Interviste

La lingua italiana e la sfida del digitale: ne parla la prof. Daniela Vellutino

Per affrontare la sfida della digitalizzazione, anche la lingua italiana deve immaginare nuovi termini per racchiudere concetti innovativi

Il percorso di digitalizzazione del Paese non può prescindere dalla lingua italiana e dalla capacità di coniare nuovi termini in grado di racchiudere nuovi concetti. Ne è certa la Professoressa Daniela Vellutino, Responsabile dell’Osservatorio per la Comunicazione e l’Informazione nella Pubblica Amministrazione in Italia e in Europa oltre che componente del gruppo di lavoro sulla riforma della legge 150/00 e sulla elaborazione della Social Media Policy nazionale, istituito dalla Ministra Dadone, e incardinato nel IV Piano OGP – Azione 6 (Cultura dell’Amministrazione Aperta).

Che ruolo è destinata a giocare la lingua italiana nella sfida della trasformazione digitale?
“La digitalizzazione del Paese è la prima missione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È questo il titolo del documento ufficiale e preferisco se ne parli con il termine istituzionale giusto, nella nostra lingua che con la formazione e l’uso di nuovi termini resterà vitale e produttiva. La questione della lingua italiana è un po’ come la questione demografica: se non si fanno figli, l’Italia è destinata a invecchiare. Così per la lingua italiana se non produciamo parole e termini nuovi per i nuovi concetti, principi e documenti la nostra lingua è destinata a impoverirsi e a perdere le sue funzionalità di mezzo espressivo di comunicazione e di cultura.  Nel PNRR ci saranno quasi 44 miliardi di euro per la digitalizzazione del nostro Paese: una buona quota nella digitalizzazione del sistema produttivo, ma un discreto gruzzolo sarà destinato anche alla digitalizzazione della PA. Sono una linguista terminologa e, dunque, la prima cosa che ho notato è l’uso e la frequenza del termine chiave nei processi di digitalizzazione: 26 volte occorre il termine chiave “interoperabilità”, vale a dire la capacità dei sistemi informativi di essere aperti allo scambio dei dati. Dall’interoperabilità scaturisce l’accessibilità e il riuso dei dati pubblici. Da qui la possibilità delle PA di rendere disponibili i “nostri” dati con licenza CC-BY 4.0 (Creative Commons Attribution), con il vincolo di riconoscere la fonte e mantenere la natura della licenza nella condivisione. La Gigabit society si basa su questo: sullo scambio dei dati, sul loro riuso in un circuito che li fa diventare come energie rinnovabili”.

L’Europa, e ancor più l’Italia, deve recuperare i ritardi sul piano della digitalizzazione. Perché e qual è la strada giusta per raggiungere l’obiettivo?
“Come Italia dobbiamo recuperare i ritardi che ci hanno relegato alle ultime posizioni dell’indice Desi (digital economy and society index), che è un indicatore composito con l’obiettivo di sintetizzare i progressi di un Paese rispetto alla digitalizzazione della sua economia e società. Rapporto per l’Italia. Il nostro Paese è al quartultimo posto (= 25°) nel ranking del 2019 per l’indice DESI calcolato su connettività, servizi pubblici digitali, uso dei servizi digitali, capitale umano, integrazione delle tecnologie digitali. Su allora 28 Paesi Ue, dopo di noi ci sono solo la Bulgaria, Romania, Grecia e Polonia. Patiamo un digital divide territoriale e di genere che probabilmente inchioderebbe ancor più l’Italia nella bassa classifica tra i Paesi in ritardo di sviluppo. Dobbiamo uscire da questa posizione di bassa classifica, riuscendo a cambiare. Si cambia proprio comunicando la cultura della trasformazione digitale, che non è solo uso delle tecnologie digitali”.

Quale sarà il suo impegno all’interno del gruppo degli esperti del Mise per la scrittura del Libro Bianco sul ruolo della comunicazione nei processi di trasformazione digitale?
“Il mio impegno mirerà a contribuire a realizzare una ‘PA Aperta’ che comunica facilmente con cittadini, imprese, associazioni e una ‘PA Accessibile’ attraverso diversi media digitali convergenti. Credo che la trasformazione digitale della PA serva a questo e che, a livello di progettazione delle tecnologie, non sia materia solo per informatici. Anche chi come me studia da 25 anni la comunicazione pubblica dalla prospettiva della linguistica computazionale applicata alla terminologia ha conoscenze e competenze utili. Da anni studio come sviluppare risorse linguistiche in lingua italiana affinché siano utili alla trasformazione digitale. Credo che i termini istituzionali, in particolare quelli che hanno valore giuridico, debbano diventare metadati ed essere registrati in vocabolari controllati Linked Open Data (LOD) da utilizzare negli schemi di metadatazione dei servizi pubblici digitali. I termini istituzionali devono diventare dati linguistici in formato aperto da collegare A IATE, la banca dati terminologica multilingue dell’Unione europea. In questo modo, collegando i termini istituzionali equivalenti nelle diverse lingue Ue, si contribuirà a creare una lingua istituzionale europea comune e si faciliterà la comunicazione e gli scambi tra istituzioni e i servizi transfrontalieri. Ho trattato questi argomenti in numerose pubblicazioni scientifiche, in particolare nel volume “L’italiano istituzionale per la comunicazione pubblica”, edito da il Mulino, in cui descrivo come progettare testi istituzionali mediali accessibili al maggior numero di persone e di dispositivi digitali e come la lingua italiana possa aiutare la trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni, favorire la trasparenza amministrativa e, per questa via, promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita democratica del nostro Paese”.

In che modo si può rendere la PA Aperta e Accessibile?
“Credo che per fare la nostra ‘PA Aperta e Accessibile’ siano necessari professionisti della comunicazione pubblica e istituzionale capaci di usare la lingua italiana con chiarezza e precisione per far capire e far dialogare la PA con il maggior numero di persone e dispositivi digitali. Per questo insegno ai futuri comunicatori pubblici a individuare i termini istituzionali da inserire negli schemi di metadatazione per creare contenuti Linked Open Data. Insegno in che modo semplificare, glossare e archiviare i termini istituzionali come dati pubblici in formato aperto”. 

Loredana Lerose

Giornalista pubblicista, laureata in sociologia. Di origine lucana, trapiantata a Napoli da più di vent'anni, appassionata di danza, teatro, letteratura e psicologia. Scrive per il quotidiano Cronache di Napoli dal 2009.

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