Economia

Il food social gap grava sulla spesa: il 52% degli italiani taglia il carello alimentare

Più di un italiano su due, per un dato pari al 52%, ha tagliato il cibo a tavola in quantità o in qualità, con un effetto dirompente che grava soprattutto sulle famiglie a basso reddito a causa del caro prezzi.

Tra congiuntura pandemica, guerra ed inflazione siamo finiti sempre più nella spirale del food social gap, letteralmente il divario sociale alimentare, un modo per spiegare l’effetto della crisi economica quando pesa sulle tavole e sulla spesa degli italiani.

Tradotto in altre parole, il food social gap si riferisce a quel fenomeno per cui sempre più famiglie non riescono a portare in tavola alcune tipologie di alimenti, passando dalla semplice rinuncia ad un vero e proprio taglio di alimenti fondamentali per l’equilibrio nutrizionale per poter far quadrare i conti a fine mese.

Il food social gap è un fenomeno non di certo nuovo – secondo le indagini del Censis, già nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane era diminuita in media del 12,2% – ma che marca ancor di più la differenza fra i ceti sociali e le annesse possibilità economiche.

Chi sono le vittime del food social gap

Questa volta, i numeri del food social gap fanno più paura: secondo il nuovo rapporto Coldiretti/Censis “Gli italiani e il cibo nelle crisi e oltre”, più di un italiano su due, per un dato pari al 52%, ha tagliato il cibo a tavola in quantità o in qualità, con un effetto dirompente che grava soprattutto sulle famiglie a basso reddito a causa del caro prezzi.

Un fenomeno, quindi, che si dimostra essere trasversale anche se tocca di più la fascia di popolazione a basso reddito: in questo caso, la percentuale della riduzione delle quantità sale addirittura al 60%, mentre per i redditi alti si scende al 24%. Accanto a chi è stato costretto a mettere meno cibo nel carrello per far quadrare i bilanci familiari, c’è poi un 37% di italiani che ha preferito risparmiare sulla qualità (il 46% nel caso dei bassi redditi, ma appena il 22% per quelli alti).

Le rinunce sono dunque socialmente differenziate secondo una logica di “food social gap” con gli adulti e i giovani che tagliano molto più degli anziani, e i bassi redditi più che i benestanti. Peraltro, oltre sei italiani su dieci tra coloro che tagliano gli acquisti sono convinti che questa situazione durerà almeno per tutto il 2023.

Nella classifica dei prodotti più colpiti dalla scure dei consumatori ci sono al primo posto gli alcolici ai quali sono stati costretti a dire addio, del tutto o anche solo parzialmente, il 44% degli italiani. Al secondo posto i dolci che vengono tagliati in quantità dal 44%, mentre al terzo ci sono i salumi ai quali ha rinunciato il 38,7% dei cittadini, subito davanti al pesce (38%) e alla carne (37%).

Ma il food social gap porta addirittura a ridurre gli acquisti di alimenti per bambini, con il 31% di persone che ne acquista di meno. Inoltre, gli italiani stanno adottando alcune strategie per far fronte al carovita, dall’utilizzo degli avanzi alla doggy bag al ristorante, dal ritorno del pranzo portato da casa in ufficio agli orti sul balcone, dalla lista della spesa differenziata per le offerte da volantino fino all’assalto ai discount.

Cosa comporta il food social gap: l’insicurezza alimentare

In un articolo del 2015 della Commissione Europea, il professore Johan Swinnen spiegò come il food social gap e quindi

“L’impossibilità di accedere a cibo nutriente a causa della povertà è il motivo principale per cui le persone affrontano l’insicurezza alimentare, un problema che colpisce le persone all’interno dell’UE così come nei paesi in via di sviluppo.

Ultimamente c’è stata molta enfasi sul fatto che non dovrebbe essere solo sicurezza alimentare, dovrebbe essere sicurezza alimentare e nutrizionale. I nutrizionisti hanno sottolineato che se tutto ciò che ottieni è amido, fondamentalmente manioca o riso o patate, questo può mantenerti in vita ma non ti renderà sano o ti permetterà di crescere o sviluppare tutte le tue capacità. Quindi conta anche quello che mangi, non solo quanto puoi mangiare”.

Quello che, infatti, pesa nel food social gap non è solo strettamente la possibilità economica connessa alla qualità e quantità degli acquisti alimentari ma lo sbilanciamento alimentare che ne potrebbe conseguire, destinando famiglie e bambini in età di sviluppo ad un impoverimento nutrizionale, causa di future malattie o disfunzioni endocrine o ormonali.

Un elemento non trascurabile: la riduzione costante del consumo di alimenti come carne, pesce, frutta e verdura minaccia l’equilibrio nutrizionale della dieta “mediterranea” delle famiglie italiane – fatta di cereali, carne, pesce, frutta e verdura, olio d’oliva, formaggi, legumi – che ci ha portato ad essere uno fra i popoli più longevi e sani al mondo. Il food social gap aumenta aumenta il rischio di patologie come l’obesità, i cui tassi sono mediamente più alti nelle regioni con redditi inferiori e con una spesa alimentare marginale.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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