Editoriale

La bidella pendolare Napoli – Milano: fake o no, due domande sul giornalismo web me le farei

Nell'attesa di comprendere (se accadrà) quanto ci sia di non vero nel racconto della storia di Giuseppina, quello che non è andato è che tutte ma dico tutte le maggiori testate nazionali hanno ripreso la storia del Giorno e l'hanno fatta propria. Una testata concorrente, insomma, sarebbe al momento l'unica fonte utilizzata dalle altre per raccontare questa storia.

Nel giorno in cui DataMediaHub diffondeva i dati a testimonianza dell’ennesimo calo di fiducia negli italiani nei confronti dei media (meno 3 punti percentuale rispetto al 2022, che vuol dire che meno di un italiano su due crede in ciò che diffonde l’informazione) una storia strappalacrime si guadagna l’attenzione globale dopo che Il Giorno – Quotidiano Nazionale la lancia lì, quasi en-passant.

È quella di Giuseppina la bidella (che per esigenze di cronaca perde anche la definizione lavorativa d’uso comune di “collaboratrice scolastica” insensatamente politically correct) che ogni giorno (ribadisco: ogni giorno) affronterebbe più di otto ore di treno per fare Napoli – Milano – Napoli per prendere servizio nella scuola meneghina. D’un colpo, abbiamo la trama perfetta per cavalcare tutta una serie di argomenti di facile indignazione che vanno forte oggi: il caro-residenza di Milano città ormai inaccogliente, la questione meridionale, i giovani che non hanno voglia di lavorare, i meridionali che non hanno voglia di lavorare (questa è old but gold, come dicono i giovani che fanno i meme) e aggiungici pure riflessioni sparse sul reddito di cittadinanza e pure qualche battuta sul trasporto pubblico.

La ricetta ideale. E infatti, non vi è un giornale – uno – che non la fa sua in tempi velocissimi. Nonostante la storia si regga in piedi con estrema difficoltà e non vi è necessità di un professionista dell’informazione per comprenderlo.

E infatti, i dubbi sono venuti agli utenti. Quelli che hanno controllato i costi degli abbonamenti per l’AV Napoli – Milano o le tabelle orarie dei treni intuendo immediatamente che il tutto aveva connotati nonsense, ai limiti dell’inverosimile. Butac fa i conti con la calcolatrice: per arrivare alla cifra stimata di spesa di ogni mese la protagonista del racconto dovrebbe essere una sorta di genio della bigliettazione, approfittando ogni volta dello sconto massimo del 70%. Il ché la renderebbe la partner ideale per ogni persona che vuole organizzare un viaggio – oltre a prevedere un anticipo di spesa non indifferente per garantirsi i migliori prezzi in pianificazione.

Poi sono arrivate, quando ormai il mondo del giornalismo web aveva accreditato come autentica e degna di verità la storia di Giuseppina, le pochissime verifiche da parte di “quelli scrupolosi”. Ma non ancora sufficienti. La storia quindi iniziava pian piano a mostrare delle crepe. Lo storytelling del sacrificio a tutti i costi lasciava spazio a qualche legittimo dubbio. I colleghi che l’hanno attesa fuori la scuola (gli operatori TV e videomaker in primis che, per esigenza di professione, non possono copincollare i testi altrui) hanno raccontato di “strane circostanze” che di fatto non hanno permesso di raggiungerla per una battuta. Battute che al momento in cui chiudiamo l’articolo continua ad avere solo il Quotidiano Nazionale.

Nell’attesa di comprendere quanto altro ci sia di non vero nel racconto della storia di Giuseppina, quello che non è andato è che tutte ma dico tutte le maggiori testate nazionali hanno ripreso la storia del Giorno e l’hanno fatta propria. Prendendo per buono il racconto monodirezionale dell’esperienza di Giuseppina.

Una testata concorrente, insomma, sarebbe al momento l’unica fonte utilizzata dalle altre per raccontare questa storia. Il ché è aberrante, sinceramente aberrante. Specie se gli altri che raccontano questa storia si fregiano di scrupolosi fact-checking e magari non fanno nemmeno una telefonata alla scuola protagonista (che – ancora una volta – nel momento in cui apro la rassegna è interpellata solo da Il Giorno). Indiscrezioni vorrebbero che la donna assolutamente non si recherebbe al lavoro tutti i giorni. Anzi. Mentre altri colleghi in queste ore hanno provato a sentire la versione della scuola (a gran parte dei pezzi già belli che pubblicati) e affermano che la stessa si è trincerata dietro al silenzio.

Che la storia sia vera o sia falsa, non prendersi manco la briga di controllarla è da autolesionisti. Perché credere che la storia romanzata raccontata a mò di novella di Giuseppina la bidella non abbia in realtà ripercussioni perché in fondo è solo aver diffuso un’innocente storia lo possono pensare solo gli sprovveduti. Perché – quando poi andiamo a dire che nessuno compra più i giornali e crediamo che il problema sia di chi legge e non di chi scrive – dovremmo ricordarci quella questione della fiducia che la categoria ispira. L’incetta di click – l’ennesima – è un palliativo alla totale assenza di un futuro strutturale in cui esista ancora una necessaria e dignitosa informazione. Che, da sempre, è fatta di autorevolezza. Autorevolezza che ti guadagni facendo una telefonata o perdendo una decina di minuti in più.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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