Tecnologia

La guerra di Spotify: Joe Rogan vs il politically correct 

In questo scontro non c’è stato spazio e forse non ce ne sarà per ragionare davvero su come costruire un nuovo confine tra libertà di espressione e difesa della dignità di ogni persona sulle piattaforme digitali, un confine che dovrà tener conto anche dei grandi interessi economici che ci sono in ballo. 

I nuovi media, le piattaforme digitali e le moderne modalità con le quali le persone si rapportano alle notizie stanno demarcando un inedito confine tra la libertà di espressione, il rispetto della dignità di tutti e la realtà dei fatti. D’altronde, questo confine è sempre stato labile, inconsistente, distrutto e ricostruito in base ai cambiamenti culturali, demografici, economici e sociali dell’umanità. Le piattaforme digitali fanno emergere con maggiore chiarezza questo fenomeno di continuo aggiornamento del senso comune, in tutte le sue contraddizioni. E Spotify non è un’eccezione.

Il caso di Spotify e Joe Rogan

Il caso del podcastThe Joe Rogan experience” che, nelle ultime settimane, sta creando più di qualche grattacapo a Spotify, la piattaforma svedese che ha ridato ossigeno e soldi alla mercato discografico rendendo liquida la musica, è un esempio perfetto di queste dinamiche. 

Joe Rogan è un personaggio particolare, difficilmente incapsulabile in una delle, fin troppo rigide, configurazioni sociali e culturali dei nostri tempi. Il suo podcast è il più ascoltato di sempre su Spotify, con 190 milioni di download mensili è il più scaricato dei 3,2 milioni caricati sulla piattaforma svedese. Sono numeri da capogiro che non si erano mai visti prima. 

Ma allora qual è il problema? Rogan ed i suoi ospiti si sono espressi in maniera chiara e netta contro il vaccino e hanno dato spazio alle peggiori teorie del complotto. Nel suo programma spesso sono state usate espressioni considerate razziste o sessiste. La situazione è diventata così incontrollabile che il 26 gennaio 2022 Neil Young, uno dei maggiori esponenti della musica cantautoriale mondiale, ha cancellato tutti suoi brani da Spotify, accusando il gigante svedese di «fare soldi grazie alle bugie». 

Due giorni prima il cantante canadese aveva lanciato un avvertimento chiaro, dichiarando pubblicamente che la piattaforma della musica liquida avrebbe dovuto scegliere. «Spotify può avere Rogan o Young. Non entrambi» aveva detto con fermezza il rocker. Il grido e l’azione concreta di Young hanno avuto una eco immediata.

Poco dopo altre star della musica hanno abbandonato la piattaforma svedese, da Joni Mitchell, icona hippy degli anni ’60 a Nils Lofgren della E Street Band, lo storico gruppo di Bruce Springsteen. Altri personaggi famosi, pur non ritirando i loro contenuti, hanno chiesto a Spotify di intervenire. Harry e Meghan, la coppia reale britannica che ha fatto discutere il mondo intero, e che ha un contratto di esclusiva con Spotify, ha chiesto all’azienda svedese di vigilare sulla disinformazione, altrimenti avrebbero chiuso il rapporto con la piattaforma. 

Gli utenti, quelli che non digerisco Rogan, come era già accaduto con Facebook e Fox News, hanno lanciato una campagna, viva soprattutto sui social con l’hashtag #DeleteSpotify (cancella Spotify). Le proteste e gli abbandoni, sia minacciati che reali, hanno preoccupato, e non poco, Spotify.

Ma a far venire un forte mal di testa a Dinel Ek, fondatore di quella che oggi è la piattaforma di musica on demand più importante del mondo, non sono state certo le questioni etiche, morali o ideologiche ma quelle prettamente economiche e finanziarie. In pochi giorni, infatti, il titolo del gigante svedese ha perso il 6% in borsa. 

Ma chi è Joe Rogan e cosa fa su Spotify?

Joe Rogan, il nemico numero uno dei progressisti americani, dai quali viene percepito come la voce della destra trumpiana, anche se in realtà è un libertario con simpatie sinistroidi. Nel 2016 ha appoggiato la campagna per le primarie di Bernie Sanders, il candidato democratico più a sinistra della storia, l’unico ad essersi definito, pubblicamente, «un socialista».

Alle presidenziali del 2020 tra Trump e Biden ha scelto di lanciarsi su Jo Jorgensen, la candidata outsider del partito Libertario americano, il soggetto politico che si oppone ad ogni intervento dello Stato. Quella di Rogan è una figura particolare che raccoglie, in maniera paradigmatica, le contraddizioni e le espressioni del nostro tempo. È figlio di un poliziotto del New Jersey, un uomo violento che lo ha abbandonato all’età di 5 anni.

