Innovazione

La sfida dei luoghi della cultura si vince con il digitale: il marketing online conquista musei e arte

Quello che è cambiato, grazie alle potenzialità del marketing digitale applicato alla cultura, è l'interesse che può essere suscitato in milioni di spettatori fino a quel momento esclusi dal messaggio veicolato in modo tradizionale.

Il mondo della cultura, vessillo di pregio del Bel Paese che ritrova nelle antiche origini la storia e la memoria del popolo italiano, ha deciso di affrontare la sfida della tecnologia e della transizione digitale. Infatti, l’immaginario delle arti, della storia, delle tradizioni e della cultura sta cambiando: non solo con il PNRR, che destina circa un miliardo al settore, ma anche grazie alla voglia di non fermarsi e di “aprire le porte” di musei, archivi, biblioteche e mostre nel corso della congiuntura pandemica per rendere fruibile, a distanza di sicurezza, luoghi spesso visti come lontani, polverosi, antichi.

Un buon esempio di marketing digitale applicato alla cultura

Secondo una recente indagine dell’Osservatorio dei Beni Culturali del Politecnico di Milano, la pandemia è stata l’evento-apripista per la digitalizzazione del settore culturale, in particolare per quanto concerne musei, archivi, gallerie d’arte, mostre ed esposizione.

I dati raccolti, infatti, mostrano come vi sia stata una quasi totale inversione di tendenza sulla scelta di essere presenti online e in particolare, sui social network: prima di andare oltre e nel dettaglio, è necessario però riportare un esempio per comprendere le potenzialità del marketing digitale applicate alla cultura. Non solo: anche il modo in cui, con un’operazione intelligente, si può dare nuova linfa e vita all’intero settore.

Ricorderete sicuramente tutti le polemiche risalenti a luglio del 2020, quando l’influencer e imprenditrice Chiara Ferragni fu invitata agli Uffizi di Firenze.

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Chiara Ferragni agli Uffizi ritratta con la Venere di Botticelli

Questa foto, scattata per un servizio di Vogue, fece scalpore: il popolo del web si divise fra “arte” e “marketing”, fra “vecchio” e “nuovo” millennio, fra bellezza oggettiva (la Venere) e soggettiva (la Ferragni), senza mai comprendere una cosa. In quel preciso momento, infatti, si stava rimettendo in discussione il ruolo dei poli museali e della cultura, veicolando mediante l‘influencer un messaggio alle persone “comuni” (quelle, cioè, lontane dall’attrattività delle sale dei dipinti e delle statue) e mettendo la stessa a disposizione di tutti.

Una fruizione dei dipinti, delle statue e dell’arte pertanto non più chiusa nelle sale polverose e destinate ad un élite sociale e culturale capace di comprenderne la storia e la bellezza, ma un’idea del “bello” a portata di tutti, moderna, innovativa e condivisibile su un mondo finora inesplorato: quello dei social network e dell’online.

Disse bene in quei giorni l’Archeologo, presidente emerito del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici del MiBAC Giuliano Volpe sull’Huffington Post:

«Queste polemiche nascondono (nemmeno tanto, per la verità) non solo una visione elitaria della cultura, tipica di certi sedicenti rivoluzionari, ma anche un atteggiamento “moralistico”, proprio degli estimatori di uno Stato etico, se non addirittura “teocratico”, che definisca e imponga cosa è bene e cosa è male.»

Il risultato? Malgrado l’indignazione dei puristi della cultura e degli haters della Ferragni, dopo solo pochi giorni dalla pubblicazione delle fotografie gli Uffizi hanno registrato un boom di visitatori: nel periodo post pandemia, nel weekend immediatamente successivo alla visita della Ferragni, sono state registrate più di 9000 presenze (come riporta La Stampa).

Ma gli Uffizi ne avevano bisogno? In realtà, guardando i numeri e i risultati, non proprio: già nel 2019 il polo culturale è stato confermato come il secondo Museo più visitato d’Italia, con 4.4 milioni di ingressi. Quello che è cambiato, grazie alle potenzialità del marketing digitale applicato alla cultura, è l’interesse che può essere suscitato in milioni di spettatori fino a quel momento esclusi dal messaggio veicolato in modo tradizionale.

Come cambiano i beni culturali se digitalizzati: i dati

L’esempio del paragrafo precedente ben si inserisce nel contesto attuale. Tornando, quindi, all’indagine del PoliMi pubblicata in queste ore, il responsabile dell’Osservatorio Michela Arnaboldi ha spiegato che:

“I canali digitali sono passati da essere prevalentemente un mezzo di promozione e informazione a vero e proprio strumento di diffusione della conoscenza. Oggi, il 95% dei musei ha un sito web (una crescita importante, superiore al 10%, rispetto al 2020) e l’83% un account ufficiale sui social (una crescita, rispetto al 76% del 2020, guidata dal forte aumento della presenza su Instagram).

