Economia

La BCE “subisce” le decisioni della FED: l’accusa di Unimpresa

I tassi di interesse continuano ad aumentare, con cifre che sono insostenibili per l'economia reale delle famiglie e delle imprese. E Unimpresa affonda: "La BCE succube della Federal Reserve americana". Una prospettiva che potrebbe portarci, però, troppo vicini al baratro economico.

Una BCE – Banca Centrale Europea – troppo vincolata alle decisioni della Federal Reserve americana, se non strettamente vincolata al modello economico d’Oltreoceano: è l’affondo di Unimpresa che, a valle del settimo aumento dei tassi di interesse da parte dell’Eurotower di ulteriori 0,25 punti percentuali, inizia a “sospettare” una connessione di intenti se non una vera e propria sottomissione in conto di interessi e affari.

In realtà, Unimpresa non è l’unica che ha evidenziato che la BCE continua a seguire la scia della FED: già con gli aumenti dello scorso mese di marzo, pari allo 0,50%, la politica restrittiva economica portata avanti è stata tacciata di un mancato ascolto dei mercati e delle esigenze reali delle famiglie. Critica cui la stessa Presidente dell’Eurotower, Christine Lagarde, ha risposto facendo riferimento ad un valore della spirale inflattiva ancora troppo alto per poter prendere altra decisione. Ma andiamo per punti.

La BCE è succube della FED?

Quello che sicuramente fa notare Unimpresa – e prima ancora, gli esperti della UBS – è che negli aumenti registrati negli ultimi mesi (che hanno portato gli attuali tassi di interesse al 3,75%) l’Europa si è sempre trovata in subordinazione rispetto alle scelte economiche della Federal Reserve americana.

Accusa, nemmeno troppo velata, che la Presidente Lagarde anche nella conferenza stampa di ieri ha respinto con decisione: “La presidente Christine Lagarde ha detto che la Bce non è dipendente della Federal reserve, ma la sequenza cronologica delle decisioni della Banca centrale europea e di quella americana è ormai più che sospettosa” osserva in merito il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora in una nota.

“Stavolta, tra una delibera e l’altra sull’aumento del costo del denaro da una sponda all’altra dell’Oceano Atlantico sono passate 24 ore precise. In entrambi i casi c’è stato un aumento di un quarto di punto percentuale. Va avanti così da quasi un anno e gli effetti sperati, ovvero una vistosa inversione di tendenza dell’inflazione, non si vedono” prosegue il vicepresidente.

Il problema, secondo Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer Ubs Wm Italy, è che nel “seguire” la politica monetaria applicata dalla FED non si tiene conto del contesto europeo né tantomeno si riesce a capitalizzare gli sforzi di questa ennesima stretta economica: la Bce

 “si concentra sull’inflazione ‘core’ (depurata dell’energia), che scende più lentamente e a marzo era al 5,7%. L’economia della zona euro si è dimostrata più robusta del previsto nel primo trimestre ma la crescita si è assottigliata e in Germania il pil è rimasto invariato rispetto all’ultimo trimestre dello scorso anno. Le turbolenze registrate dal settore bancario negli Stati Uniti e in Svizzera non dovrebbero avere impatti diretti, ma potrebbero comunque portare a un atteggiamento più prudente anche nella zona euro per quanto riguarda la concessione di credito”.

Inoltre, ed è questo che desta ancor più preoccupazioni, la Banca Centrale dell’Eurozona

“sembra però avere divisioni diverse al suo interno tra i Paesi del nord, che continuano a chiedere rialzi più consistenti in considerazione dell’elevata inflazione, e gli altri, che si concentrano sul trend di discesa e sulle crescenti nubi economiche. Le dichiarazioni delle banche centrali devono comunque essere contestualizzate. Esse influiscono sull’andamento della curva dei tassi d’interesse e quindi sui tassi a lungo termine. Dichiarazioni accomodanti diluirebbero l’impatto delle attuali politiche monetarie restrittive e la banca centrale deve quindi mantenere ufficialmente la propria linea. Ma il rischio di rialzi eccessivi è concreto”.

Quali vantaggi se la stretta monetaria fa rallentare l’economia?

Il problema che altresì sottolinea il Presidente di Unimpresa è che, a distanza di quasi un anno, non si vedono effetti nell’economia reale che, anzi, continua a rallentare: a testimonianza di ciò, il commento dell’Ufficio Studi di Confcommercio sui dati Istat diffusi nella giornata odierna sull’indice dei consumi degli ultimi mesi.

”Il dato sulle vendite di marzo consolida la tendenza, in atto ormai da alcuni mesi, che vede le famiglie molto prudenti in materia di consumi di beni. I miglioramenti dal lato della domanda appaiono ormai quasi esclusivamente affidati alla componente relativa ai servizi’‘.

”E’ utile sottolineare, ancora una volta, che le variazioni su base annua a valore per le diverse merceologie e format distributivi sono fortemente influenzate dalle dinamiche inflazionistiche. Nel primo trimestre del 2023 per gli alimentari la variazione dei prezzi era del 13,0%”.

Ancora, secondo l’Unione Nazionale Consumatori, il Paese è fermo:

“Nonostante l’inflazione sia sempre al galoppo, le vendite in valore restano al palo. Ancora più preoccupanti i dati depurati dall’effetto ottico dei prezzi. Prosegue la cura dimagrante degli italiani. Una dieta forzata dovuta ai prezzi lunari, rincari che ora sono ingiustificati, frutto di speculazioni belle e buone […] “le vendite alimentari in volume precipitano del 4,9% su marzo 2022. Traducendo in euro questa diminuzione di volumi consumati, si può stimare che le spese alimentari sono scese in media di 276 euro a famiglia a prezzi del 2021”.

Non parliamo poi dei mutui e dei prestiti, argomento già affrontato nei giorni scorsi: da maggio 2022 le rate sono aumentate, mediamente, del 52%. Parliamo di cifre insostenibili per l’economia reale delle famiglie e delle imprese. Ed è proprio pensando a questi problemi che affonda Unimpresa:

“Invece di ragionare su strategie alternative o quantomeno su una revisione, auspicata da più parti, della tabella di marcia della stretta monetaria, la Bce continua nella strampalata strategia del copia-incolla della Fed” afferma Spadafora. “Quasi, quasi potremmo suggerire, con una buona dose di spirito di provocazione, di delegare in blocco le competenze di politica monetaria dell’eurozona, trasferendole da Francoforte a Washington. Strano che non ci abbiano ancora pensato i populisti, brandendo il saldo positivo dei minori costi e dei risparmi ottenuti sforbiciando le spese dei banchieri centrali europei”. aggiunge.

Secondo il vicepresidente di Unimpresa, infine

“la stretta monetaria sta già facendo rallentare il mercato dei finanziamenti delle banche alla clientela, sia famiglie sia imprese. L’impennata dei tassi d’interesse rende più costoso, talora proibitivo accedere ai finanziamenti offerti dagli istituti di credito, e questa situazione avrà un impatto negativo, a breve, sulla crescita del prodotto interno lordo. Basta pensare – conclude la note – agli effetti devastanti sul mercato immobiliare, con i prezzi delle case in calo e le compravendite ferme, oppure al vistoso rallentamento degli investimenti da parte delle aziende, in particolare quelle di minore dimensione, che frenerà le prospettive di nuova occupazione”.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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