clamore l’interesse di Kkr su Tim?

“Il clamore è dovuto a un’anomalia italiana che i fatti degli ultimi giorni stanno riportando alla ribalta: la non separazione nel nostro Paese tra rete e servizi. La Tim possiede l’infrastruttura ed è anche un operatore, inoltre il suo valore azionario è relativamente basso. Questo porta i fondi, non solo Kkr, a guardare alla Telecom con interesse. In ballo però non c’è solo una mera questione economica, ma qualcosa di più importante: chi controlla la rete, controlla anche i dati”.

Quindi dobbiamo spaventarci se dei fondi esteri si interessano a Tim?

“In verità le analisi di questo tipo sono parziali. Si parla di Kkr come di un fondo americano, di Vivendi (già azionista di Tim ndr) si scrive sempre che è un’azienda francese e così via. In realtà gli interessi sono molto più intrecciati e i capitali internazionali. Per certi versi si possono riscontrare analogie “storiche” con uno scenario simile a quando è stata realizzata la prima rete infrastrutturale e comunicativa globale, quella del telegrafo, a cavallo tra ‘800 e ‘900. Era il periodo dei grandi imperi, spesso in contrasto tra loro. Mentre questo avveniva sul piano politico, sul piano economico c’era già una collaborazione internazionale di capitali per posare i cavi oceanici del telegrafo. Quindi a leggere la vicenda con occhi “nazionali” rischiamo di avere un quadro riduttivo rispetto a una situazione più complessa”.

Resta però il problema che la rete è un asset strategico e sapere che è in mano a stranieri non tranquillizza.

“La proprietà della rete e il suo controllo possono essere due cose diverse. Chiunque possieda la Tim e la sua rete, che il capitale sia italiano o estero, non cambia molto. Resta comunque necessario che le autorità competenti controllino l’uso dell’infrastruttura. A maggior ragione perché Tim gestisce anche la comunicazione della Pubblica Amministrazione”.

Nel resto d’Europa è già capitato che una rete come quella di Tim venisse acquistata da compagnie estere?

“Ribadisco che la questione va al di là dell’appartenenza territoriale dei singoli Stati. È da quando esiste il sitema-mondo che i capitali non sono più nazionali o territoriali. Basta sfogliare il portfolio dei fondi esteri interessati a Tim. La Kkr, per esempio, ha acquistato parte di una società di telecomunicazione in Spagna e in Inghilterra ha investito in un’azienda che si occupa di fibra ottica. Torniamo a quello che dicevamo in precedenza: la nazionalità di un fondo non rende bene l’idea degli interessi in gioco che trascendono i singoli confini nazionali”.  

Romolo Napolitano

Giornalista professionista dal 2011 è stato, non ancora trentenne, caporedattore dell’agenzia di informazione videogiornalistica Sicomunicazione. Ha lavorato 3 anni negli Stati Uniti in MSC. Al suo ritorno in Italia si è occupato principalmente di uffici stampa e comunicazione d'impresa. Attualmente è giornalista, copywriter e videomaker freelance. Si occupa, tra le altre cose, di tecnologie, nautica e sociale.

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