Grazie al digitale si è aperta l’opportunità di ripensare il rapporto con l’utente come un’esperienza estesa, nel tempo e nello spazio, in quanto non confinata al luogo e al momento dell’esperienza in loco, ma potenzialmente continua e accessibile da qualsiasi luogo e in qualunque momento”.

Non solo: sciorinando i dati, si evince che è cresciuto il numero di musei che hanno pubblicato la collezione digitalizzata sul proprio sito web (dal 40% del 2020 al 69% del 2021) e il 13% si è cimentato anche sull’offerta di podcast. Nonostante ciò, le istituzioni che si basano su un vero e proprio piano strategico che comprenda anche l’innovazione digitale rappresentano ancora una minoranza (il 24%, esattamente come un anno fa).

A cambiare è stato anche il tipo di esperienza offerta: l’80% dei musei ha offerto almeno un contenuto digitale ed è elevata la quota di istituzioni che propongono laboratori e attività didattiche online (il 48%), evidenziando la rilevanza del rapporto tra i luoghi della cultura e le scuole. Secondi per diffusione sono tour e visite guidate online (proposti dal 45% delle istituzioni). È aumentato anche considerevolmente il numero di musei che hanno pubblicato la collezione digitalizzata sul proprio sito web (dal 40% del 2020 al 70% del 2021).

A cambiare non è stata solo la modalità di esposizione ma anche di comunicazione e di accesso: sempre più siti dei poli museali, del settore della cultura, delle arti e delle mostre non sono solo più un contenitore scarno di informazioni ma offrono esperienze aggiuntive (tour, mostre online) e hanno digitalizzato l’accesso mediante QR code e biglietterie online (passando dal 23% al 39% dei musei).

“I cambiamenti degli ultimi mesi – dice l’Osservatorio – hanno però aperto anche a ragionamenti sui nuovi modelli di business da adottare per far sì che il processo di innovazione sia sostenibile e assuma una connotazione strutturale e non solo estemporanea. Bisogna insomma passare da soluzioni trovate come risposta all’emergenza pandemia ad asset strutturali.

Quanto ai contenuti digitali, i modelli di offerta sono stati diversi. La maggior parte delle istituzioni culturali ha scelto di fornirli, almeno in una prima fase, in modo gratuito. Questa scelta, dice l’Osservatorio può diventare una linea strategica quando si vuole usare il prodotto digitale per aumentare l’engagement, usare l’online come stimolo per la visita fisica o per ottenere informazioni sul pubblico da poter utilizzare per attività di marketing”.

Gli Uffizi, quindi, sono stati visionari? Decisamente si. E in questo innovativo quanto mutato contesto, i fondi del PNRR destinati alla digitalizzazione dei Beni Culturali trovano un terreno già fertile, con sfide sull’innovazione avviate (in alcuni casi, anche vinte).

La sfida del PNRR

Ciò che farà premere il piede sull’acceleratore del marketing digitale applicato al settore della cultura sarà sicuramente il PNRR: una grande occasione per innovare il settore dei beni culturali, un booster eccezionale per introdurre una spinta non solo all’archiviazione digitale di un patrimonio immenso (a seconda della definizione di bene culturale, si stima che l’Italia custodisca dal 60% al 75% di tutti i beni artistici esistenti), ma anche ad una fruizione allargata che grazie alle nuove tecnologie raggiunga le utenze di tutto il mondo.

La prima misura della Missione 1 del Pnrr riguarda proprio il ”patrimonio culturale per la prossima generazione’‘ e consiste in un finanziamento 2021-2026 di 1,1 miliardi di euro, volti alla digitalizzazione, all’accessibilità e all’abbassamento dell’impatto ambientale dei luoghi della cultura (dai musei ai cinema, dagli archivi alle mostre e così via).

Con il PNRR, infatti, la spinta è posta proprio sul digitale applicato al settore cultura: 500 milioni di euro sono destinati alle piattaforme e alle strategie digitali, per incrementare, organizzare, integrare e conservare il patrimonio digitale di archivi, biblioteche, musei e in generale dai luoghi della cultura; offrire a cittadini e operatori nuove modalità di fruizione; migliorare l’offerta di servizi; sviluppare un’infrastruttura cloud e software per la gestione delle risorse digitali.

Altri 300 milioni di euro sono volti ad eliminare le barriere architettoniche, senso-percettive, culturali e cognitive nei musei, complessi monumentali, aree e parchi archeologici, archivi e biblioteche statali, misure finalizzate all’accessibilità della cultura per ogni tipo di pubblico. Infine, una cifra analoga è stata destinata al miglioramento dell’efficienza energetica di cinema, teatri e musei.

Insomma, il nuovo Rinascimento del Bel Paese passa da porte aperte e sale virtuali per i luoghi culturali.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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