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Disparità salariale, il prezzo (alto) che pagano le donne

La disparità salariale va messa al centro delle politiche per ridurre il gender gap. E’ la proposta di CIDA, la confederazione dei dirigenti pubblici e privati e delle alte professionalità, formulata oggi nel corso dell’audizione presso la Commissione lavoro delle Camera sulla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio con la finalità di rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi.

Disparità salariale, perché occorre agire

In un comunicato stampa la CIDA ha spiegato come la disparità salariale sia un prezzo ancora troppo alto che pagano le donne. La proposta è quella di

Ridurre, fino ad azzerare, la disparità salariale tra donne e uomini attraverso due linee di intervento: mettere in atto azioni correttive per favorire un cambiamento culturale nei confronti del gender gap e per dotarsi di un welfare sociale propedeutico all’eguaglianza nel lavoro; adottare strumenti operativi finalizzati alla parità nella remunerazione delle donne e degli uomini.

Nel corso dell’audizione, Licia Cianfriglia, Vicepresidente CIDA ha sottolineato l’importanza di adottare un’azione che sia integrata e multilivello per contrastare la disparità salariale fra uomini e donne:

Un ruolo importante, ad esempio, può essere giocato da campagne mediatiche mirate a combattere gli stereotipi di genere ancora radicati nella società italiana; poi occorre estendere il livello di fruibilità e di efficienza dei servizi di cura all’infanzia ed alle persone non autosufficienti in modo da ‘liberare’ risorse (prevalentemente femminili) per il mercato del lavoro creando al contempo altre opportunità di lavoro; è inoltre necessario incentivare l’apertura di asili nido aziendali o inter-aziendali in aree produttive o commerciali ad alta densità.

Sul piano pratico, le problematiche relative ai livelli retributivi nei luoghi di lavoro, devono necessariamente contemperarsi con il diritto alla privacy dei lavoratori. Per CIDA, l’obiettivo generale dovrebbe essere quello di

consentire di identificare come, a livello aggregato, un’impresa si comporta in termini di parità retributiva e non, invece, di consentire specifici confronti individuali che potrebbero essere dannosi per la privacy della persona interessata dalla richiesta e avere un impatto negativo sul livello generale di soddisfazione sul lavoro. Andrebbero adottate misure come analisi congiunta ed elaborazione di report e audit, che supportano una cultura della cooperazione interna tra i diversi attori interni all’azienda, consentendo una circolazione delle informazioni e una sensibilizzazione indiretta ad un processo che può davvero fare la differenza nella costruzione di una solida cultura aziendale di uguaglianza.

Le iniziative promosse da CIDA

CIDA ha già messo in atto iniziative pratiche per contrastare la disparità salariale. Federmanager (Federazione aderente a CIDA) e Confindustria hanno inserito un apposito articolo dedicato alle pari opportunità nell’accordo del luglio 2019 che ha rinnovato il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti industriali, con particolare attenzione all’equità retributiva tra uomini e donne manager e allo sviluppo di politiche aziendali idonee a consentire il sereno svolgimento della funzione genitoriale e la piena ripresa del rapporto con l’azienda al momento del rientro al lavoro dopo il periodo di congedo.

Manageritalia, Federazione aderente CIDA, ha promosso una proposta di legge che affida ad un organo terzo, estraneo all’azienda (la consigliera di parità) il potere di intervenire e verificare se esiste una disparità, conferendo a questo istituto, figura già presente da anni su questi aspetti in ogni Regione, la possibilità di accedere ai dati retributivi dei dipendenti che le aziende trasmettono all’Inps. Una proposta di legge innovativa che vuole colmare il gap culturale e reale, ribaltando le logiche in gioco, proponendo un controllo attivo delle segnalazioni al posto dell’attuale disciplina che prevede blande verifiche passive sulle dichiarazioni dalle aziende. Queste valutazioni operative vanno inserite in un quadro più ampio, in cui valutazioni macroeconomiche si sommano alle riflessioni politiche e sociali. Relegare una forza lavoro qualificata e potenzialmente molto produttiva come quella femminile in mansioni e settori a scarso valore aggiunto (o peggio ancora nel lavoro entro le mura domestiche) costituisce per il nostro paese uno spreco che non possiamo permetterci.

“Solamente attraverso il pieno ed efficiente utilizzo delle competenze accumulate dalla forza lavoro è infatti possibile imboccare quel sentiero virtuoso di crescita necessario all’Italia per uscire dal ‘pantano’ di una economia debole e troppo dipendente dal ciclo economico mondiale”, ha concluso Cianfriglia.

Redazione

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