Interviste

Saper comunicare la scienza e la salute: un master per formare nuove figure

Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è che comunicare la scienza, soprattutto a un pubblico generalista, non è cosa agevole. L’improvvisazione e i dibattiti polemici tra gli esperti, a cui abbiamo assistito in questi mesi, hanno gettato discredito sulla scienza e soprattutto creato confusione tra la popolazione, quanto mai bisognosa di informazioni chiare di fronte al Coronavirus.

L’Università Vita-Salute San Raffaele ha così lanciato un master in Comunicazione della scienza e della salute: 250 ore di lezione, in presenza e da remoto, per formare figure capaci di comunicare, anche a un pubblico di non addetti ai lavori, concetti scientifici e regole di comportamento chiari. Ne parliamo con Claudia Bianchi, professoressa ordinaria di Filosofia del linguaggio e responsabile del master.

A chi è rivolto questo master?

“Il master è pensato per tre figure differenti: i neo laureati, i ricercatori e i comunicatori. In questa ottica sono state pensate sia lezioni, che si terranno il venerdì e il sabato, sia i tirocini che vedranno impegnati gli studenti in realtà diverse, in base al loro background e alla carriera che vogliono intraprendere”.

Come si comunica la scienza?

“Con la pandemia abbiamo capito che la questione scientifica è solo una parte della lotta al virus. Un’altra parte consiste nel saper comunicare i giusti comportamenti da tenere e i motivi alla base di queste regole. Ma a un pubblico generalista non si può parlare con lo stesso linguaggio con cui si comunica tra ricercatori. Devi essere autorevole, certo, ma non autoritario. Inoltre c’è stata molta polarizzazione del dibattito, con esperti su posizioni opposte. In un congresso scientifico è normale che ci siano tesi divergenti, ma per un pubblico di non esperti tutto ciò è destabilizzante”.

Quali sono gli errori da evitare?

Bisogna concentrarsi sui contenuti e sul trasferimento dei contenuti. In questa pandemia c’è stato troppo protagonismo dei ricercatori. Gli stessi vaccini sono diventati un tema di contrapposizione ideologica e anche la politica si è innestata nel dibattito, in modo poco responsabile”.

Durante la pandemia abbiamo ricevuto informazioni spesso contrastanti. Ci vorrebbe un codice deontologico per evitare situazioni di confusione?

“Il codice deontologico c’è già e credo sia stato rispettato. Il problema è che i ricercatori sono abituati a parlare tra di loro e non formati a comunicare a un pubblico che è a digiuno di scienza. In questi casi bisogna mettere tra parentesi le perplessità e le divergenze e focalizzarsi sulla comunicazione dei comportamenti corretti che la popolazione deve tenere”.

Il fenomeno dei no-vax è dovuto alla cattiva comunicazione scientifica che c’è stata?

Tutti abbiamo conoscenti dubbiosi sui vaccini o che hanno timori. In realtà ogni giorno noi facciamo delle attività che comportano un minimo di rischio: dal prendere l’auto a ricorrere a un qualsiasi farmaco. La nostra vita è un continuo calibrare costi-benefici. Ora, questo tipo di ragionamento è di buon senso ma va fatto ai no-vax, inquadrandoli non come nemici, ma come persone a cui dobbiamo spiegare come la bilancia costi-benefici sia decisamente a favore della vaccinazione. Non li convinceremo tutti, ma credo che una larga fetta sia semplicemente spaventata e abbia necessità di una comunicazione corretta e mirata”.

Come si combattono le fake news in campo scientifico?

“È un discorso amplissimo, ma in una parola direi con il dubbio. Esistono delle bolle epistemiche, gruppi che nascono “contro”, in cui non importa il contenuto ma dove ti posizioni. Sono gruppi chiusi dove non c’è dibattito, ma continua conferma delle proprie credenze che, ahimè, sono sbagliate. Bisognerebbe riuscire a instillare in questi gruppi una riflessione critica, seminando dubbi su quelli che loro ritengono verità assolute.

È un lavoro lungo e difficile. Contemporaneamente bisognerà educare a riconoscere il linguaggio delle fake news e soprattutto, e questo è un altro lavoro di lungo periodo ma necessario, far riacquistare fiducia alle persone nelle competenze e negli esperti. E qui la corretta comunicazione sarà quanto mai necessaria”.

Romolo Napolitano

Giornalista professionista dal 2011 è stato, non ancora trentenne, caporedattore dell’agenzia di informazione videogiornalistica Sicomunicazione. Ha lavorato 3 anni negli Stati Uniti in MSC. Al suo ritorno in Italia si è occupato principalmente di uffici stampa e comunicazione d'impresa. Attualmente è giornalista, copywriter e videomaker freelance. Si occupa, tra le altre cose, di tecnologie, nautica e sociale.

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