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In Italia una donna su cinque lascia il lavoro, spesso a causa dei figli

La strada da fare è lunga, almeno stando ai numeri: in Italia le lavoratrici madri di età compresa tra i 25 e 54 anni sono il 57,4% contro l’88,2% dei padri. A questo dato aggiungiamo che il tasso di abbandono del lavoro delle lavoratrici si attesta al 19% e nella maggior parte dei casi perché è la donna a tirare i remi in barca per dedicarsi alla cura dei figli.

È il frutto dell’indagine ‘Non sostenibilità del lavoro femminile in Italia’, condotta su un campione di 1000 donne e madri di figli minorenni intervistate su tutto il territorio nazionale, patrocinata da Nodus, Centro Studi economia sociale e Lavoro. “Un campione – spiegano gli organizzatori – che non pretende di essere rappresentativo di tutte le sfaccettature della realtà italiana ma che ha permesso di tracciare alcune tendenze del nostro Paese in un periodo molto delicato come quello post pandemico”.

I dati

Le donne, si legge tra le righe del sondaggio, risultano più frequentemente titolari, rispetto ai colleghi uomini, di contratti precari, impieghi part time involontari o lavoro nero. Il part-time involontario si attesta al 17% e il gender pay gap è pari al 16%.

A due anni dal congedo di maternità una lavoratrice guadagna dal 10% al 35% in meno di quanto avrebbe guadagnato se non avesse avuto figli. Tra le lavoratrici intervistate molte dichiarano di voler lasciare il lavoro e di queste l’80,8% ha un impiego full time e il 19,2 % part time. Oltre il 95% del campione intervistato dichiara di avere in carico più del 50% del lavoro di cura della famiglia evidenziando una forte asimmetria dei ruoli di coppia, facendo così emergere una questione di natura culturale.

Al basso tasso di occupazione femminile, però, non corrisponde un maggiore tasso di natalità e i due fenomeni non sembrano avere una correlazione lineare. In Italia, infatti, si registrano tassi di natalità sempre più bassi e al di sotto della media europea. Parallelamente, in Francia e in Germania, dove i tassi di natalità si mantengono stabili, l’occupazione femminile si attesta al 70,8%, quasi 13 punti in più rispetto all’Italia. Le ragioni di tale deficit occupazionale sono diverse: scarsità o non omogenea diffusione dei servizi per le famiglie, arretratezza culturale, parziale efficacia delle politiche attive, pay gender gap, asimmetria dei ruoli nella coppia e pregiudizi culturali diffusi.

Il gap territoriale

Da un punto di vista geografico, l’indagine ha rilevato che l’occupazione femminile è più elevata nelle regioni in cui la spesa pubblica per la creazione di asili nido e servizi di sostegno alle famiglie è maggiore. Ad esempio, le regioni del Trentino Alto Adige (63%), della Valle d’Aosta (65%), della Lombardia, della Toscana, del Friuli e dell’Emilia (60%) registrano tassi di occupazione femminile che superano di quasi la metà quelli delle regioni del Mezzogiorno (30%), a causa di una differenza evidente nella spesa pubblica destinata ai servizi di supporto alla genitorialità. Riguardo al tema dello smart working, le donne intervistate hanno mostrato un interesse particolare a causa delle possibilità offerte, come una maggiore flessibilità oraria, l’eliminazione dei tempi di spostamento e la capacità di supervisionare il personale domestico e i familiari.

Redazione

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