Salario minimo, ai lavoratori piace: il sondaggio Adecco
L'opinione dei lavoratori italiani sull'introduzione del salario minimo e le trasformazioni del mondo del lavoro post-pandemia
Utile, inutile, inconsistente o necessario: il salario minimo anche quest’estate è protagonista di un dibattito i cui poli sono estremamente stretchati verso gli estremi. Si pensi solo alle posizioni contrapposte della UE che lo ritiene indispensabile al punto da approvare una direttiva nel 2022 e del nostro vicepresidente del Consiglio Antono Tajani che recentemente in pubblico equipara il minimo salariale a una misura da ex Unione Sovietica.
In tutto ciò, cosa ne pensano i lavoratori? Stando a un recente sondaggio condotto da The Adecco Group attraverso i suoi canali LinkedIn sono più di 8 intervistati su 10 quelli che si dichiarano favorevoli all’introduzione del salario minimo in Italia. Il 79% degli intervistati considera il salario minimo come uno strumento per garantire maggiore equità, mentre il 9% lo sostiene a condizione che sia incentiva la produttività delle aziende. Il 5% rimane scettico e ritiene che il tema debba essere affrontato attraverso una trattativa con i sindacati all’interno della contrattazione collettiva. Solo il 7% degli intervistati si oppone all’introduzione del salario minimo, ritenendolo non prioritario per il Paese.
La situazione attuale
Secondo l’analisi condotta da Adecco su questi numeri, tale desiderio deriverebbe dal senso di “sicurezza” economica che tale misura garantirebbe. Perché, se è pur vero che soprattutto nel post-pandemia l’approccio dei lavoratori italiani verso i loro uffici e le loro aziende è notevolmente cambiato, è altrettanto vero che la spirale inflattiva che ha colpito anche il Belpaese in questi mesi spaventa, spaventa eccome.
Questi risultati, spiegano da Adecco, riflettono l’evoluzione in atto nel mercato del lavoro. Nel corso del 2022 sono emersi fenomeni come le “Grandi dimissioni,” i “quitfluencer” e il “quiet quitting” mentre all’inizio del 2023 si è consolidato il tema della settimana lavorativa breve. Sebbene questi cambiamenti stiano portando il mondo del lavoro verso forme più flessibili e orientate verso un migliore equilibrio tra vita privata e professionale, l’attuale contesto di congiunture macro-economiche porta gli stessi lavoratori a desiderare e cercare condizioni economiche più rassicuranti.
Un’altra e più articolata ricerca di The Adecco Group intitolata “Global Workforce of the Future” citata nella survey ha rivelato che il 61% degli intervistati ritiene che l’attuale stipendio non sia sufficiente per far fronte ai rincari dell’inflazione, e il 46% ha scelto il proprio lavoro attuale sulla base dello stipendio e dei benefit offerti.
Soldà: “A favore del salario minimo, ma legge avrebbe impatto relativo”
“Consideriamo utile ogni intervento che comporti maggiore trasparenza del mercato del lavoro e che contribuisca a regolare correttamente la dimensione retributiva nei rapporti di lavoro. Va sottolineato che il sistema del lavoro in somministrazione prevede, da sempre, l’applicazione del principio di parità di trattamento complessivo, retributivo e normativo”, ricorda Claudio Soldà, CSR & Public Affairs Director di The Adecco Group Italia. “Guardiamo, dunque, con favore all’introduzione di un salario minimo, anche se per una valutazione complessiva sulla normativa sarebbe fondamentale considerare che un intervento come quello oggetto del dibattito attuale escluderebbe i rapporti di lavoro non coperti dei contratti collettivi ed esterni al lavoro regolare, come ad esempio i lavoratori occasionali o falsi lavoratori autonomi“.
“In sintesi – conclude – per affrontare il tema del salario minimo occorrerebbe considerare e superare alcuni elementi di contesto in più, come le criticità del sistema economico che richiedono politiche industriali, economiche e sociali e le criticità del sistema di relazioni industriali e contrattuale, in particolare la frammentazione del quadro della rappresentanza sindacale. Alla luce di questo, probabilmente una legge avrebbe un impatto relativo, mentre riteniamo possa essere più efficace intervenire attraverso la pattuizione tra le parti sociali nei soli settori in cui la contrattazione collettiva non raggiunge la copertura dell’80%, come previsto dalla Direttiva EU”.