Editoriale

Patrimoniale, l’Italia ne ha veramente bisogno? Forse no, ecco perché

Una delle parole che sembra tornare di moda quando si parla di riduzione del debito è Patrimoniale. Ma ne abbiamo veramente bisogno?

In Italia si torna a parlare di Patrimoniale. Complice Mario Draghi, “portatore sano” della parola austerity. Lo ricordano in molti quando, qualche anno fa, con un tono severo annunciava i provvedimenti che avrebbe dovuto mettere in campo la Grecia per venir fuori dalla crisi del debito pubblico. Ripensando a quegli anni, il termine che è rimasto nella nostra memoria è proprio austerity insieme ai volti di un popolo devastato da quei tagli. Ormai è trascorso un po’ di tempo e qualche giorno fa la Grecia ha emesso un bond trentennale con un tasso inferiore al 2%. Il peggio è dietro le spalle ma le cicatrici sono rimaste e non vanno dimenticate.

Il quadro economico dell’Italia di oggi

Qualche giorno fa Draghi ha detto che in questo momento i soldi non si devono chiedere ma si devono dare. Un pensiero calato sull’oggi, ma pensando al domani cosa accade? Il nostro debito pubblico ha superato i 2500 miliardi di euro e, complice la crisi provocata dalla pandemia, non sembra fermarsi. Dall’altro lato il Pil non dovrebbe superare i 1700 mld di euro. Sono numeri preoccupanti e lontanissimi da quelli fissati dal patto di stabilità che è sospeso fino al 2022. Ecco allora le prime ipotesi di recupero di entrate che cominciano a girare.

Una premessa è necessaria: ogni previsione in questo momento rischia di essere sbagliata perché c’è in gioco una nuova variabile che si chiama Recovery Plan, che vale 208 mld. Un importo da spendere che mai in Italia abbiamo avuto dal Dopoguerra ad oggi. Questa cifra vale oltre il 10% del nostro PIL ed è evidente che, se impiegati bene, questi fondi (che in grossa parte andranno restituiti) possono determinare un tale rilancio della nostra economia che il lavoro di rientro del debito potrebbe essere più semplice. Ovviamente vale il ragionamento al contrario per cui qualora questi fondi dovessero essere spesi in maniera “poco utile” si rischierebbe di entrare in una crisi economica da cui sarà davvero difficile uscire.

Il gran ritorno della Patrimoniale

Detto questo, una delle parole che torna di moda quando si parla di riduzione del debito è Patrimoniale. In altre parole, una tassa da applicare una tantum sui patrimoni. Questa imposta fu applicata dal governo Amato il 10 luglio del 1992 con un prelievo forzoso del 6 per mille sui saldi di conto corrente. La manovra fruttò circa 8.000 mld di lire ma non salvò la nostra moneta da una pesante svalutazione e dall’uscita dallo SME, a dimostrazione che potrebbe non essere un intervento utile. Purtroppo anche allora l’idea di cominciare a tagliare i costi della pubblica amministrazione non venne a nessuno. Mario Monti, per fronteggiare la crisi del debito del 2011 inventò una “patrimoniale travestita” chiamandola imposta di bollo sui titoli detenuti in portafoglio nella misura dello 0,2%.

Qualche mese fa Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, ha ipotizzato una nuova patrimoniale. Personalmente non credo che questa sia la soluzione in un Paese che ha già la pressione fiscale tra le più alte d’Europa. Imposte patrimoniali provocherebbero una fuga di capitali all’estero (in maniera totalmente legale) con un conseguente impoverimento della nostra nazione. Analoghi provvedimenti in passato, ad esempio la tassa sulle imbarcazioni, hanno avuto lo stesso effetto. Lo stesso accade per le imposte sulle società che ormai scelgono la nazione più conveniente dove mettere la propria sede legale nel rispetto delle norme vigenti.

Soluzioni alternative alla Patrimoniale

Detto così sembrerebbe non esserci soluzione mentre, ad uno sguardo più ampio, esistono rimedi che gradualmente possono aumentare le entrate fiscali senza pesare sull’attuale equilibrio economico. Il primo passo dovrebbe essere un adeguamento alle imposizioni fiscali comunitarie in modo che le aziende italiane continuino a mantenere le sedi in Italia e a pagare le imposte in Italia. Meglio prendere meno che prendere niente. Cominciare una seria lotta all’evasione con incrocio di dati. A marzo 2000 la polstrada ha trovato un signore che aveva ben 300 auto intestate. Gli è stata comminata una multa di 500 euro. Ovviamente le auto giravano usate da altre persone che spesso risultavano nullatenenti. Un incrocio dati reddituali con i dati del PRA non sembrerebbe una cosa tanto complicata. La lotta all’evasione è annunciata ogni anno ma forse è arrivato il momento di farla sul serio.

Si potrebbe intervenire anche sulle aliquote applicate agli interessi da titoli vari portandole, per i titoli di Stato, dal 12,5% al 15% e, per gli altri titoli, dal 26% al 28%. Intervenire sugli interessi è diverso dall’intervenire sul patrimonio.

Un’altra ipotesi molto interessante è stata fatta da Mark Dowding responsabile degli investimenti del gruppo BlueBay. Lui sostiene che il debito da pandemia detenuto dalle banche centrali (in particolare BCE) non dovrebbe essere incassato ma rinnovato con nuovo debito a tasso zero di durata lunghissima (100 o 1000 anni). Sarebbe una sorta di cancellazione e in questo modo non peserebbe sui bilanci degli Stati emittenti e non sarebbe un limite alla ripartenza post pandemia. Oggi potrebbe essere una misura fattibile perché tutti gli Stati, anche se in misura differente, hanno emesso debito per cui tutti avrebbero interesse ad una manovra del genere.

Comunque auguriamoci di uscire presto da questa pandemia e confidiamo che Draghi continui a mantenere lo sguardo meno austero usato in questi giorni.

Rosario Napolano

Laureato in Commercio Internazionale e Mercati valutari presso l’Università degli studi di Napoli "Parthenope", già dirigente Deutsche Bank, già componente della Commissione regionale ABI Campania, attualmente dirigente della Banca Patrimoni Sella.

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