Proprio la violenza è diventa da subito la sua vera passione. Negli anni 80 diventa campione degli Stati Uniti di taekwondo, l’arte marziale asiatica che lo ha fatto conoscere in giro per gli USA. Poi ha iniziato a scoprire la sua vera abilità: quella di saper entrare, in maniera empatica, in contatto con le persone, la capacità di dire e raccontare quello che molti vorrebbero dire ma che non si azzardano a dire per paura del giudizio della maggioranza. Inizia così i suoi spettacoli di stan up comedy con i quali diventa famoso ed entra nel giro delle televisioni Fox.

Nel 2019 lancia il suo podcast che scala le classifiche trasformandosi un vero e proprio successo planetario: “The Joe Rogan experience”, il suo podcast è un riferimento per i tantissimi ascoltatori ma anche una vera e propria esperienza, come già si specifica nel titolo, per capire meglio cosa pensa, dice e sogna la pancia della società globale. È impostato con una formula semplice. C’è Rogan, il suo ospite, due microfoni in uno studio spoglio.

Il linguaggio è sempre irriverente e sopra le righe, capace di rompere le convezioni e indirizzato alla provocazione. Le vittime preferite di Rogan sono i woke, i progressisti che si battono per il politacally correcrt, ma anche i movimenti femministi, primo fra tutti #MeToo, i vegani che Rogan ha definito come «talebani che sono vegetariani solo perché Scientology non li ha trovati prima». I suoi però sono show molto particolari.

Nel settembre del 2018 Elon Musk è stato ospite di un episodio di “The Joe Rogan experience” durante il quale Rogan è riuscito a far ubriacare e fumare marijuana all’uomo più ricco e visionario del mondo. Ogni episodio ha però degli effetti pesanti nel mondo reale. Le azioni della Tesla, una delle creature imprenditoriali di Musk, il giorno dopo il podcast estremo, hanno perso il 9% in borsa. 

Tanti, anzi tantissimi, sono passati davanti ai suoi microfoni anche vecchie conoscenze italiane del calibro di Amanda Knox, presentata come «la donna che ha passato 4 anni nelle galere italiane per una sentenza sbagliata». Da un personaggio del genere non ci poteva non aspettare fuochi d’artificio durante il periodo pandemico.

Per Rogan il Covid-19 è stato un mare di complotti e interviste a folli nel quale immergersi e farsi cullare.  Oltre ad ospitare i più folli esponenti delle teorie del complotto, ha messo in fila una serie di dichiarazioni che sembrano studiate a tavolino per far rumore e avere seguito. 

Nell’aprile del 2021 ha detto che «i giovani in buona salute e che fanno sport non devono pensare al vaccino». Quando a settembre è risultato positivo ha dichiarato di aver preso l’invermectina, un antiparassitario veterinario, famoso tra i no vax ma fortemente sconsigliata dalla Foods and Drugs Administration. Ha ospitato Robert Malone, medico allontanato dalla comunità medica per aver fatto disinformazione sulla pandemia e sospeso da Twitter, lasciandogli dire che, attraverso il vaccino, le autorità avrebbero ipnotizzato i cittadini. 

Proprio questa intervista fece scatenare la protesta dei medici americani che firmarono in 270 una lettera indirizzata a Spotify affinché prendesse provvedimenti contro la disinformazione. 

La soluzione di Spotify

A difendere Joe Rogan sono scesi in campo migliaia di persone. Da i comuni ascoltatori a personaggi del calibro di Edward Snowden e lo stesso Musk. Spotify, prima di presentare i dati economici il 2 febbraio ha deciso di dare un segnale per calmare le acque e ha cancellato 113 episodi di “The Joe Rogan experience” che contenevano «espressioni razziste».

A questa decisione dell’azienda sono seguite le scuse di Rogan che con un video su Instagram ha assicurato di voler dare un nuovo taglio al suo programma con l’aggiunta di un contraddittorio per ogni «esperto» invitato. Una soluzione di comodo che prova salvare la libertà di opinione, il rispetto della dignità di tutti e, soprattutto, i conti della società svedese.

Una scelta tanto comoda da risultare troppo aleatoria e poco convincete per tutti. E infatti #DeleteSpotify è ancora una tendenza tanto quanto quella della provocazione volgare e spesso offensiva dei crociati contro il politically correct. In questo scontro non c’è stato spazio e forse non ce ne sarà per ragionare davvero su come costruire un nuovo confine tra libertà di espressione e difesa della dignità di ogni persona sulle piattaforme digitali, un confine che dovrà tener conto anche dei grandi interessi economici che ci sono in ballo. 

Claudio Mazzone

Nato a Napoli nel 1984. Giornalista pubblicista dal 2019. Per vivere racconta storie, in tutti i modi e in tutte le forme. Preferisce quelle dimenticate, quelle abbandonate, ma soprattutto quelle non raccontate. Ha una laurea in Scienze Politiche, una serie di master, e anni di esperienza nel mondo della comunicazione politica.

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