La Generazione Z e il lavoro che non piace: “Il 60% cambierebbe lavoro domani mattina”
“L’individuo vede sempre meno riconosciuti i propri meriti all’interno del contesto di lavoro, conseguentemente anche il senso di appartenenza viene a mancare. Non vedendo più riconosciuto l’impegno nel proprio lavoro si tende a non riconoscersi più all’interno del contesto aziendale"
La Generazione Z non ci sta più. Dopo anni di pandemia che ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare e gli obiettivi di vita dei lavoratori italiani, oggi l’Osservatorio BenEssere Felicità avvisa istituzioni, imprenditori e stakeholder di tutte le aziende italiane: i primi dati del 2023 dimostrano che la crisi nel mondo del lavoro rischia di cronicizzarsi.
Per il terzo anno consecutivo l’associazione Ricerca Felicità misura lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale.
“Uno dei dati più allarmanti è che oggi la generazione Z raggiunge quasi il 60% di risposte positive alla possibilità di cambiare professione nel breve, superando persino le altre generazioni che già avevano ampiamente dimostrato la voglia di trovare un’altra occupazione”, afferma Sandro Formica, vice presidente e direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità.
Lavoro e soddisfazione, il campanello d’allarme inascoltato
La crisi delle occupazioni sembra essere irreversibile.
“Il grande campanello d’allarme dimostrato è rimasto inascoltato e ora ci troviamo in una situazione in cui tutte le generazioni si uniscono nel dimostrare che nel sistema lavorativo italiano qualcosa non stia funzionando. Persino un Baby Boomer su 4 (24,1%) a un passo dalla pensione, dimostra di voler cambiare il proprio impiego per gli ultimi anni professionali (era il 17,9% nel 2022)”, continua.
I dati dimostrano che, rispetto al 2022 la domanda ‘Stai pensando di cambiare lavoro a breve?’ trovava una forte convinzione da parte degli appartenenti alla Gen. Z (37,4% del campione), ma ancor più per Millennial (49%), e Gen. X (al 42,3%) . Dodici mesi dopo notiamo una crescita – eccetto per la Gen. X, che rimane stabile – in tutte le fasce generazionali: Gen. Z al 59,9%, Millennial al 52,6%, e Baby Boomer al 24,1%.
“È il tempo di agire: l’anno scorso eravamo ancora colpiti dagli effetti della pandemia, per questo i risultati della survey 2022 sono evidenze che in un certo senso potevamo ‘giustificare’, ma che non possiamo più ignorare con i nuovi dati 2023”, afferma Elga Corricelli co-founder dell’Associazione ‘Ricerca Felicità’.
“Bisogna ormai rendersi conto che il tema della felicità come meta-competenza e del benessere dei lavoratori italiani non può più aspettare. È quindi fondamentale prendere coscienza di questo cambiamento in atto e concretizzare politiche per creare maggior benessere per tutti e limitare il più possibile la migrazione di talenti all’estero. Quello che rischiamo ogni giorno di più è che, paradossalmente, un lavoro in sede estera risulti più attraente sia in termini di offerta che in termini di benessere lavorativo”, continua.
A dimostrazione della diffusa voglia di cambiare professione, alla domanda ‘I tuoi meriti vengono sempre riconosciuti?’ otteniamo una diminuzione di questo dato rispetto all’anno scorso per tutte le fasce generazionali: la Gen. Z passa da una media (su una scala da 1 a 6) del 4,34 nel 2022 a un 3,51 nel 2023, i millennial da 3,46 a 3,26, la Gen. X dal 3,48 al 3,39 e infine, i Baby Boomer sono passati dal 4,16 di riconoscimento al 3,40.
Inoltre, anche il senso di appartenenza all’azienda ha visto una diminuzione lungo tutte le categorie generazionali, ad esempio con la Gen. Z passiamo da un Net Score di 37,3% a un Net Score di 13,6%, con i Baby Boomer da un Net Score di 43,9% a un Net Score di 17%. Dove per Net Score si intende il peso (in punti percentuali) di chi da` un giudizio positivo (voto 5+6) al netto dei negativi (voto 1+2).
“L’individuo vede sempre meno riconosciuti i propri meriti all’interno del contesto di lavoro, conseguentemente anche il senso di appartenenza viene a mancare. Non vedendo più riconosciuto l’impegno nel proprio lavoro si tende a non riconoscersi più all’interno del contesto aziendale” afferma Elisabetta Dallavalle, presidente dell’associazione Ricerca Felicità.
“Con questa survey, volta a misurare lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, vogliamo aiutare le aziende e i manager a comprendere le problematiche principali e capire dove attuare cambiamenti per migliorare la condizione dei lavoratori del nostro Paese”, continua ancora.
La survey ha coinvolto 1106 persone (nel 2022 erano 1079), esclusivamente persone occupate appartenenti a 4 tipologie (lavoratori Dipendenti, Manager, Liberi professionisti/partite IVA/piccoli imprenditori e Imprenditori) e appartenenti alle 4 principali generazioni: baby boomer, generazione x, millennial, generazione z (con un minimo di 100 rispondenti per generazione).